ANDREA MALAGUTI, La Stampa 17/4/2012, 17 aprile 2012
Quelle tre ore di orrore tra fiaschi e gaffe della polizia - 15,26 LA PRIMA ESPLOSIONE 1 Un’esplosione nel cuore di Oslo sventra alcuni edifici governativi: muoiono otto persone Come si ammazzano a sangue freddo 77 esseri umani? Adesso si sa tutto di quel giorno di follia
Quelle tre ore di orrore tra fiaschi e gaffe della polizia - 15,26 LA PRIMA ESPLOSIONE 1 Un’esplosione nel cuore di Oslo sventra alcuni edifici governativi: muoiono otto persone Come si ammazzano a sangue freddo 77 esseri umani? Adesso si sa tutto di quel giorno di follia. Ci sono i filmati, le testimonianze, la confessione, i documenti. C’è la ricostruzione, minuto per minuto del crimine più efferato commesso nel cuore pacifico e apparentemente al sicuro dell’Europa Occidentale dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. Ventidue luglio 2011, Oslo centro. Sono le 3 e 15 del pomeriggio quando Anders Behring Breivik, trentaduenne bianco della media borghesia norvegese, entra con la sua auto carica di esplosivo nel parcheggio sotterraneo davanti alla sede del governo. Ci ha messo due mesi a preparate la bomba. La piazza di fianco a una colonna. Undici minuti più tardi, alle 15 e 26, un’esplosione sventra il palazzo. Crolla tutto. Pavimenti, soffitti, pareti. Una pioggia di ferro e di vetro si abbatte sulla strada. I morti sono otto, i feriti 206. C’è sangue ovunque. Le sirene delle ambulanze riempiono l’aria mentre Breivik, con una divisa nera, si allontana a bordo della sua vettura ripreso dalle telecamere di sorveglianza. Una guardia giurata si insospettisce, chiama la polizia che, nella confusione, registra la telefonata ma non la prende in considerazione. Il capo delle squadre d’emergenza Einar Aas racconta. «Pensammo ad Al Qaeda. La prima domanda fu: sgomberiamo la città o la sigilliamo per impedire fughe? Decidemmo di sgomberarla». Una scelta che consente a Breivik di dirigersi verso l’isola di Utoya a 40 chilometri dalla capitale. Nel manifesto di 1500 pagine pubblicato su internet per anticipare la scelta di decapitare le generazioni presenti e future del partito laburista, colpevole di agevolare l’islamizzazione della Norvegia, aveva scritto: 16,57 LA CARNEFICINA DI UTOYA 2 BreivikarrivaaUtoya.Évestitodapoliziotto.Sifa trasportaresull’isoladi Utoya.Radunairagazzie cominciailmassacro «L’esplosione terrà occupata la polizia dandomi il tempo di raggiungere la parte opposta della città». Una prima strage come diversivo. Il peggio deve ancora venire. L’isola di Utoya è grande poco più di un chilometro quadrato e si trova a meno di seicento metri dalla costa. Da due giorni, come ogni anno in questo periodo, ospita la festa dei giovani del centrosinistra. Un campeggio per centinaia di ragazzi certi di avere spianata la strada verso un futuro radioso e di essere i prescelti per la creazione di un nuovo mondo. È qui che si forma la classe dirigente progressista norvegese. Breivik arriva alle 4,57. A Johannes Dalen Giske, responsabile del traghetto che collega l’isola alla costa, dice di essere un poliziotto delle 17,40 SIMUOVELAPOLIZIA 3 Dopolesegnalazionideglispari,unasquadra deicorpispecialiviene inviatasull’isola.Intanto Breivikcontinuaacolpire squadre speciali. È armato con una pistola e con un fucile automatico, ascolta musica da un iPod. Anche questo è spiegato nel manifesto. «Se la paura ti prende alza il volume». Si fa accompagnare dall’altra parte, convoca i ragazzi presentandosi come un ufficiale inviato dal governo e davanti alla caffetteria comincia in massacro. Sono le 17 e 20 quando punta la pistola al mento della prima vittima facendole scomparire metà del viso in uno scoppio tremendo, le grida dei ragazzi si perdono in mezzo a una foschia sempre più spessa che sembra proteggere l’assassino. Erijk Kjaer, 19 anni, racconta che Breivik le ha sparato il primo colpo allo stomaco. «Ho sentito un dolore atroce. Ho urlato. L’ho implorato di non uccidermi. Un secondo colpo mi ha colpi- 18,09 GLI SWAT SONO AL LAGO 4 Le truppe speciali sono al molo, ma devono attendere una barca adeguata per arrivare sull’isola di Utoya to al gomito. Non so perché non mi ha finita». Spiega di essersi messa a correre cercando di chiudere con la mano il buco slabbrato dello stomaco. Usando il cellulare una delle ragazze del campo chiama il padre, un ufficiale di polizia. «Ci sta ammazzando come cani». Solo adesso il quadro è chiaro. Gli uomini della squadra speciale Delta Force partono per Utoya. Non hanno elicotteri e sono costretti a confondersi col traffico dell’ora di punta. Impiegano un’ora. Un ritardo fatale. Presi dall’ansia salgono in venti sullo stesso gommone. Sono troppi. Il motore non ce la fa. Un abitante della zona li recupera con la sua barca. La vittima più piccola è