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 2012  aprile 18 Mercoledì calendario

Il mostro in aula fa il regista (col suo copione) - Il diritto piegato alla follia. Il processo al mostro Anders Behring Breivik si sta trasforman­do in questo

Il mostro in aula fa il regista (col suo copione) - Il diritto piegato alla follia. Il processo al mostro Anders Behring Breivik si sta trasforman­do in questo. La giuria segue la rigi­da e grigia pr­ocedura e tratta Brei­vik come un delinquente qualsia­si. Lui recita a soggetto, interpreta meticolosamente la sceneggiatu­ra di un processo già scritto. Da lui. Un processo in cui il procedi­mento diventa macchina ad orolo­geria governata non dai giudici ma dall’imputato e l’aula una cas­sa d­i risonanza per le sue farnetica­zioni. Lo si capisce sin dalla prima battuta della deposizione resa ieri da Breivik. «Sono un rappresen­tante del movimento di resi­stenza norvegese ed europea e della re­te dei Ca­v­alieri tem­plari ». Esat­tamente le parole con cui Breivik immagi­nava, già nove mesi fa, di esordi­re in caso di cattura e processo. Chi non ci crede vada a pagina 1 .108 di «2083 A Euro­pean Declaration of In­dependence » - il delirio da 1.516 pagine messo on line alla vigilia della strage. Da lì in poi il resto della giornata proces­suale è un film già visto. Quando spiega beffardo che i 69 ragazzini uccisi sull’isola di Utoya non era­no «bambini innocenti, ma mili­tanti del partito laburista» segue le regole anticipate a pagina 1 .110. «Gli individui che sono ac­cu­sato di aver giustiziato sono tut­ti traditori di categoria A e B, colpe­voli di alto tradimento e condan­nati a morte». Quando sottolinea che «uccidere 70 persone può im­pedire una guerra civile », quando si dichiara «nato in una prigione chiamata Norvegia», quando «si dice per nulla spaventato dalla prospettiva della prigione» Brei­vik recita ancora a soggetto. L’in­terminabile dichiarazione di 17 pagine letta ieri è solo la sintesi del­la paranoica rivendicazione ma­dre. In cui spiccano frasi come «ri­farei tutto», «ho agito in legittima difesa», «chiedo la mia assoluzio­ne », «ci siamo ispirati ad al Qaida, il gruppo militante di maggiore successo al mondo». Il problema sono i 65 minuti concessigli dalla corte per leggerla. Né il giudice si­gnora Arntzen, né la procuratrice Inga Engh sembrano accorgersi della ragnatela in cui il ragno Brei­vik imprigiona l’aula. Una ragna­tela progettata già a pagina 1 .107 del dossier quando definisce il processo«un’opportunità per pre­sentare tutta la documentazione, le illustrazioni e le prove incluse in questo compendio». Un com­pendio in cui spiega che «l’obbiet­tivo di un combattente della resi­stenza europea non è vincere il processo, ma presentare tutte le prove disponibili... garantire il massimo numero di simpatizzan­ti e militanti al movimento nazio­nale e/ o europeo di resistenza pa­triotica ». Da questo punto di vista il momento peggiore è l’inizio del­­l’udienza, quando la difesa chie­de l’estromissione dalla giuria di Thomas Indreboe, un giudice po­polare colpevole di aver auspica­to su Facebook la pena di morte per il colpevole. La richiesta sem­bra il colpo di scena di un thriller dove gli eventi sono governati non dalla legge, ma dai calcoli cini­ci e astuti di un serial killer. La pe­na di morte è l’argomento su cui Breivik punta per dividere il pae­se. «L’obbiettivo potrebbe essere costringere il parlamento del pae­se a introdurre la pena di morte... sarebbe – notava a pagina 1 .108 ­un’indiretta vittoria per il nostro movimento perché garantirebbe una significativa copertura media­tica alla nostra causa contribuen­do a futuri reclutamenti ». Una pro­fezia paranoica, ma non tanto pe­regrina se la tentazione del boia sembra contagiare persino i mem­bri della giuria popolare. Quando il procuratore Inga Engh chiede a Breivik di spiegare perché consi­deri «buone e non malvage»le pro­pr­ie azioni è solo un altro punto re­galato al mostro. Che già nove me­si annotava la citazione di Mark Twain da regalare come risposta: «In tempi di cambiamento il pa­triota è solitario, fa paura e viene disprezzato. Ma quando la sua causa ha la meglio anche i paurosi si fanno avanti».