Varie vedi testo, 18 aprile 2012
Fonte: Alessandro Penati, la Repubblica 14/4/2012 Frequenze gratuite a Mediaset e Rai a rischio l’asta voluta dal governo – ROMA - Compare all’orizzonte un regalo inaspettato dal governo per Mediaset: un’ottima frequenza quasi gratis, che finora è stata utilizzabile solo per la tv su cellulare e che presto servirà anche per il digitale terrestre
Fonte: Alessandro Penati, la Repubblica 14/4/2012 Frequenze gratuite a Mediaset e Rai a rischio l’asta voluta dal governo – ROMA - Compare all’orizzonte un regalo inaspettato dal governo per Mediaset: un’ottima frequenza quasi gratis, che finora è stata utilizzabile solo per la tv su cellulare e che presto servirà anche per il digitale terrestre. È lo scenario che si sta preparando per via del nuovo codice delle Comunicazioni, approvato dal governo nei giorni scorsi con il decreto legislativo che attua la direttiva Ue 140 del 2009. Cambiano così le carte in gioco in uno scacchiere già complicato: il governo vuole assegnare tramite asta nuove frequenze televisive a 700 MHz (stima d’incasso: 1,2 miliardi di euro). Il nuovo codice è un atto dovuto (e tardivo) verso le regole europee che impongono all’Italia il principio di neutralità tecnologica. Cioè: permettere agli operatori di usare le stesse frequenze con diverse tecnologie. Invece finora lo Stato aveva destinato tre frequenze - detenute da Rai, Mediaset e H3G - a usi diversi dalla normale tv digitale terrestre. Usi però che al momento hanno scarso valore economico. «In particolare, la frequenza detenuta da Mediaset è ottima per farci il digitale terrestre: non ha interferenze, copre tutta l’Italia. Quella di Rai invece è pessima, quasi inutilizzabile», spiega Antonio Sassano, docente all’università La Sapienza e tra i massimi esperti di frequenze in Italia. Che succederà? Con queste nuove frequenze, Raie Mediaset arriverebbero al massimo consentito dalle norme e quindi non ne potrebbero avere altre. «Rai potrebbe però restituire allo Stato la frequenza sfortunata e chiederne in cambio una migliore», prevede Sassano. A quanto risulta a Repubblica, non è detto che le frequenze convertite dal nuovo codice restino agli attuali detentori, visto che sono state assegnate a titolo provvisorio. Il ministero allo Sviluppo Economico valuterà il tutto nell’ambito della questione asta 700 MHz, prevista entro l’estate. Il prossimo passo (a giorni) sarà un decreto e poi la palla passerà all’Autorità garante delle comunicazioni, per le regole dell’asta, comunque da fare in accordo con la Commissione europea. Si tratta di dieci frequenze, di cui quattro andrebbero assegnate alle tv solo a breve termine, visto che nuove regole internazionali impongono di renderle disponibili anche per la banda larga mobile dal 2015. L’asta sarà comunque una strada in salita. Sostituisce il beauty contest con cui il precedente Governo voleva regalare quelle frequenze alle emittenti. Ma contro la sospensione del beauty hanno già fatto ricorso, al Tar del Lazio, Mediaset ed Europa 7 (questa si è rivolta anche alla Commissione europea). Per di più, «Europa 7, Telecom Italia Media e le tv locali potrebbero aver diritto a ricevere frequenze direttamente, senza passare dall’asta. Si sanerebbero così alcune irregolarità causate da decisioni del precedente Governo in materia di spettro radio», dice Sassano. «E non è finita: visto che Romani non ha fatto il coordinamento internazionale per le frequenze 700 MHz, è molto probabile che in alcune regioni le emittenti non riusciranno a utilizzarle bene: subiranno interferenze causate dai Paesi vicini». La fattibilità e, soprattutto, l’incasso dell’asta sono insomma una partita aperta. Alessandro Penati *** Fonte: Antonella Baccaro, Corriere della Sera 17/04/2012 FREQUENZE TELEVISIVE STOP AL BEAUTY CONTEST. ASTA ENTRO 120 GIORNI — Partirà entro quattro mesi la gara sulle frequenze derivanti dal cosiddetto «dividendo digitale». È definitivamente annullato il beauty contest, vale a dire la loro assegnazione gratuita che era stata prevista dal governo Berlusconi. Lo prevede l’emendamento al decreto sulle Semplificazioni fiscali che il governo ha approvato ieri su proposta del ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera. Le nuove norme prevedono la separazione tra gli operatori di rete e i fornitori di contenuti e l’obbligo, da parte chi acquisterà le frequenze, di consentirne l’uso ai fornitori di contenuti fino a un ammontare complessivo che dovrebbe essere del 60%. Agli operatori della telefonia che potrebbero essere interessati all’uso delle frequenze per le nuove tecnologie, è riservata una seconda fase della gara dopo il 2015. Per Rai e Mediaset, che avevano partecipato alla precedente gara, è previsto un indennizzo da definire, a valere sugli introiti della medesima gara. Che in pratica finirà per essere uno sconto sul prezzo pagato. «Il contesto critico della finanza pubblica del Paese — si legge nella relazione illustrativa che spiega la scelta del meccanismo dell’asta — ha richiesto una valutazione sul valore economico che l’uso di tali frequenze può produrre, con conseguente maggior afflusso di risorse finanziarie per lo Stato». Anche a questo scopo è prevista una ridefinizione, entro il 2012, dei contributi a carico dei titolari dei diritti d’uso delle frequenze per indurli, si legge, «ad un uso efficiente delle stesse, sia da un punto di vista tecnologico che economico». Per quanto concerne il meccanismo di aggiudicazione delle frequenze, sarà l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a definirne le regole. Si tratterà di una gara con aggiudicazione all’offerta economica più alta, anche mediante rilanci competitivi, per diritti d’uso la cui durata sarà modulata in funzione della destinazione del lotto. Successivamente una seconda asta, nella seconda metà del decennio, riguarderà gli operatori mobili. È obbligatoria la separazione verticale fra i fornitori di programmi e gli operatori di rete assegnatari (ad esempio tra Rai e Raiway o tra Mediaset e Elettronica industriale), che «saranno tenuti a consentire l’accesso dei primi a condizioni eque e non discriminatorie». È stabilita una tempistica per la