una bambina di 14 anni, Sharydin Bohn. Il braccio di mare che divide le due 18,27 LA RESA DEL KILLER 5 Gli agenti si trovano faccia a faccia con Breivik. Lui mette le mani in testa e lascia a terra fucile e pistola coste si riempie di ragazzi che cercano la salvezza a nuoto. Due non ce la fanno e affogano. Breivik sale su una roccia e spara nell’acqua. Poi chiama la polizia. Lui. Lo fa dieci volte. Gli rispondono solo in due occasioni. Sono da poco passate le sei e il terrorista norvegese dichiara di volersi consegnare: «Sono il comandante delle forze anti comuniste contro l’islamizzazione del nostro Paese e contro il crimine del multiculturalismo, venitemi a prendere». Anche questa è strategia. Scrive infatti sul manifesto: «Dichiarare di volersi arrendere rallenterà l’intervento delle forze dell’ordine consentendomi di completare le esecuzioni». Dieci delle 69 vittime le ammazza di fianco alla casetta che rifornisce Utoya di energia elettrica, nel punto esatto in cui anche Sam Muyzzi si trova di fronte al killer. «Ero in mezzo ai cadaveri e aspettavo solo che un colpo mi bucasse la testa. L’arrivo di un elicottero di una troupe televisiva ha distratto Breivik. Perché la polizia ci ha messo tanto? Quante vite sono state sacrificate per colpa di questo ritardo?». I filmati amatoriali mostrano i ragazzi agitare il terrore disordinato dei loro corpi adolescenti sugli scogli, mentre gli uomini della Delta Force arrivano a pochi metri da Breivik che alza le braccia e si consegna svuotato come un serpente che lascia sugli arbusti la pelle abbandonata. *** Breivik alla sbarra Show e lacrime “È stata autodifesa” - C’è solo una parete di vetro antiproiettile che separa i parenti dei 77 morti delle stragi di Oslo e di Utoya del 22 luglio 2012 dall’assassino Anders Behring Breivik. Ma in questo tribunale con le pareti bianche e luci al neon che contribuiscono all’atmosfera claustrofobica dell’aula, la distanza che divide le vittime dal carnefice è un gigantesco buco nero piantato nella coscienza collettiva di una nazione che non ha voglia di rispondere a un’unica soffocante domanda: perché questo uomo di 33 anni, bianco e della classe media, uno di noi, ha portato l’inferno nelle nostre esistenze? Non eravamo il posto più sicuro, integrato e in armonia della terra? Basta il dubbio per consegnare all’assassino un inaccettabile profumo di vittoria. Per questo gli spalti riservati al pubblico sono semivuoti. Per non alimentare il fanatico delirio di onnipotenza di Breivik riconsegnandogli il centro della scena. Eppure è esattamente lì che si trova. Lui e il suo manifesto razzista. Come si sconfiggono gli incubi, allora? Con occhi allucinati e scintillanti, nel primo giorno del processo per il più crudele crimine della storia norvegese, il Mostro di Oslo, gonfio in viso, vestito come se andasse a una cresima, si rivolge alle telecamere con il saluto dell’estrema destra anti-islamica, un colpo sul petto e il braccio teso con il pugno chiuso. «Non riconosco questa corte che ha ricevuto il mandato da partiti che sostengono il multiculturalismo», dichiara. E rimane impassibile quando l’accusa elenca i nomi dei feriti e ricostruisce gli ultimi momenti delle vittime dell’isola. «Ho fatto tutto io. Ma non sono colpevole di niente. È stata autodifesa». Voleva fare fuori la classe dirigente progressista di oggi e di domani. La bambina più piccola a cui ha sparato in faccia aveva 14 anni. Trentatré delle sue vittime non ne avevano ancora 17. Ma oggi persino la sofferenza e la morte acquistano trionfali risonanze nella sua testa. Si commuove solo davanti al filmato che sintetizza il suo progetto di sterminio. In quel momento piange come un bambinone fragile. É pazzo? Deve marcire in galera o in un manicomio criminale? É questo il cuore del dibattito mentre si inseguono perizie contraddittorie. Il sociologo Aslak Sira Myhare sostiene che sarebbe semplice cavarsela così. «Ci servirebbe per dire: visto?, era un caso isolato. Seppelliremmo la cosa e andremmo avanti. Non è giusto. Non è possibile». E la psichiatra Randi Rosenquist aggiunge: «Breivik è ossessionato da una ideologia estrema. Ma l’idea che i musulmani debbano lasciare la Norvegia non ha niente a che vedere con la psicosi». Difficile darle torto. L’ex leader conservatore Jons Simonsem, blogger piuttosto seguito in Norvegia, ricevette il manifesto del Mostro a pochi giorni dalla strage. «La considerai una lettera dall’inferno. I suoi atti sono orrendi e ingiustificabili». Non così tutte le sue idee. «Credo anch’io che tra 20 anni la Norvegia sarà nelle mani dell’Islam». É il taglio nella tela della raffinata organizzazione sociale scandinava, che questa mattina la deposizione di Breivik rischia di allargare con violenza. Sono di più i virus o gli anticorpi? [A. MALA.]