ANTONELLA MARIOTTI, La Stampa 18/4/2012, 18 aprile 2012
Il referendum dei record: 25 anni dalle firme al voto - Venticinque anni, un quarto di secolo. Tanto il Piemonte ha dovuto aspettare per votare il «suo» referendum contro la caccia
Il referendum dei record: 25 anni dalle firme al voto - Venticinque anni, un quarto di secolo. Tanto il Piemonte ha dovuto aspettare per votare il «suo» referendum contro la caccia. Un tempo enorme. Come enormi saranno i costi: 22 milioni di euro. Certo, la Regione avrebbe potuto contenere le spese abbinando la consultazione alle amministrative del 6 e 7 maggio. Ma la giunta del leghista Roberto Cota ha indicato un’altra data, il 3 giugno. E, poiché nelle casse regionali 22 milioni di euro non ci sono, ha acceso un mutuo. Prima di estinguerlo passeranno altri anni. La storia di questa vicenda paradossale ben rappresenta il pachiderma burocratico tricolore, passa attraverso ricorsi della Regione contro il Comitato referendario (Lega abolizione caccia, Pro-Natura, Wwf), e di controricorsi al Tar degli anti-caccia. Il tutto concluso con la vittoria di questi ultimi, nel novembre 2010, sentenziata dalla Corte d’Appello di Torino. Il referendum chiede di: vietare la caccia la domenica, sui terreni innevati, di ridurre da 29 a 4 le specie cacciabili, e ridurre anche le attività delle aziende «faunistiche venatorie». Quattro domande ma un solo quesito referendario. Una battaglia che parte che da molto lontano. E’ la primavera del 1987 quando inizia la raccolta firme con volantini ciclostilati (le fotocopie costavano troppo) e banchetti per le vie dei centro città: seduto con gli ambientalisti qualche notaio prestato alla causa. E se nel mondo c’era già l’idea di Internet (esploderà cinque anni più tardi) nelle case di pochi si usava il Commodore 64, e di sicuro sarebbero parsi invenzioni di Spielberg i social-media, mentre era la fine di un’era il passaggio di Pippo Baudo e Raffaella Carrà a Mediaset. Insomma, un altro mondo. Alla fine di quell’estate piovosa, saranno 60 mila le firme dei piemontesi per cancellare quattro articoli della legge regionale 60 del 1979, che allora regolava l’attività venatoria nei confini della regione. La Regione dichiara la richiesta ammissibile, ma ci ripensa quasi subito varando una nuova legge, la 22/1988. Gli animalisti non ci stanno e presentano ricorso al Tar. I giudici amministrativi, esaminate le carte, mandano tutto al giudice ordinario. Intanto è «sceso in campo» Silvio Berlusconi, Pippo Baudo è andato e tornato dalla Rai a Mediaset e nel 1995 Enzo Ghigo, di Forza Italia, diventa governatore del Piemonte. Quasi alla fine del mandato di Ghigo si riaccende la battaglia legale. In tre anni, dal 1999 al 2002, il Tribunale di Torino rigetta la domanda del Comitato, la Corte d’Appello lo accoglie e annulla il decreto della Regione, mentre la Cassazione respinge il ricorso del Piemonte e conferma la pronuncia della Corte d’Appello. La Regione, allora, nomina una Commissione affinché valuti se la nuova legge aveva recepito le istanze referendarie. La commissione manco a dirlo promuove la Regione: siamo nel 2002, gli amministratori si sentono al sicuro. Ma il comitato non si arrende, e torna al Tar con due ricorsi. Le domande vengono respinte, e allora si va al Consiglio di Stato. Poi, nel 2006, il Comitato iniziava la causa in Tribunale per ottenere l’annullamento della legge regionale che intanto è cambiata ancora. Arriviamo al 2008: Carla Bruni diventa première dame, Steve Jobs presenta un nuovo iPhone. Il 5 settembre, il Tribunale Civile accoglie le istanze del Comitato. Il 29 dicembre 2010, con sentenza n. 1986, La Corte d’Appello di Torino respinge il ricorso della Regione e ribadisce, definitivamente, la legittimità della richiesta referendaria. Tutto finito? No, perché le opposizioni chiedono alla giunta di promulgare una nuova legge («Si può fare in 10 giorni», assicura il capogruppo del Pd Aldo Reschigna): in ballo ci sono 22 milioni di euro che potrebbero fare la differenza per scuola e sanità.