progressiva installazione di nuovi sistemi di ricezione in tecnologia DVB-T2, in pratica la tv digitale di nuova generazione, su tutti i nuovi decoder e apparecchi televisivi a partire dal 2015. Antonella Baccaro *** Fonte: Edoardo Segantini, Corriere della Sera 18/4/2012 È una gigantesca patata bollente quella che il governo affida alle mani dell’Autorità per le comunicazioni (Agcom) di Corrado Calabrò mettendo le frequenze televisive all’asta entro quattro mesi e azzerando quindi il beauty contest, vale a dire l’assegnazione senza gara ma per «titoli» delle frequenze stesse. Una patatona con un nucleo a mille gradi Fahrenheit che, data la scadenza dell’attuale consiglio Agcom a metà maggio, ricadrà sulle scrivanie del successivo. Le decisioni prese dal governo sono difficilmente contestabili: il primo obiettivo è valorizzare una risorsa pubblica, l’etere, in un momento in cui tutto il Paese è chiamato a compiere sacrifici e un regalo come il beauty contest non è comprensibile. Il secondo è usare le nuove frequenze per aumentare il pluralismo, la trasparenza e l’apertura del mercato. Dando così una risposta convincente alla procedura d’infrazione della Commissione europea, finalizzata proprio a colpire il prolungarsi del predominio Mediaset-Rai nell’era digitale. Il terzo obiettivo è promuovere la modernizzazione delle telecomunicazioni, in linea con l’Agenda digitale europea. Queste grandi linee dovranno trovare applicazione nelle regole di gara che la «nuova Agcom» saprà, potrà e vorrà scrivere. Per evitare, ad esempio, che si ripeta quanto accadde con il disciplinare di gara del beauty contest concepito dall’ex ministro Paolo Romani, che assegnava a Mediaset (soprattutto) e a Rai le frequenze migliori. Ma proprio qui si annidano le maggiori difficoltà di applicazione. Nel documento del governo si dice che la partecipazione alla gara sarà riservata agli operatori di rete, «assicurando la separazione verticale tra i fornitori di programmi e gli stessi operatori di rete», che dovranno consentire l’accesso ai fornitori di programmi «a condizioni eque e non discriminatorie». Il guaio è che, anche in questo campo, l’Italia è «diversa». Mentre in altri Paesi europei ci sono aziende che si occupano solo di gestire le reti (l’Inghilterra ha Arqiva, la Francia Tdf, la Spagna Abertis, per fare solo tre esempi), in Italia le televisioni posseggono sia le infrastrutture che i programmi: Fininvest controlla l’azienda maggiore (Elettronica Industriale, che ha appena inglobato Dmt) e Rai possiede RaiWay. Per non dire di Telecom Italia e di altri. Sono tutti «integrati verticalmente». Alla luce di questa «diversità», come si applica l’indicazione del governo? Disintegrarli è difficile. Una risposta «permissiva» sarebbe quella di farli partecipare tutti alla gara, così come sono. Però in questo modo non si assicurerebbe quella separazione verticale che si vuole. Una risposta rigorosa sarebbe al contrario limitare la gara agli operatori di rete «puri», cioè agli stranieri, ma è una strada difficile persino da immaginare. Perché presupporrebbe che sia Fininvest che Rai venissero forzati alla separazione proprietaria, cioè a vendere in tutto o in parte la società che gestisce le infrastrutture. Una strada intermedia e ragionevole potrebbe essere quella di fare come nelle telecomunicazioni, prima in Inghilterra (con Open Reach) e poi in Italia (con Open Access), dove si è creata una separazione soltanto societaria (non di proprietà), per forzare l’ex monopolista ad affittare la propria rete a tutti i concorrenti a condizioni uguali, senza privilegiare, con trucchi o trucchetti, la propria «casa madre». Conclusione: la nuova Agcom si ritroverà in mano una pratica davvero complicata, ma avrà anche la chance di dimostrare che l’aggettivo «nuova» non è usurpato. E, se le cose andranno bene, com’è augurabile e possibile, il Paese avrà un sistema televisivo più equilibrato e moderno. Dove aziende ricche di risorse straordinarie come sono Rai e Mediaset potranno dare il massimo. Edoardo Segantini Fonte: Antonella Baccaro, Corriere della Sera 18/4/2012 Il Pdl accusa Passera: blitz sulle frequenze con il Pd – Un «pasticcio» per l’ex ministro delle Comunicazioni, Paolo Romani. Di più: «una pugnalata», secondo Silvio Berlusconi. Sull’asta per l’assegnazione delle frequenze digitali, inserita ieri dal governo in un emendamento al decreto Semplificazioni fiscali, il Pdl è passato all’opposizione nello spazio di una notte. Il tempo per Romani, che si era espresso favorevolmente in un’intervista al Corriere, di accorgersi che il testo approdato in commissione Finanze il giorno dopo non era quello «concordato» con il governo. «Il ministro Passera (dello Sviluppo economico, ndr) — ha accusato Romani — ha modificato il testo d’accordo con il Pd. Abbiamo tentato una mediazione per rimediare al pasticcio di questo ministro, ma il Pd non lo ha permesso». Il punto controverso riguarda il numero massimo di frequenze cumulabili in capo a un unico soggetto, che l’emendamento di Passera fissa in cinque multiplex, richiamando esplicitamente una delibera dell’Autorità per le telecomunicazioni del 2009 che era stata scritta per il beauty contest, cioè la gara gratuita voluta da Romani. Senonché all’epoca in cui fu pensata quella regola, sia Rai che Mediaset possedevano quattro multiplex, dunque c’era spazio per acquisirne un altro. Nel frattempo però qualcosa è cambiato: nell’aprile scorso il governo ha recepito una norma europea che consente a chi, ad esempio, possiede frequenze utilizzabili ai fini della telefonia, di adoperarle per la tv. È il caso anche qui di Rai e Mediaset che ora avrebbero la possibilità di trasformare la loro frequenza Dvbh per la telefonia in Dvbt per la tv. Facendo ciò però, a causa del tetto richiamato da Passera, non potrebbero più partecipare alla nuova asta. Proprio per questo Romani ieri ha ingaggiato una battaglia davanti alla stanza in cui era riunita la commissione Finanze della Camera per cambiare il testo, ottenendo anche una sospensione dei lavori. Ma alla fine Lega e Pd hanno fatto passare l’emendamento con l’astensione dell’Idv e l’opposizione di Pdl e Grande Sud. Berlusconi