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 2012  aprile 18 Mercoledì calendario

"Da licenziato sono diventato imprenditore ho riaperto l’azienda e assunto gli ex colleghi" – PADOVA - In un anno 3048 suicidi, in maggioranza (il 78,7 per cento) tra gli uomini

"Da licenziato sono diventato imprenditore ho riaperto l’azienda e assunto gli ex colleghi" – PADOVA - In un anno 3048 suicidi, in maggioranza (il 78,7 per cento) tra gli uomini. Nel giorno in cui l’Istat certifica l’aumento del numero di chi si è tolto la vita nel 2010, e lo fa mettendo in relazionei dati con la crisi economica (una vittima al giorno tra chi ha perso il lavoro e una tra gli imprenditori e gli autonomi, soprattutto nel Centro-Nord), dal Veneto arriva una storia simbolo, il racconto di un riscatto. È quella di Cristian Stangalini, quarantacinquenne ex manager della ex Femi Metal (poi Metal Welding Wire), azienda che lavorava il ferro e che due anni fa decise di chiudere i battenti mandando a casa 42 lavoratori. Dalle sue ceneri, però, è nata la Opm Fili. Un’idea proprio di Cristian, che ha riassunto 15 di quegli operai e che ora fa veleggiare l’azienda sui quattrocentomila euro di fatturato al mese. Un posto dove si lavora senza sosta, sette giorni su sette. Come avete ricominciato? «All’inizio eravamo solamente io e mia moglie Cinzia. I nostri due figli piccoli stavano con noi al capannone, attaccavano le etichette sugli imballaggi: un po’ per gioco, ma un po’ anche per lavoro, ci serviva chi lo facesse... Il capitale di partenza l’ho trovato vendendo la mia casa a Como. E ho preso una casa in affitto qui a Piove di Sacco». Ha messo in gioco sostanzialmente tutto quello che aveva: perché? «Ero convinto che le potenzialità ci fossero tutte. La multinazionale aveva chiuso l’azienda in base a delle strategie incomprensibili: avevamo tanti ordini e richieste, c’era la possibilità di continuare insomma. Provammo a intavolare una trattativa, ma niente da fare. I lavoratori vennero messi tutti in cassa integrazione e alla fine in mobilità. Ma credevo ancora nelle potenzialità della Metal». E che cosa ha fatto? «Andai in banca. Appena sentivano parlare di "azienda start up" saltava tutto. La stretta creditizia c’è,è realee pesa. Ti danno 50 solo se hai 50 di tuo da poter mettere in garanzia. Nel novembre del 2010 facciamo la richiesta per l’allaccio dello stabilimento alla rete elettrica. Sa quanto ci ha messo l’Enel? Sette mesi. Un’eternità. Chiesi una mano alle istituzioni: l’unico assessore che prese a cuore la faccenda venne defenestrato poco dopo» Chi l’ha aiutato? «Vecchi amici e colleghi, alcuni di fabbriche "concorrenti". Ci hanno messo a disposizione alcuni spazi dismessi». Lei ha riassunto 15 ex dipendenti della vecchia azienda: ha vissuto e vive la presenza dell’art. 18 come una minaccia? «No, per niente. Nella nostra azienda c’è affiatamento. Siamo amici, ci conoscevamo da tanto tempo. Nessuno fa le sue otto ore e appena finisce l’orario prende e se ne va. L’altro giorno per esempio un operaio è diventato papà e abbiamo festeggiato. Se le commesse ci sono il problema dei licenziamenti non si pone nemmeno. Piuttosto uno pensa ad assumere altre persone ancora, ed è quello che vorrei fare». Però poteva anche decidere di riaprire l’azienda altrove: in Slovenia, in Serbia, dove il lavoro costa meno. Perché non l’ha fatto? «Devo essere sincero: l’idea ce l’ho avuta. Ma ho pensato un po’ alla mia famiglia e un po’ ai miei ex colleghi che avrei voluto riassumere. La fiducia nelle persone e il rapporto col proprio territorio ha un grande valore che va al di là del semplice calcolo di risparmio sulla forza lavoro». È cronaca di tutti i giorni. Suoi colleghi imprenditori in Veneto, ma anche altrove, si sono tolti la vita. Che cosa prova di fronte a queste notizie? «Penso sempre "porca miseria". Capisco perfettamente ciò che si può provare, le cose che ti passano per la testa, il senso di impotenza. Come fai a tenere in piedi un’azienda se non riesci a incassare 4 o 500mila euro di credito, con scadenze che vanno dai 30 a 120 giorni? Allo stesso tempo va detto che ci sono molti che usano la crisi come scusa e se ne approfittano. Noi su 750 tonnellate di fili per saldatura che produciamo al mese, appena 70 sono per il mercato italiano: non è vero che paesi come Francia, Germania, Austria e Belgio non si fidano delle nostre aziende. Chi lavora bene ha la strada spianata».