Alberto Flores D’Arcais, la Repubblica 18/4/2012, 18 aprile 2012
Breivik, arringa shock per 75 minuti "Non erano innocenti, lo rifarei" – OSLO - Sul Rosenkrantz Gate una piccola folla è già pronta fin dalle prime luci del mattino
Breivik, arringa shock per 75 minuti "Non erano innocenti, lo rifarei" – OSLO - Sul Rosenkrantz Gate una piccola folla è già pronta fin dalle prime luci del mattino. I fari delle telecamere illuminano chi fa la fila, in una fredda primavera con sprazzi di sole, per trovare un posto nell’aula del tribunale. Nessuno sorride, non i genitori che hanno persoi propri figli, non i sopravvissuti che hanno trovato la forza per venire a guardare negli occhi l’uomo che gli ha cambiato l’esistenza. Processo Breivik, giorno secondo. Mentre entrano alla spicciolata superando le rigide misure di sicurezza c’è chi si lascia andare a qualche rapido commento con i giornalisti venuti da ogni parte del mondo: «Non è facile, ma è giusto essere presenti», «non riesco a immaginare come potrà giustificarsi», «spero di non piangere». Oggi parla il pluriomicida e l’avvocato difensore avverte che sarà un discorso «duro». Nell’aula ci sono circa duecento persone, avvocati, psichiatri, familiari delle vittime, ragazzi sopravvissuti alla strage dell’isola, giornalisti. Il «rito» norvegese viene rispettato, il procuratore e gli avvocati stringono la mano all’imputato, i giudici hanno concordato con la difesa trenta minuti per le dichiarazioni di Breivik. Saranno molti di più. Non ha nessun pentimento, solo velate minacce, farneticazioni ideologiche miste al sushi, a Toro Seduto e agli schermi piatti. Perfino un plauso per Al Qaeda, lui che è un nemico giurato di ogni possibile Islam. Un’arringa in tredici pagine, che solo un tribunale norvegese poteva permettere a chi è stato l’autore del più sanguinario atto di terrorismo nella storia del paese. E lui che beffardo precisa: ha addolcito la retorica «per rispetto delle vittime». Una lunga requisitoria sui «mali» della Norvegia e dell’Europa, su quegli adolescenti freddati come animali e che lui paragona senza ritegno alla «gioventù hitleriana». Settantacinque minuti interrotti più volte («ha finito Breivik?») dal presidente del tribunale e lui che quasi si risente, «mi mancano sei pagine», «cinque», «tre». «Non erano innocenti, lo rifarei di nuovo», lo inorgoglisce la soddisfazione per quella terribile doppia strage: «Ho messo in atto il più sofisticatoe spettacolare attacco politico fatto in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale». Ha uno strano concetto di benee male il "soldato" Breivik, che pensa di combattere una guerra che nessuno riconosce. Ha ucciso decine di ragazzi, ma dice di averlo fatto «per bontà, non per malvagità». Il saluto è lo stesso del primo giorno, quel braccio teso e il pugno chiuso che ostenta davanti a tutti. Non sono rimasti in silenzio ad ascoltare le sue parole di lucida follia. C’è stata qualche risata, di nervi non certo di gioia, ci sono stati mormorii di disapprovazione. Da spiegare in questa terribile storia c’è tanto, oppure ben poco. I fatti li conoscono tutti, gli omicidi a sangue freddo li ha confessati lui stesso. Nessuno in Norvegia sembra voler accettare che sia successo proprio qui, nel paradiso della tolleranza e del welfare. Vorrebbero avere risposte che non ci sono e forse non ci saranno mai. Si trattasse solo di un pazzo forse potrebbero capire, ma sanno che non è così, del resto le perizie lo confermano. La squadra di psichiatri presente in aula prende freneticamente appunti ma ad essere definito pazzo lui non ci sta: «Definirmi insano di mente sarebbe peggio della morte». Breivik le risposte sembra averle. Farneticanti, assurde come quando giustifica settantasette morti tirando in ballo Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Lui ha ucciso per difendere «i veri norvegesi dall’invasione musulmana», i capi pellerossa «erano terroristi o eroi?». Gli attacchi del 22 luglio 2011 erano «preventivi», per difendere i norvegesi e «l’etnia norvegese» dai mali del multiculturalismo che ci ha lasciato solo «il sushi e gli schermi piatti». Un avvocato di parte civile ha tentato di azzittirlo. «Ho ricevuto ora tantissimi messaggi dai parenti delle vittime, dai sopravvissuti, sono sconvolti dal fatto che Breivik possa parlare in questo modo. Chiedo che li tenga in considerazione e che smetta di parlare». Una richiesta che sarebbe legittima in qualsiasi tribunale del mondo, ma la diversità norvegese è anche questa, Breivik può continuare. Oslo vive il processo con la stessa compostezza del luglio passato, ma questa volta c’è anche molto imbarazzo. Quasi nessuno ne vuole parlare, il sito online di un popolare quotidiano ha un clic per vedere la pagina iniziale «senza il processo Breivik». La strage di Utoya è una ferita profonda, che resterà aperta ancora a lungo. E non basterà una sentenza a cicatrizzarla.