avrebbe invitato tutti alla calma, persuaso di trovare una soluzione nel suo incontro con Monti di domani. Il Pdl si aspetterebbe un nuovo decreto o un maxiemendamento. E intanto cresce la diffidenza verso Passera. «Il Pdl — interviene per il Pd l’ex ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni — sperava che nel passaggio dal beauty contest all’asta il tetto Antitrust si perdesse per strada, consentendo magari a Mediaset di passare dagli attuali quattro multiplex non a cinque, ma addirittura a sei o sette?». Sarebbe stato proprio Gentiloni, cui Passera avrebbe mandato in visione il testo prima del Consiglio dei ministri di lunedì, a rilevare come in esso non solo mancasse il comma con il richiamo alle soglie dell’Agcom ma queste venissero esplicitamente abrogate in un comma successivo. Sul punto il ministro avrebbe convenuto sulla necessità di ripristinare il tetto per assicurare il pluralismo richiesto dall’Ue, che contro l’Italia ha già aperto una procedura d’infrazione. Non per niente il ministro avrebbe accolto con sollievo ieri l’approvazione del meccanismo dell’asta da parte del commissario alla Concorrenza Joaquin Almunia. Il Pdl, tramite Gianni Letta, avrebbe fatto giungere proposte di modifica al sottosegretario Antonio Catricalà, ma Passera avrebbe tenuto il punto fino al vertice serale con Mario Monti. Dal ministero sarebbe stato fatto osservare al Pdl che «la trasformazione della frequenza Dvbh in Dvbt non è automatica ma necessita di una decisione del governo». Lasciando intendere che in ogni caso il governo a Mediaset e Rai vorrebbe destinare solo una frequenza in più. Antonella Baccaro Fonte: Ugo Magri, La Stampa 18/4/2012 L’ira del Pdl per le frequenze tv – Un’ora di diapositive: così è incominciato il vertice di Monti con i tre segretari. E come spesso in questi casi, grandi sbadigli perché sullo schermo non sono state proiettate belle fotografie, tipo quelle del Professore in viaggio nel medio Oriente, bensì tabelle e diagrammi illustrati dal ministro Passera circa i possibili interventi per la crescita. Con una serie di anticipazioni del Piano per le riforme che verrà presentato oggi in Consiglio dei ministri. Grande la folla di buoni propositi ma soldi per implementarli pochi, anzi praticamente zero se si dà retta alle voci da dentro. Le quali sussurrano che la discussione si è poi infiammata, perché «A-B-C» gareggiano nel chiedere più crescita e in fretta, dopo i sacrifici la gente vorrebbe scorgere la luce in fondo al tunnel. Laddove il presidente del Consiglio, spalleggiato dal viceministro Grilli, è meno preoccupato dal consenso e più dai mercati che attendono un passo falso del governo per poter dire «ecco i soliti italiani, hanno già abbandonato il rigore...». Mentre andiamo in stampa, l’incontro prosegue. Né si prevede che finisca prima delle ore piccole, perché la carne al fuoco è assai, come pure i motivi di tensione. Soprattutto Alfano, nelle ultime due settimane, ha incassato con stile parecchi colpi; dunque è salito sul ring di Palazzo Chigi con l’intenzione di restituirne qualcuno. Sulla riforma del lavoro, anzitutto, dove la sua controparte non è il Pd, semmai la Camusso, sicuramente il ministro Fornero che ha un’idea tenace della flessibilità in entrata, diametralmente opposta a quella che nel Pdl predica l’ala ex-socialista dei Sacconi, dei Brunetta, dei Cicchitto, dei Cazzola. Ma pure sulla giustizia Angelino vorrebbe smentire l’impressione che il Pdlstia beccando ceffoni, specie dopo lo «spacchettamento» della legge anticorruzione (marcerà a tappe forzate) dalle riforme care al Cavaliere (intercettazione e responsabilità dei magistrati) destinate invece al binario morto. Per non dire dello scontro sulle tivù, di cui nessuno in verità sentiva il bisogno, che da ieri mattina fa fibrillare il Palazzo. Il «falco» berlusconiano Romani accusa il governo, e Passera in particolare, di avere cambiato nottetempo col Pd l’asta sulle frequenze per mettere fuori gioco Rai e Mediaset; però nel giro di Bersani si nega la circostanza, e curiosamente perfino nello staff del Cavaliere qualcuno ipotizza che Romani abbia voluto farsi bello col Capo, mostrandosi vigile e reattivo su una materia (le tivù) che ad Arcore notoriamente interessa. Pure Bersani s’è presentato da Monti con i guantoni del pugile. Deciso a strappare qualche denaro per i Comuni, un po’ di sostegno dalla Cassa depositi e prestiti, insomma segnali concreti di stimolo all’economia perché «così le cose non vanno», dicono nel suo giro, di troppo rigore l’Italia potrebbe morire. Inevitabili le scintille con Grilli e pure una freddezza nei confronti del Professore. Il quale ha fatto rendere nota sul sito del governo una colazione domani con Berlusconi. Addirittura, se sono vere le voci dal Plebiscito, sarebbe stato Monti a sollecitarla (sebbene pure Berlusconi non chiedesse di meglio). Misteriosi i perché. Qualcuno azzarda che il presidente del Consiglio senta puzza di bruciato, avverta il rischio di elezioni a ottobre, dunque cerchi sponde dove è certo di trovarle. Però questo incontro mette doppiamente in difficoltà Bersani. Figurarsi come reagiranno nel suo partito se Monti farà felice Silvio sulle frequenze: chiederanno al segretario Pd che cosa è andato a fare ieri notte a Palazzo Chigi, se poi le decisioni vere Monti le prende a colazione col Cavaliere. E Bersani si domanderà a sua volta se vale la pena di considerare Alfano un interlocutore, dal momento che poi Angelino viene scavalcato dal fondatore di Forza Italia. Stanotte al vertice non era invitato, ma a modo suo c’è stato ugualmente. Ugo Magri *** Fonte: Francesco Spini, La Stampa 19/4/2012 Mediaset sulle barricate – «Capisco la voglia e la necessità di provare a fare cassa in un momento del genere, ma fare un’asta in cui è probabile che Mediaset e Rai non possano partecipare, mi pare un controsenso». Secondo Pier Silvio Berlusconi, sarebbe «un’asta come minimo al ribasso». A Mediaset è giorno d’assemblea e, davanti agli azionisti, esplode l’ira per le frequenze che potevano arrivare gratis e che ora, svanito il «concorso di bellezza», non solo si pagheranno ma, per una questione di tetti ai