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 2012  aprile 19 Giovedì calendario

UNA SCIMMIA NON FA LETTURA

In questi giorni ha destato un certo scalpore la notizia di una ricerca, condotta da un gruppo di psicologi cognitivi dell’Università di Aix-Marsiglia, capeggiati da Jonathan Grainger, secondo la quale i babbuini saprebbero “leggere”. In realtà i sei babbuini implicati nello studio hanno acquisito, grazie a un lungo apprendistato, un’abilità puramente sintattica, cioè si sono pian piano abituati a discriminare tra sequenze di lettere dell’alfabeto che rappresentavano parole inglesi e sequenze casuali.
I ricercatori si sono posti il problema se una discriminazione segnica, cioè ortografica, si possa ottenere senza conoscenze linguistiche propedeutiche, e hanno cercato di risolvere la questione addestrando le scimmie a distinguere parole inglesi di quattro lettere da sequenze di quattro lettere senza senso, ma simili a parole.
Ciascuna scimmia stava davanti a uno schermo su cui comparivano in successione casuale le sequenze e per ogni sequenza toccava lo schermo in un angolo per indicare “parola” o in un altro per indicare “non-parola”, ricevendo una ricompensa alimentare per ogni risposta giusta.
Si trattava dunque di un addestramento guidato e sostenuto dalla ricompensa, grazie al quale i babbuini imparavano a distinguere tra sequenze tipicamente inglesi e sequenze atipiche grazie a certe loro proprietà statistiche: frequenza delle lettere o delle coppie di lettere. Ogni lingua, infatti, ha una propria distribuzione statistica delle lettere, delle coppie di lettere, delle terne di lettere e così via.
Così in inglese la lettera più frequente è la e, subito seguita dalla a, mentre le lettere meno frequenti sono la z e la q.
Una statistica simile si può fare per le coppie di lettere: per esempio molto frequenti sono le coppie he e in, mentre rarissime sono le wr e mh (tra l’altro le tabelle di queste frequenze sono molto utili per la decodificazione dei testi cifrati).
Nell’arco di un mese e mezzo, i babbuini hanno imparato a riconoscere decine di parole inglesi (il più bravo 308, il meno bravo 81) su un totale di quasi ottomila non­parole, con una precisione del 75% circa, sulla base delle differenze tra le frequenze delle combinazioni di lettere: hanno cioè dimostrato una capacità di apprendimento statistico. Poiché i babbuini non hanno capacità linguistiche, i ricercatori hanno concluso che il riconoscimento segnico può avvenire anche in assenza di queste capacità, mentre secondo le teorie dominanti sulla lettura l’elaborazione ortografica avverrebbe sulla base di abilità linguistiche già possedute. Quindi non si può sostenere, come alcuni hanno affermato, che «le scimmie sanno leggere»: esse sanno semplicemente distinguere successioni dotate di certe proprietà segniche di tipo statistico da successioni prive di quelle proprietà, come si distinguerebbe, a un livello molto più elementare, un cerchio da un quadrato. A riprova, se a un babbuino veniva presentata una non­parola molto simile a una parola già appresa, il rischio di risposta sbagliata era molto alto, cioè la scimmia tendeva ad assimilare la non-parola alla parola che conosceva.
In effetti i babbuini non capiscono ciò che “leggono”: dal riconoscimento dei simboli alla semantica, cioè alla comprensione del significato, il passo è enorme. Già nel 1980 il filosofo americano John Searle aveva proposto un esperimento concettuale, detto “della stanza cinese”, per sostenere la tesi che la capacità sintattica, cioè la capacità di riconoscere e manipolare simboli, non è sufficiente per la loro comprensione (semantica). Ecco in sintesi l’idea di Searle: un uomo di madrelingua inglese e affatto digiuno di cinese, è rinchiuso in una stanza e ha a disposizione un manuale di regole grammaticali (sintattiche) che gli consente di associare correttamente sequenze di simboli cinesi ad altre sequenze di simboli cinesi. All’esterno vi sono alcuni cinesi che gli forniscono sequenze di ideogrammi (domande), alle quali l’uomo, grazie al manuale, associa altre sequenze di ideogrammi (risposte alle domande), che poi passa all’esterno. Chi sta fuori può giustamente concludere che l’uomo nella stanza capisce il cinese, il che non è assolutamente vero. Searle conclude che la manipolazione sintattica dei simboli non è sufficiente alla loro comprensione. La “stanza cinese” ha destato un profluvio di critiche e obiezioni, ma il suo nucleo concettuale è abbastanza chiaro.
Quindi andiamoci piano: i babbuini a qualche livello sanno riconoscere i simboli, cioè le combinazioni di lettere, ma di qui a dire che sanno “leggere” ne corre.