18 aprile 2012
DALL’IRAN A KABUL, OTTO GUERRE DEMOCRATICHE IN VENTI ANNI
L’ANTICIPAZIONE Da giovedì 19 aprile in libreria
Da quando è collassato il contraltare sovietico le Democrazie occidentali, guidate dagli Stati Uniti, avendo le mani ormai libere, hanno inanellato, in vent’anni, otto guerre: conflitto del Golfo (1991), Somalia (1992), Bosnia (1995), Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), ancora Somalia, per interposta Etiopia (2006), e infine Libia (2011). E altre ne minacciano: alla Siria e soprattutto all’Iran. Solo il primo conflitto del Golfo, avallato dall’Onu, aveva una legittimazione secondo il diritto internazionale allora vigente, perché Saddam Hussein aveva invaso uno Stato sovrano, il Kuwait, peraltro una creazione degli Stati Uniti, del 1960, a uso dei loro interessi petroliferi (del resto anche l’Iraq e un’invenzione cervellotica degli inglesi che nel 1930 misero insieme tre comunità, curdi, sunniti e sciiti, che nulla avevano a che vedere fra di loro, cosa che avrebbe avuto una serie di gravi conseguenze). Tutte le altre sono state guerre di aggressione variamente motivate . La guerra democratica si fa, ma non si dichiara. La si fa, con cattiva coscienza, chiamandola con altri nomi: “Operazione di polizia internazionale” o di “peacekeeping” o, preferibilmente, “missione umanitaria”. Questo equivoco, o piuttosto questa ipocrisia, ha scardinato il diritto internazionale vigente fino all’altro ieri e abbattuto, in particolare, il principio, prima mai messo in discussione da nessuno, della “non ingerenza militare negli affari interni di uno Stato sovrano”. Il grimaldello sono stati i “diritti umani”. Secondo le Democrazie esisterebbero dei valori universali, assoluti, i loro, che superano le sovranità nazionali e a cui tutti gli altri Stati devono adeguarsi. (...) L’esempio classico è quello della guerra Iraq-Iran. Quando nel 1985 l’esercito di Khomeini stava per prendere Bassora concludendo così la guerra, gli americani e i francesi intervennero in appoggio a Saddam Hussein, per motivi “umanitari” (non si poteva permettere alle “orde iraniane” di entrare a Bassora, sarebbe stata una carneficina), fornendogli ogni genere di armi, comprese quelle di “distruzione di massa”, col risultato di prolungare la guerra di altri tre anni e di portare il bilancio dei morti da mezzo milione a un milione e mezzo, mentre il rais di Baghdad, ringalluzzito, con un arsenale nuovo di zecca, lo rovesciò sul Kuwait... (...) Ogni guerrigliero che si batta contro un’occupazione “democratica” è un criminale. (...) I loro capi, politici e militari, vengono trascinati davanti al Tribunale internazionale dell’Aja per i “crimini di guerra”, che è un’emanazione dell’Onu, ma ha questa curiosa particolarita: per quante nefandezze possano aver compiuto i soldati delle Democrazie (e i loro comandanti ) non vi vengono giudicati. (...) La “guerra democratica” utilizza quasi esclusivamente l’aviazione, bombardieri e caccia, e sempre piu spesso, soprattutto in Afghanistan dove non riesce a piegare gli insorti, droni, aerei senza equipaggio, ma armati di missili, teleguidati da 10.000 chilometri di distanza. Nella “guerra democratica”, in buona misura materialmente, ma anche concettualmente e giuridicamente, uno solo puo colpire, l’altro solo subire. Tanto che si può dubitare che si tratti di una guerra in senso proprio, perché ne manca l’essenza: il combattimento. Uno dei comandanti in capo della missione Nato in Afghanistan, Tommy Frank, guidava le operazioni da Tampa, in Florida, fra un whisky e l’altro. Tecnologica, fatta con macchine, con sistemi digitalizzati, con robot, la “guerra democratica” perde ogni epica, ogni etica e persino ogni estetica. L’Occidente democratico si arroga il diritto di dividere il mondo in “buoni” e “cattivi”. (...) Una sorta di Santa Inquisizione planetaria. Ed e questo l’Intollerabile.