Multiplex, rischiano - secondo Cologno Monzese - di essere precluse al Biscione come alla Rai. Fedele Confalonieri ne è pressoché certo, «a quanto vedo, l’asta ci esclude». Ed «è una questione politica», sostiene, in cui «si è mossi da qualcosa di punitivo». In sostanza si «blocca» Mediaset «a favore di due concorrenti (Sky e La7, ndr) che hanno probabilmente entrature politiche migliori, che sono visti meglio, almeno da una certa parte, perché parlano inglese...». Per il presidente di Mediaset «di fatto Gentiloni è tornato ministro», già, quello che «voleva annientarci». E al governo: «Ma che crescita fai se dai uno stop alle due principali aziende che potrebbero investire?». Il busillis sta nella parte dell’emendamento del governo che ha ripristinato il tetto europeo di 5 Multiplex che Rai e Mediaset toccherebbero però solo se decidessero (ma hanno tempo 5 anni) di convertire la loro frequenza per trasmettere ai dispositivi mobili in un segnale classico per le antenne, passaggio che oltretutto deve essere autorizzato da Agcom e Antitrust. Procedura lunga, rispetto a una gara che inizierà tra 120 giorni, con la pubblicazione del bando: l’esclusione, dunque, sarebbe improbabile. Per questo il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, tranquillizza: «Il testo - spiega - non impedisce a nessuno di partecipare alla gara». Semplicemente sono stati «confermati e chiariti» i vincoli che erano stati concordati con la Commissione europea. Stizzita la reazione del suo predecessore allo Sviluppo, Paolo Romani, il primo a denunciare la presunta esclusione del Biscione: «Passera studi le carte!», tuona. L’accordo col Pdl è tradito, «ma certo non metteremo in crisi il governo per questa vicenda», assicura Romani. E, in serata, anche Mario Monti sostiene la scelta sulle frequenze, «una decisione che come premier appoggio e difendo». Il primo ad attaccare Passera è proprio Confalonieri, al termine dell’assemblea Mediaset. Del ministro dice di avere «un’ottima opinione. A volte però anche i preti sbagliano a fare la Messa e questa volta Passera ha sbagliato». Ricorda che Mediaset ha fatto ricorso al Tar del Lazio contro la sospensione, in gennaio, del beauty contest gratuito che «è la formula utilizzata in gran parte degli altri paesi europei». Rigetta le accuse di gratuità e regali a Mediaset, frutto di una «campagna ossessiva, maniacale, martellante e disonesta». Il suo gruppo «le sue frequenze le ha pagate tutte, anche quella Dvb-h», negli anni il costo è stato «di un miliardo». Il presidente vede «tanta demagogia: far pagare alle ricche televisioni le frequenze anziché diminuire i redditi dei cittadini con nuove tasse». E invece «le tasse sono aumentate e siamo proprio sicuri che l’asta produrrà introiti significativi per lo Stato?», lasciando intendere poca fiducia nelle previsioni di 1-1,2 miliardi di possibili entrate dalla gara. Non è detto che Mediaset parteciperà all’asta, «ancora non possiamo dirlo. Vedremo il disciplinare che farà Agcom». Ma contro le esclusioni e altro, «siate sicuri che andremo avanti per difendere i nostri diritti». Dopotutto per Mediaset, sostiene il vice presidente esecutivo Pier Silvio Berlusconi, «non c’è necessità immediata» di nuovo spazio trasmissivo, «ma è chiaro che in prospettiva questo rappresenta un valore in un mercato in continua evoluzione». Con l’arrivo delle tecnologie Dvb-T2 e Mpeg-4, però, i multiplex attuali saranno molto più potenti: con 5 si potranno trasmettere oltre 70 canali contro i 25 attuali. Intanto Mediaset registra una pubblicità anemica che nel primo trimestre cala di circa il 10%. Punta a diversificare i ricavi e sempre più su Internet, per cui conta di chiudere prima dell’estate un accordo con un gigante della Rete. E procederà col taglio dei costi: 250 milioni in tre anni, ma in vista ci sono anche «ristrutturazioni e alleggerimenti». Francesco Spini Fonte: Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 19/4/2012 Asta delle frequenze tv l’ira di Mediaset Monti difende la scelta – Il momento della verità è fissato alla Camera per stamattina. Alle 10 inizia la prima chiama per il voto di fiducia sulle Semplificazioni fiscali, il decreto legge al quale è stato agganciato l’emendamento del governo che cancella il beauty contest, cioè l’assegnazione gratuita delle frequenze tv, sostituendolo con il meccanismo dell’asta. «Voteremo senza dubbio sì», assicura Paolo Romani, l’ex ministro che aveva la delega alle Comunicazioni nell’ultimo governo Berlusconi. Era stato proprio Romani, dopo aver detto a caldo che il Pdl «per senso di responsabilità non farà opposizione», a lanciare accuse pesanti al governo Monti. Aveva parlato di «vulnus politico», puntato il dito contro il suo successore al ministero, Corrado Passera, perché avrebbe «violato accordi presi col Pdl». E così ha acceso lo scontro nel giorno in cui Silvio Berlusconi ha cancellato l’incontro di oggi con Monti, che ha definito quella sull’asta tv una «decisione che appoggio e difendo». La partita si gioca sul numero massimo di frequenze che può essere cumulato da un unico soggetto. L’emendamento Passera riprende una delibera dell’Autorità per le comunicazioni del 2009 e le fissa a cinque. Ma nel frattempo le regole sono cambiate per il recepimento di una direttiva europea. Passera respinge ogni accusa: «I vincoli sono gli stessi previsti dalla procedura di beauty contest, non abbiamo mai avuto intenzione di modificarli, li abbiamo confermati: pensiamo che questa chiarificazione non impedisca a nessuno di partecipare alla gara». Secca la risposta di Romani: «Studi meglio le carte». E a rincarare la dose è direttamente Mediaset, che aveva già presentato ricorso al Tar contro la decisione presa a gennaio di sospendere il beauty contest. Il vicepresidente Pier Silvio Berlusconi parla di «strano stop» anche se «non c’è la necessità di uno spazio (di frequenze, ndr) pronti via» cioè nell’immediato. «Passera ha sbagliato, non so se parteciperemo all’asta», aggiunge il presidente Fedele Confalonieri, nel giorno in cui parla pure di Emilio Fede, «giornalista fazioso ma trasparente» aggiungendo che dopo il cambio alla direzione, il Tg4 «sta andando molto