Diego Gabutti, ItaliaOggi 17/4/2012, 17 aprile 2012
I gironi della casta rossa con la penna di Giampaolo Pansa – Se «la televisione», come scrive Giampaolo Pansa nel suo ultimo libro, Tipi sinistri
I gironi della casta rossa con la penna di Giampaolo Pansa – Se «la televisione», come scrive Giampaolo Pansa nel suo ultimo libro, Tipi sinistri. I gironi infernali della casta rossa, Rizzoli, pp. 434, euro 19,50, è «un media diabolico capace di certificare l’esistenza anche degli inesistenti», per il giornalismo scritto (specialità di cui Pansa è un maestro riconosciuto) ci potrebbe essere ancora una ragion d’essere: quella di restituire gli inesistenti alla loro condizione naturale. Con l’occasione, come fa appunto Pansa nel suo libro, si possono restituire alla loro condizione naturale anche gli esistenti per metà, insieme con quelli che lo sono anche per meno di metà, per non parlare di quelli esistiti (con fatica, e sbracciandosi, nel tentativo d’attirare l’attenzione dei media) per una sola stagione, e anche solo per mezza stagione (naturalmente all’epoca in cui c’erano ancora le mezze stagioni, cara signora). Dopo una vita trascorsa nel giornalismo schierato, de sinistra, Pansa ha maturato negli ultimi anni, specie per come sono stati accolti i suoi libri sulla guerra civile tra partigiani rossi e repubblichini dai Torquemanda ex e post del pensiero unico, un giustificato disamore per la sinistra, forse antropologicamente superiore a ogni altra tribù nazionale ma con un QI politico e un respiro culturale, sia detto senza offesa, di poco superiore a quelli del paramecio, organismo unicellulare e magari, non mi stupirei, anche un po’ trinariciuto. Di qui le formidabili bordate che Pansa, ex vicedirettore di Repubblica e dell’Espresso (oggi passato a Libero) spara una o due volte l’anno contro chi gli vuol male. E se alla sinistra, o meglio ai «tipi sinistri» che la guidano da decenni verso sempre nuove sconfitte, umiliazioni e figuracce, non sono piaciuti i libri cosiddetti «revisionisti» di Pansa, dove, in fondo, si mettevano in piazza storie magari poco edificanti ma vecchie di 60 o 70 anni, all’intellighenzia piacerà ancor meno Tipi sinistri, dove si racconta la loro favola con nomi e cognomi. Pansa, conoscendoli bene, per averli a lungo osservati, oltre che tampinati e intervistati, li passa in rassegna uno per uno: capi e capetti del sindacato, del vecchio Pci, dei partitini suoi eredi, del partito del compromesso storico (il Pd) suo principale erede, dell’ecologismo, del giustizialismo, del noglobalismo, del giornalismo hard. Tipi sinistri, per l’appunto: sia perché di sinistra e sia perché malevoli, torvi, sinistri. Pansa, che parla spesso del suo archivio, li cataloga come cataloga gli altri strumenti del mestiere: per ritagli, dividendoli in categorie (lui dice «in gironi», come i dannati danteschi, ma naturalmente esagera, visto che questi particolari dannati hanno tutti commesso lo stesso peccato di vanità, peccato modesto se non veniale). Eccoli tutti lì, in ogni modo: gl’invincibili, gli sconfitti, i superstiti, gl’isterici, gli apprendisti, gl’indignati, i bolliti, i dispersi, i rinati, gl’inguaiati. Recuperando e riscrivendo vecchi articoli, tutti memorabili, Pansa sistema ogni tipo sinistro, dall’invincibile che siede al Quirinale al povero sfigato che incassava mazzette (secondo l’accusa) a Sesto San Giovanni, con le sue classiche pennellate da grande ritrattista. Prendiamo Tonino Pietro: «Aveva un sorriso sempre pronto a esplodere. Una risata da ragazzo, da malandrino, da gattone che la sa lunga. I gesti appartenevano alla normalità, impacciati o spontanei che fossero. Lo stesso i sospiri, il fiato trattenuto, il vocione che, all’improvviso, calava di volume e si faceva un po’ chioccio. Ma anche questi dettagli erano una componente essenziale del suo fascino sulla gente di Novoli: il fascino dell’uomo qualunque». Oppure i trionfi di Bettino Craxi all’ex teatro (o cinema che fosse) Belsito trasformato con lavori faraonici in sede dell’assemblea socialista: «La qualità che più ricordo del Belsito era il lusso sfrenato. Marmi dappertutto. Porte di radica persino nei cessi. Tendaggi preziosi. Saloni, sale e salette, destinati a elaborare, verbalizzare e divulgare il verbo di Bettino. E poi un arengo tecnologico per le adunate plenarie. Ponteggi con trenta riflettori. Un palcoscenico per un vertice partitico sempre più ristretto, superselezionato, quasi monocratico». Poi l’avvento del Tg5 con Enrico Mentana detto Mitraglia sul ponte di comando: «E il nemico andava distrutto con una guerra, se non corsara, condotta di corsa». Giornalista di gran classe, ogni articolo una storia, ogni storia un bersaglio colpito e affondato, Giampaolo Pansa è indiscutibilmente la miglior penna della sua generazione. (Ciò non ne fa, se posso dirlo, un grande storico, e mica perché falsifichi la storia, o perchè se la inventi, come sostengono i suoi nemici, vale a dire gli storici accademici e noiosi, ma perché racconta la storia da giornalista, ricorrendo a una prima persona un po’ troppo ingombrante, a un tono indignato e intrattenitorio insieme). Qualcuno dirà: ma perché Pansa, dopo la sinistra, non ci racconta anche la destra italiana, non meno dannata e sbilenca? Be’, non è facile scrivere Tipi destri dopo quelli sinistri. A destra si può scrivere massimo la biografia della Buonanima. Al confronto della sua, ogni altra vanità dei suoi amici politici, ragazzine sculettanti comprese, semplicemente svanisce.