JACOPO IACOBONI, La Stampa 18/4/2012, 18 aprile 2012
L’Italia del finanziamento e le (poche) pecore nere contro - Il costo della democrazia», naturalmente
L’Italia del finanziamento e le (poche) pecore nere contro - Il costo della democrazia», naturalmente. «L’unico baluardo possibile allo strapotere delle lobby», certo. «Altrimenti lasciamo la politica in mano ai ricchi», e non sia mai. Cattolici e comunisti, centrodestra e centrosinistra, clericali e mangiapreti su una cosa, nell’Italia politica, si sono trovati invariabilmente assieme: sull’idea che bisognava avere soldi dallo Stato. Gli eretici, le pecore nere, i disturbatori, sono sempre stati pochi, pochissimi, da contarli neanche sulle dita di una mano: i vecchi liberali, ovviamente i radicali, e i quattro gatti deputati di democrazia proletaria (che su questo litigavano sistematicamente col Pci). Stop. È da qui che veniamo, e questa storia ci indica probabilmente dove andremo a finire. Nel ‘74, quando con la legge Piccoli il finanziamento fu introdotto, i liberali cercarono di raccogliere le firme per abrogare quella norma, ma nessuno li aiutò e anzi, il Palazzo li irrise in coro. Piccoli profetizzò «state certi, non rinunceremo mai a quei soldi». E andò proprio così. Ma era il segno che s’avvicinava il crollo del sistema. Nel ‘78 il referendum voluto dai radicali seguì di poco le dimissioni in tv di Leone: anche allora la partitocrazia agonizzava e la sfiducia dei cittadini era a un apogeo, ma mentre i radicali si battevano, pressoché da soli, per abrogare il finanziamento, la politica li sfotteva nel nome del «costo della democrazia». Giovanni Galloni, vicesegretario della Dc, disse, esattamente come oggi Bersani e Alfano, «se si abolisce il finanziamento la politica è in mano alle lobby». Nilde Jotti fece un discorso famoso per sostenere la linea del Pci, «il finanziamento pubblico è una barriera alla corruzione». La Cgil di Lama-non l’ama arrivò a sostenere che la campagna per il sì al referendum «era un tentativo di organizzare una sollevazione di massa contro i partiti, una manovra destabilizzante». E insomma, anche a sinistra gli unici che volevano tagliare i soldi ai partiti furono i deputati di area-manifesto, Luciana Castellina, Lucio Magri, gente che veniva considerata radical chic dal Partito di Botteghe Oscure. Al referendum, si sa, il 43,6 per cento degli italiani disse no al finanziamento, ma la consultazione non passò: oltre ai radicali, nei partiti, l’avevano appoggiata solo i liberali. L’Msi, sempre tentato da una linea moralizzatrice di piazza, aveva scelto ipocritamente di dare libertà di voto. E nell’81 i partiti se lo raddoppiarono pure, il finanziamento. Oggi Anna Finocchiaro arringa che «non c’è democrazia occidentale che non abbia un meccanismo di finanziamento pubblico», ma fa sorridere ritrovare le stesse parole in un’intervista di Citaristi, il tesoriere della Dc, prima di Tangentopoli, nell’87: «Il contributo dello Stato ha portato una certa moralizzazione, contrariamente a quanto si dice. Esiste in tutte le democrazie». Come andò poi, lo ricordate: venne tangentopoli, e il referendum che abrogò il finanziamento nel ‘93. Eppure già nello stesso mese i partiti s’erano riconcessi quei soldi, con una legge sui rimborsi. Guardiamoci dunque dalla litanìa «la politica costa». Nel ‘96 i partiti s’inventarono un 4 per mille da destinare al sistema politico al momento della denuncia dei redditi. Un flop pazzesco, il geniale Mastella constatò «neanche i deputati l’hanno pagato». Subito dopo, però, la legge sui rimborsi anticipati - è utile sommessamente ricordarlo - passò all’unanimità alla Camera (364 sì, 31 no), e i partiti - miracolo! - divennero 44. Nel 1998, sotto Natale, il partitone-onorevoli uniti si aumentò i rimborsi e toccò a D’Alema attaccare «il becero qualunquismo anti-parlamentare»; D’Alema che oggi ripete identiche frasi. E Fini annunciava in diretta tv dalla Camera che An avrebbe preso i soldi, sì: ma per finanziarci il referendum abrogativo. E insomma: retorica e frasi fatte, cattiva coscienza e ipocrisie nazionali e trasversali, anche in chi non ha mai rubato una lira, o diceva qualcosa di parzialmente vero: che la politica è un lavoro nobile. Nessuno però che avvertisse, ieri come oggi, il rischio che l’ultimo finanziamento di solito è il ponte verso la catastrofe, come previde Norberto Bobbio nell’87: «È incredibile che nel momento in cui il tasso di stima tocca il suo livello più basso, la fame di soldi dei partiti tocchi il punto più alto».