bene». Cosa c’è dietro lo scontro? Il pd Vincenzo Vita la vede così: «Volendo pensare male, e magari facendo pure peccato, dal punto di vista del Pdl potrebbe essere un modo per mettere pressione sul rinnovo dei vertici dell’Agcom, l’autorità garante delle comunicazioni. O puntare su una base d’asta particolarmente bassa». Ma dal Pdl Maurizio Gasparri insiste, parlando di «legge vendetta» che «crea un danno al settore e potrebbe azzerare gli incassi per lo Stato». Gli ultimi nodi saranno sciolti oggi. Il governo ha messo la fiducia sul testo uscito dalla commissione Finanze, dopo modifiche chieste dalla Ragioneria generale dello Stato. Tra queste una restringe la strada dell’agevolazione sull’Imu per la prima casa che i Comuni possono concedere agli anziani ricoverati in ospizio. Saranno gli stessi Comuni a dover trovare i soldi per finanziare lo sconto. E di questi tempi non sarà certo facile: il presidente dell’Anci Graziano Delrio ripete che sull’Imu è «stato fatto un pasticcio» e annuncia una manifestazione sulle difficoltà degli enti locali per il 24 maggio a Venezia. Lorenzo Salvia Fonte: Paola Di Caro, Corriere della Sera 19/4/2012 Berlusconi rinuncia al pranzo dal premier Casini: ministri con me – Dopo un vertice difficile, non poteva che arrivare un post vertice caotico. Nella nottata di martedì né Alfano, né Bersani se ne sono tornati a casa allegri e soddisfatti dopo quasi sei ore di incontro con il premier e con — per dirla con Casini che non deve aver gradito troppo l’affollamento — «una ventina di altre persone», molti dei quali ministri. Ricette ritenute ancora poco incisive sulla crescita e un clima comunque pesante per quelle che — dicono negli entourage dei tre leader — sono state «le ultime, frequenti mosse poco accorte di alcuni esponenti del governo», hanno accompagnato una sorta di diffidenza reciproca tra partiti da una parte e premier dall’altra, sfociata su una discussione garbata ma scivolosa sul tema dell’antipolitica. In questo clima del giorno dopo, a creare ulteriori, pericolose fibrillazioni per il governo sono arrivati altri due fatti. Il primo è stata la cancellazione dell’annunciato pranzo a due tra Berlusconi e Monti, previsto per oggi. Un pranzo che aveva innervosito non solo Bersani, ma anche lo stesso Alfano, quasi ricacciato nel ruolo di chi prepara i dossier che poi il vero capo (il Cavaliere) approva o boccia. Il secondo, ancora più difficile da gestire per le conseguenze potenzialmente traumatiche, è stato l’annuncio da parte di Casini, a Otto e Mezzo, che prima delle Politiche nascerà sicuramente il già più volte evocato Partito della nazione, che diventerebbe calamita per i moderati di entrambi i poli, e al quale aderirebbero «alcuni ministri del governo». Passera? Casini non si sbilancia: «E chi lo sa...». Ma basta il generico accenno, in un Palazzo dove le voci di voto anticipato si fanno ogni giorno più forti, a scatenare un putiferio. A mandare l’avvertimento a Casini che così non si va avanti è uno degli uomini più vicini ad Alfano, Maurizio Lupi, che appena uscito da un vertice ristretto del suo partito con Berlusconi definisce le parole dell’alleato «azzardate se non addirittura gravi e pericolose per il futuro del governo Monti», perché se fossero vere sarebbe «evidente che questo non è più un governo tecnico. E non mi sembra una buona notizia». La fibrillazione in queste ore è tale che, appunto, Berlusconi ha deciso di annullare l’incontro con Monti per «non alimentare polemiche» ed «evitare o prevenire insinuazioni malevole su questioni inerenti le frequenze televisive». Ci si vedrà «in maniera più utile» quando sarà completata la valutazione del Pdl «sui provvedimenti fiscali, su quelli che riguardano la casa e sulle misure per la crescita». Insomma, i problemi da risolvere per il governo sono tanti: «Basta tasse e balzelli in ogni norma», tuona Alfano, mentre Bersani lamenta che non sono passate le richieste del Pd per un maggior coinvolgimento dei Comuni sulla crescita. Se ne riparlerà a maggio, si è convenuto, dopo le Amministrative, quando si tireranno le somme sul reale stato di salute del sistema dei partiti. Sistema dal quale Monti, nel vertice, ha quasi preso le distanze. A loro, dopo riflessioni sui messaggi su Twitter e gli ultimi sondaggi, ha chiesto di muoversi in fretta per contrastare la spinta antipolitica, a partire dal finanziamento ai partiti «perché anche il consenso del governo scende per questa situazione, e mi chiedo se spendermi in questo senso non possa essere utile...». Cosa che ha fatto ieri in pubblico, irrigidendo ulteriormente le posizioni: «Non è ipotizzabile — avverte Fabrizio Cicchitto — una sorta di uomo della provvidenza...». Paola Di Caro Fonte: Francesco Verderami, Corriere della Sera 19/4/2012 Mossa del Cavaliere: evita la trappola tv e «aspetta» il governo su Fisco, crescita e casa – La sua leadership val bene un pranzo. Perciò il Cavaliere ha cancellato l’appuntamento con il Professore, per non cadere in quella che ai suoi occhi si era trasformata in «una trappola», in un’operazione da «divide et impera» messa in atto da Monti, e che lo avrebbe danneggiato. Perché se Berlusconi avesse varcato il portone di Palazzo Chigi, si sarebbe esposto ancora una volta alle critiche sul conflitto d’interessi, avrebbe avvalorato la tesi di chi lo ritiene pronto a far saltare il banco pur di salvare le aziende, e avrebbe plasticamente delegittimato Alfano, sconfessandone il ruolo di mediatore con il premier e depotenziando così la sua battaglia sul fronte economico contro «i nuovi balzelli». Per quanto possa apparire paradossale, è proprio innalzando la temperatura politica che il Cavaliere dimostra di non volere le elezioni anticipate, perché alimentando le voci sul voto a ottobre riesce a tenere unito il Pdl, dove ormai sono in molti a premere per la fine anticipata della legislatura. In realtà Berlusconi ha ancora bisogno di Monti e non esclude di poter puntare in futuro su di lui. Ma siccome anche Monti ha bisogno di Berlusconi, e ne ha bisogno adesso, il gioco di ieri è stato un saggio del braccio di ferro sulle regole di ingaggio, su chi tra i due può fissare le condizioni. E non