FRANCESCO RIGATELLI, Tuttoscienze-La Stampa 18/4/2012, 18 aprile 2012
“Come vivere oltre il cancro” - Antonella Surbone è una persona speciale. Quando le si presentò, dopo Medicina nella sua Torino e un po’ di ricerca all’Istituto dei tumori di Milano, la possibilità di andare al Memorial Sloan-Kettering di New York, il tempio mondiale dell’oncologia, l’inglese non lo sapeva
“Come vivere oltre il cancro” - Antonella Surbone è una persona speciale. Quando le si presentò, dopo Medicina nella sua Torino e un po’ di ricerca all’Istituto dei tumori di Milano, la possibilità di andare al Memorial Sloan-Kettering di New York, il tempio mondiale dell’oncologia, l’inglese non lo sapeva. Ma, cocciuta, in pochi mesi di audiocassette e viaggi, lo imparò. «Abitavo con una signora del South Carolina dall’accento pesante. Capii che, se riuscivo a comunicare con lei, in ospedale non avrei avuto problemi». Oggi, a 54 anni, è considerata un’esperta mondiale del settore, «perché in Usa giovani e donne sono valorizzati» e a maggio, complice una laurea in Filosofia, esce negli Usa il suo libro sulle «Nuove sfide nella comunicazione coi pazienti di cancro». Professoressa, diamo i numeri: quanti sono i malati di cancro? «In Italia 950 mila: metà sono stati diagnosticati negli ultimi due anni e sono in terapia, metà hanno superato i due anni dalla diagnosi ma vengono sottoposte a frequenti visite ed esami di controllo». Quanti i morti? «In Italia 122 mila persone nel 2010, il 30% dei morti totali. Le malattie cardiovascolari sono la prima causa col 40%. I tumori la seconda causa». Ci sono differenze per uomini e donne? «Considerando il corso della vita, le donne hanno una probabilità su tre di ammalarsi di cancro, gli uomini una sua due. Dopo i 45 anni c’è un incremento anche per le donne. La mortalità sfavorisce gli uomini, perché i tumori femminili più frequenti sono quelli al seno, più guaribili». Quanti guariscono? «Più della metà. In Italia 1 milione e 300 mila sono “lungosopravviventi”, cioè superano i 5 anni dalla diagnosi e dai trattamenti acuti e si considerano guariti. Ottocentomila di questi superano anche i 10 anni dalla diagnosi. Negli Usa i sopravvissuti sono oltre 12 milioni, ma si considerano tutti i pazienti dalla diagnosi in poi e non solo i “lungo-sopravviventi”. Questi sopravvissuti non si dicono subito guariti, ma “survivor”, perché hanno superato l’impatto con la malattia». Insomma, di cancro si muore di più o di meno? «Tanti malati muoiono soffrendo e quindi occorre rispetto per la loro battaglia, però, senza esagerare con l’ottimismo, bisogna essere consapevoli che non sono più la maggioranza dei casi. Il cancro non dev’essere più considerato fattore di morte come scriveva Susan Sontag, anche se resta un confronto con la mortalità. Non si cura dopodomani, come spesso viene pubblicizzato, ma si può curare. Sempre più persone sopravvivono anche 20 anni col cancro». Come è aumentata la sopravvivenza? «Per diverse ragioni: l’aumento della longevità, il miglioramento nella diagnosi precoce, l’efficacia della prevenzione, per esempio contro il fumo o attraverso vaccinazioni come contro l’epatite B. E le nuove cure. Oltre ovviamente a chirurgia e radioterapia. Ora non ci sono solo chemioterapia o ormonoterapia, ma pure immunoterapia, terapie antiangiogenetiche, nonché le medicine intelligenti per le mutazioni genetiche particolari». In un intervento con Armando Santoro del «Cancer center» dell’Humanitas, di cui è consulente, lei ha rivelato che ci sono differenze culturali tra Usa e Europa. Quali? «Sì, in Europa i sopravvissuti sono i pazienti che superano i