MARIO BAUDINO, La Stampa 18/4/2012, 18 aprile 2012
Cracovia 1944, il mistero della poetessa perduta - Per lungo tempo, quel che si ricordava di lei è che era stata una donna bellissima
Cracovia 1944, il mistero della poetessa perduta - Per lungo tempo, quel che si ricordava di lei è che era stata una donna bellissima. Aveva un aspetto esotico, chi diceva armeno chi diceva creolo, due occhi di colore diverso l’uno dall’altro, forse addirittura cangianti visto che nelle testimonianze vanno dall’azzurro all’arancio, e nessuno fra quanti ne hanno poi scritto sembra aver visto gli stessi occhi. Zuzanna Ginczanka era affascinante. Al centro dell’attenzione nei circoli intellettuali della Varsavia Anni 30, scatenava passioni furiose, maschili e femminili. Nei bar della bohème letteraria sedeva al tavolo di un grande scrittore come Witold Gombrowicz. Aveva pubblicato la sua prima poesia nel 1931, a 14 anni. Il suo primo volume era uscito nel ’36. Sarebbe stato anche l’unico firmato in vita Zuzanna Ginczanka, ebrea di origine russa, venne assassinata dai nazisti nel ’44, e da allora un pesante velo di rimozione è caduto su di lei. Il suo nome è presente nelle memoria di tutti i grandi della sua generazione, e nelle dediche di versi scritti per lei. Per il resto, sembrava che sopravvivesse solo l’ultima poesia, quella in cui denuncia la padrona di casa che l’aveva «venduta» alle SS. Dopo la caduta del comunismo è iniziato però un lungo lavoro di riscoperta. Oltre agli studi accademici vi si è dedicato un importante giornalista culturale, Jaroslaw Mikoljewski (ora direttore dell’Istituto polacco a Roma), che ha raccontato la sua storia e raccolto molte nuove testimonianze fra quanti l’avevano conosciuta. Oggi è a Torino per presentare Un via vai di brumose apparenze , edizione bilingue delle poesie più importanti pubblicata da Austeria, una casa editrice polacca, con traduzione e introduzione di Alessandro Ametta. Il ritratto che ne viene fuori è nello stesso tempo affascinante e terribile. La Ginczanka è una poetessa con una forte vena satirica, una complessa ricerca linguistica, distensioni liriche e cupi scenari apocalittici, oltre che profetici. «Bisogna saziare lo stomaco ogni giorno / quando come l’esile stelo di un giglio / si contorce il duodeno», scrive nel ’34 lei che, come chiarisce, «abita negli agi». Incombe l’Uccello di Fuoco, sinistro personaggio del folklore slavo che incarna la distruzione; la nave ha le «tolde in frantumi», eppure gli aggettivi «si stiracchiano come gatti / e come gatti sono fatti per le carezze»: la grammatica, il linguaggio, l’amore continuano a opporre la loro strenua resistenza, qualcosa come l’inseguimento di un «sorriso ineffabile che risplendeva tra le nebbie». Fino all’addio di Non omnis moriar , la poetessa dalla inarrivabile e stupefacente bellezza va consapevole per la sua strada, pur vedendo con sempre maggiore chiarezza dove porta. Fin da bambina: tra le tante opzioni culturali che le si presentano a Równe, la cittadina allora russa e oggi ucraina dove abitano i nonni materni e dove, per inciso, è nato l’israeliano Amoz Oz, come ci ricorda Mikolajewski. È un piccolo centro, una zona tranquilla: la famiglia lo ha scelto per allontanarsi dalla rivoluzione sovietica, ci sono scuole polacche, russe, ebraiche e ucraine. La futura poetessa sceglie il polacco, già forse come segno di adesione alla letteratura di quel Paese (che, val la pena di ricordarlo, ha dato i natali anche a Wislawa Szymborska, premio Nobel nel ’96, di sette anni più giovane di Zuzanna). Nel ‘35 si trasferisce a Varsavia, mentre i genitori si separano e spariscono letteralmente. Del padre si dice, ma senza prove certe, che sia finito a fare l’attore a Hollywood. La madre si risposa e si trasferisce a Pamplona. Zuzanna comincia a scrivere per i giornali, diventa ben presto bersaglio di pubblicazioni antisemite, e non lo nasconde nelle sue poesie. Lo scoppio della guerra la sorprende a Równe, in vacanza. Non potendo tornare a Varsavia, come tanti altri intellettuali si rifugia a Leopoli, dove collaborerà con riviste di osservanza sovietica e aderisce all’Unione scrittori: risultato, dopo l’89 la sua eredità verrà in certi settori guardata con diffidenza, se non con ostilità. Intanto si sposa con uno storico dell’arte di 17 anni più anziano di lei, Michal Weinzieher, per quello che viene tramandato come uno strano matrimonio. E quando, nel ’41, i nazisti arrivano anche a Leopoli, comincia una lunga clandestinità, in parte favorita dal fatto che il suo aspetto fisico non ricorda per nulla un’ebrea. Viene però denunciata dalla padrona di casa, e deve fuggire. L’ultima tappa è Cracovia, dove è in contatto con la Resistenza. Qui, nell’inverno del ’44, è arrestata insieme con un’amica, torturata e fucilata (a 27 anni), pochi mesi prima della fine della guerra. E tuttavia la pace non le rende giustizia. Come spiega Jaroslaw Mikolajewski, le poesie che ha lasciato non erano certo nella linea del «realismo socialista» adottato come canone universale per giudicare la letteratura. E per di più il nuovo regime polacco non amava ricordare l’antisemitismo prebellico. Soltanto molto più tardi si sarebbe cercato di colmare i vuoti, per esempio la mancanza di testi datati agli anni della guerra, e perduti forse per sempre. L’ultima poesia conosciuta di Zuzanna Ginczanka era già di per sé un bel problema per la Polonia comunista. Che non consigliava di scavare più a fondo.