c’è dubbio che le ultime condizioni poste dal governo, su molti temi, non sono piaciute all’ex premier. La decisione di disertare il rendez-vous a Palazzo Chigi, Berlusconi l’aveva presa già nella nottata di martedì, dopo un colloquio con Alfano. Il segretario del Pdl, terminato il vertice con Monti, si era recato a palazzo Grazioli per riferire al Cavaliere l’esito dell’incontro di «maggioranza»: «La situazione è molto critica su tutti i fronti», era stato l’incipit. Sulla materia economica il Professore non aveva offerto margini alle richieste del partito, e le norme sulla giustizia illustrate dal Guardasigilli facevano prospettare uno scenario drammatico per le sorti di autorevoli esponenti del centrodestra. Quanto al nodo delle frequenze, Alfano aveva raccontato al Cavaliere di un burrascoso faccia a faccia con il ministro dello Sviluppo, Passera, avvenuto in una saletta attigua alla stanza del premier. È stato allora che il disappunto di Berlusconi si è tramutato in una smorfia, è stato a quel punto che ha preannunciato di non voler più incontrare il premier. La mossa è tattica, per la strategia bisognerà attendere maggio, quando si calcoleranno insieme il risultato delle amministrative e gli ultimi sondaggi sull’umore dell’opinione pubblica colpita dall’«effetto Imu». Non è un caso quindi se ieri — annunciando ufficialmente il cambio di programma — il Cavaliere ha posto in evidenza i temi economici, se prima di vedere Monti vorrà «valutare» i provvedimenti del governo sul Fisco, sulla crescita e sulla casa. L’ultimo riferimento è stato studiato a tavolino, visto che nei report di Euromedia research risalta come gli elettori considerino ancora oggi l’abolizione dell’Ici «la più importante riforma del governo Berlusconi». Per questo motivo oggi a Montecitorio Alfano farà presentare dal gruppo del Pdl una mozione con cui si chiede al governo di ridurre gli effetti dell’Imu a tassa «una tantum». Sarà un passaggio parlamentare delicatissimo, perché non è ancora chiara la posizione dell’esecutivo, non si sa infatti se accoglierà il documento o lo lascerà al giudizio dell’Aula. In quel caso bisognerà verificare la reazione degli altri partiti di «maggioranza», e bisognerà vedere quali saranno i giochi dell’Assemblea: c’è il rischio che si formino altre «strane maggioranze» o che si ricomponga la «vecchia maggioranza» di centrodestra. Così il Pdl intende inviare un messaggio in codice al Professore, per ribadire quali sono i rapporti di forza nelle Camere e contrapporsi a certe «forzature» del governo. Perché un conto è la stima verso il premier, ma è evidente — come sussurra un fedele amico del Cavaliere — che «quel Passera lì a Silvio non va giù». Annullando l’appuntamento a pranzo, Berlusconi ha preferito farlo capire a Monti senza dirglielo. Francesco Verderami Salvatore Merlo Il Foglio 19/4/2012 DIETRO AL PRANZO SALTATO CON MONTI UBBIE DEL CAV. E MALUMORI DI CORTE - Roma. “Rinviamo l’incontro. Si terrà dopo una verifica del Pdl sui provvedimenti del governo”, riferisce una nota di Paolo Bonaiuti. Ieri pomeriggio Silvio Berlusconi ha telefonato a Mario Monti per cancellare un pranzo di cortesia fissato da tempo. Al professore, il Cavaliere ha spiegato di sentirsi in imbarazzo, di non voler dare l’impressione che l’incontro di Palazzo Chigi, in agenda da prima che deflagrasse la grana delle frequenze televisive, fosse finalizzato a una trattativa pro Mediaset. Ma la decisione del Cavaliere precipita in un contesto di intenso tramestio all’interno del suo partito e scatena diversi, e foschi, retropensieri. All’interno del Pdl, negli ultimi giorni si è fatta forte una strana linea antimontiana (dal mercato del lavoro, alla giustizia, passando per le frequenze tv) che anche Pier Ferdinando Casini ha intercettato, decrittando le parole e la prossemica di Angelino Alfano al vertice di martedì notte tra i segretari di partito e Monti. “Spero che sia solo tattica dovuta all’approssimarsi delle elezioni”. Ed è possibile. Berlusconi è spinto da due esigenze politiche: non scavalcare Alfano (il Cavaliere rinunciò anche a una puntata di “Porta a Porta” poco tempo fa) e tenere insieme il Pdl diviso tra montiani e antimontiani. Tuttavia non è vero che al vertice non si è parlato dell’asta per le frequenze. A un certo punto, infatti, nel corso di una pausa del lunghissimo incontro tra i ministri tecnici e l’ABC (Alfano, Bersani, Casini), non visto dagli altri, Corrado Passera ha preso da parte Alfano. La conversazione ha avuto toni a tratti accesi. Passera ha negato di aver “violato” gli accordi sulle frequenze stipulati con il Pdl e Paolo Romani, dicendo ad Alfano che le modifiche all’emendamento sull’asta “le avevo comunicate a Massimo Vari”, sottosegretario allo Sviluppo, di area Pdl e considerato vicino all’ex ministro Romani. Alfano avrebbe risposto che “di queste cose io non me ne occupo”, ma dalla conversazione, il segretario del Pdl ha ricavato un’impressione di malmostosità che ha trasmesso a tarda sera anche al Cavaliere (intanto riunito con un gruppo ristretto di dirigenti). Ma non è solo la tv. Bersani e Casini, nella notte di martedì, hanno notato nel volto di Alfano delle espressioni di dissenso mentre a parlare era il Guardasigilli Paola Severino. Il pacchetto sulla giustizia che il ministro Severino ha illustrato ad Alfano, Casini e Bersani è forse dirimente. Al Cavaliere non piace l’introduzione del reato di “traffico d’influenza” e teme ritorsioni politico giudiziarie per alcuni uomini a lui vicini. Così la decisione di cancellare il pranzo con Monti ha preso corpo nella notte di martedì e Alfano – che consigliava cautela e diplomazia – l’ha vista maturare sotto i suoi stessi occhi. Ieri in una nota ufficiale il Cavaliere ha individuato nel dossier economico l’unico vero problema con il governo perché, come dice Maurizio Gasparri, “siamo molto, molto insoddisfatti dell’inadeguatezza dei tecnici”. Ed è su questo artificio retorico – “il problema è l’economia” – che il Cavaliere distende la sua trama tutta politica verso l’interno di un Pdl in affanno, e verso un governo con il quale intende forse alzare il prezzo di una trattativa ben più ampia. Il paradosso, che fa impazzire gli ultra montiani del Pdl, è che nel giorno in cui il Cavaliere annulla l’incontro con il professore alimentando gli scricchiolii di Palazzo, Monti in conferenza stampa si rivolge invece a lui con rispetto: “Personalità tuttora presente nella vita politica italiana in modo evidente ed incisivo”. Ma sono in tanti a versare parole di guerra nelle orecchie di Berlusconi, anche Renato Brunetta. L’ex ministro della Funzione pubblica dice che “dovremmo andare subito alle elezioni anticipate. In autunno”. E Daniela Santanchè, unità di misura accreditata delle inclinazioni umorali di Palazzo Grazioli, dice: “Monti aveva cominciato bene con la riforma delle pensioni, ma ha esaurito la sua spinta propulsiva”. Pensieri che tuttavia si scontrano con le analisi più fredde, razionali, del quadro politico. “Onestamente, al di fuori del perimetro di Monti, in questo momento non c’è niente”, dice Franco Frattini. Un’analisi che conferma l’idea che di tutta questa faccenda si è presto fatto anche Pier Ferdinando Casini (“spero sia tutta tattica”). D’altra parte nel Pdl non sono pochi quelli che vedono in Monti, e in un progetto di unità nazionale finalizzato a riforme di medio e lungo termine, l’unica via d’uscita dalla crisi per i partiti accerchiati da troppi scandali e minacciati dalla gogna antipolitica. Salvatore Merlo Twitter @SalvatoreMerlo Ettore Livini, la Repubblica 19/4/2012 "Assurdo, Mediaset resta fuori si torna ai tempi del governo Prodi" – MILANO - «La nuova gara per le frequenze? Così com’è congegnata rischia di escludere Mediaset in partenza. È assurdo. Sembra di essere tornati ai tempi in cui Paolo Gentiloni era ministro. Al momento una cosa sola è certa: sarà un’asta al ribasso». Pier Silvio Berlusconi ha un diavolo per capello (nel suo caso tanti). Non arriva ai picchi polemici di Fedele Confalonieri («Passera? Ha sbagliato. Parteciperanno solo Sky e La7 che hanno entrature politiche migliori di noi» tuona il presidente del Biscione, orfano dei bei tempi del governo del Cavaliere). Pure il figlio dell’ex-premier però, che fiuta aria di interventi a gamba tesa come all’epoca del governo Prodi, promette battaglia: «Vedremo più avanti se presentare la nostra offerta. Ma di sicuro combatteremo fino in fondo per difendere il sacrosanto diritto a essere ai nastri di partenza». Nostalgia del vecchio beauty contest gratuito cancellato dal governo Monti? «Il beauty contest era una procedura che ricalcava quello che è stato fatto nelle gare per le frequenze in quasi tutto il resto d’Europa». Non le pare inopportuno regalare un bene dello Stato in un momento in cui si chiedono tanti sacrifici agli italiani? «In linea di massima sì. Però in questo caso parliamo di un bene da piazzare su un mercato sovraffollato che fatica a tenere in piedi le aziende che ci sono. E alla fine non credo che l’asta darà i grandi risultati di cui si parla in questi giorni». Come giudica le nuove regole per la gara fissate dal ministro Passera? «Il tetto ai cinque multiplex rischia di mettere fuori gioco prima del via sia Mediaset che la Rai. Un assurdo, visto che siamo le due aziende italiane - una privata e una pubblica - che investono di più in contenuti e in frequenze. Non è giusto escluderci a priori. Sembra di essere tornati ai tempi in cui al ministero delle comunicazioni c’era Paolo Gentiloni. Tra l’altro se escludi dall’asta i due maggiori player sul mercato tricolore, di che asta parli? Se il governo, visto la stato dei conti pubblici, vuole davvero massimizzare le entrate, la decisione di fare a meno di noi e di viale Mazzini rischia di rivelarsi un boomerang». Voi parteciperete? E quando siete disposti a spendere? «Di sicuro difenderemo fino in fondo il nostro diritto a presentare un’offerta. In teoria non abbiamo bisogno di queste frequenze, potremmo andare avanti benissimo a fare il nostro mestiere con quelle che abbiamo. Ma si tratta sempre di un valore in vendita ed è fondamentale non perdere opportunità come queste in un mercato che sta cambiando pelle molto rapidamente. Decideremo se partecipare o no all’asta quando l’Agcom fisserà i paletti reali». Deluso dal governo tecnico? «Ho sempre guardato con favore all’operato del Governo Monti. Altrettanto onestamente devo dire che alcune cose di recente non stanno dando i risultati sperati. E - come leggo su tutti i giornali - mi pare ci sia troppa attenzione ai tagli e niente a quello che riguarda lo sviluppo». Ha promesso di disegnare una Mediaset più leggera ed efficiente. Significa che il Biscione dovrà licenziare? «Abbiamo messo in atto una manovra di efficienza che ci farà risparmiare almeno 250 milioni di euro in tre anni. Non ci sono terapie d’urto sul personale. Le ristrutturazioni però fanno parte di un periodo difficile come questo. Erano già previste, semplicemente ora le facciamo un po’ più in fretta». Il titolo è ai minimi. Siete dovuti uscire con forti perdite da Endemol. La Spagna non va. La pay tv fatica più del previsto. Niente da rimproverarsi come manager? «Da Endemol non siamo dovuti uscire ma abbiamo voluto uscire noi. In Spagna - dove la situazione economica se possibile è peggiore di quella italiana - siamo il primo gruppo televisivo. E in futuro andremo alla grande. In Mediaset Premium crediamo molto. Sarà un business sempre più importante per il gruppo e già oggi, anche se è in rosso, rappresenta un patrimonio reale. Basta pensare che un’importante pay-tv europea come Sky Deutschland (250 milioni di perdite nel 2011) vale in Borsa 1,6 miliardi. Tra l’altro ci siamo lanciati nei contenuti su internet, dove siamo i primi in Italia». Peccato che gli ascolti della tv non siano più quelli di una volta... «Non è vero: da inizio 2102 le reti Mediaset fanno il 41% di ascolto in prima serata sul target commerciale contro il 36,2% (-2% rispetto al 2011) della Rai. Alla faccia della fine della televisione generalista. Sono convinto che abbiamo fatto tutto il necessario per affrontare il futuro al meglio». A novembre e dicembre, dopo che suo padre ha lasciato Palazzo Chigi, la pubblicità su Mediaset - per la prima volta dopo molto tempo - è calata più di quella dei concorrenti. Come lo spiega? «Qualunque fossero i dati, a novembre è arrivata una crisi importante. Se è successo, comunque, è stata una coincidenza». Carmelo Lopapa, la Repubblica 19/4/2012 Frequenze tv, Monti difende l’asta Passera: "Nessuno sarà escluso" Confalonieri attacca: hai sbagliato – ROMA - Mediaset impugna al Tar la decisione del governo di cancellare l’assegnazione gratuita delle nuove frequenze digitali. Anzi no, è tutto «un equivoco». Per un altro giorno la politica resta ostaggio del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi. Ma il governo tira dritto e il Pdl dopo aver messo la maggioranza a ferro e fuoco incassa la sconfitta. La battaglia è persa, ma il caso non è chiuso: sulla tv una nuova decisiva partita si giocherà dopo l’estate. Restano gli strascichi e le minacce, appesantite dal colpo di scena finale: Berlusconi cancella il pranzo con Monti in programma per oggi a Palazzo Chigi. È Fedele Confalonieri ad annunciare che Mediaset fa ricorso contro l’emendamento che cancella il beauty contest - l’assegnazione gratis dei nuovi canali voluta dal governo Berlusconi - e lancia la gara a pagamento (potrebbe fruttare più di un miliardo). In mezzo, una giornata di polemiche, fino a quando una nota di Cologno Monzese ritira la mano: «Non c’è nessun ricorso, è un equivoco», si riferiva a un precedente ricorso. Eppure Confaloneri aveva parlato di decisione «punitiva» e volontà di Passera di premiare per ragioni politiche La7 e Sky. Sortita inutile perché Monti blinda l’emendamento («Lo appoggio e lo sostengo»), dice di credere che non avrà ripercussioni nei rapporti con il Pdl ed esclude che ne parlerà al pranzo programmato con Berlusconi. Passera aggiunge che «nessuno è escluso dall’asta», come invece sostengono i berlusconiani. Ma Paolo Romani- padre del beauty contest- non si dà per vintoe parlando con il ministro Giarda alla Camera alza i toni: «Passera impari a studiare le carte, Mediaset e Rai sono fuori». Eppure il caso è chiuso. Il governo pone la fiducia sul decreto fiscale (si vota oggi) che contiene l’emendamento tv e Romani deve ammettere: «La partita è finita qui, ma non per questo faremo cadere il governo». Resta la differente versione dei fatti, con il Pdl che parla di esclusione di Mediaset e Passera che nega. La decisione (che fa infuriare il Pdl) di ribadire il tetto di cinque pacchetti di frequenze digitali per operatore (in gergo Multiplex, ciascuno dei quali contiene almeno cinque canali) conferma una norma Ue già contenuta (ma aggirata) nel beauty contest. Questo il punto: Rai e Mediaset hanno 4 Multiplex più un lotto di frequenze inutilizzate (Dvbh) che vogliono convertire in digitale (Dvbt). Per Romani la conversione arriverà entro due mesi, chiudendo le porte della gara al Biscione. Per il governo non è vero: le procedure saranno più lunghe e Mediaset farà in tempo a partecipare all’asta. Toccherà poi all’Agcom decidere se bloccare la conversione delle frequenze del Dvbh in digitale o se considerarle esterne al tetto di5 Multiplex visto che anni fa sono state acquistate a caro prezzo. Ecco perché Gentiloni parla di «polverone». Sollevato per condizionare la futura scelta sul sesto pacchetto. Nelle stesse ore, a Palazzo Grazioli si sfoga l’ira di Berlusconi. Ufficialmente la richiesta di rinviare il pranzo con Monti viene motivata con l’intenzione di «non alimentare polemiche e prevenire insinuazioni sulle frequenze». Il fatto è che l’ex premier - racconta chi gli ha parlato - ha preso malissimo la decisione di indire l’asta e la successiva chiusura di Monti, dal quale invece si attendeva una linea più trattativista, mentre l’appuntamento di oggi era atteso proprio per smussare gli angoli e sondare la disponibilitàa un ripensamento rispetto alla rigorosa linea di Passera. Proprio il super-ministro è ormai additato dal Cavaliere come «vero» avversario: «È stato lui a cambiare le carte in tavola d’intesa con uomini del Pd», ripete in privato Berlusconi, «se vuole far politica, faccia pure, ma non sulla pelle delle mie aziende». È a quel punto che i falchi anti-governativi - gli ex An aizzano il Capo. Scorgono una crepa per rompere l’idillio con il Professore e Berlusconi li segue annullando il pranzo. Si parla di una telefonata di riparazione tra con Gianni Letta, ma il premier la notizia l’ha appresa dai media. E non se l’aspettava. Giovanna Casadio e Alberto D’argenio, la Repubblica 18/4/2012 Frequenze tv, il Pdl attacca Monti "Patti traditi su Rai e Mediaset" – ROMA - Lo scontro sull’asta per le frequenze tv si abbatte come una tegola sul vertice serale tra Monti e i leader di Pdl, Pd e Terzo Polo. Preparato dal premier per rilanciare la crescita, trovare la quadra finale sulla riforma del lavoro, affrontare i nodi della giustizia e, soprattutto, per blindare il patto politico con Alfano, Bersani e Casini, si trasforma in una resa dei conti dentro una maggioranza già in fibrillazione. E il convitato di pietra è Silvio Berlusconi, che Monti incontrerà domani a colazione, infuriato perché giudica danneggiata Mediaset dalle decisione sulle frequenze. Tutto alla vigilia del cruciale consiglio dei ministri di oggi che approverà il Documento di economia e finanza (il vecchio Dpef) e il Piano nazionale di riforme da mandare a Bruxelles. Le ore che precedono la cena di Palazzo Chigi si trasformano in un drammatico conto alla rovescia. Tutto succede alla commissione Finanze della Camera, dove si vota l’emendamento al decreto fiscale approvato lunedì dal governo che cancella il beauty contest (l’assegnazione gratis delle nuove frequenze digitali) e indice l’asta a pagamento. Il Pdl parte all’attacco e accusa: dopo un blitz del Pd il testo arrivato a Montecitorio è diverso da quello concordato in precedenza con Passera. Ma l’emendamento passa nonostante il no del Popolo della libertà e Grande Sud. Nel Pdl si narra di un Berlusconi infuriato in particolare con Gianni Letta, che avrebbe seguito la partita dietro le quinte. L’ex ministro Paolo Romani minaccia: «È un fatto gravissimo e da irresponsabili». Accusa Passera di non avere mantenuto i patti e svela la rabbia di Cologno Monzese: «Così com’è l’emendamento non consentirà a Rai e Mediaset di partecipare alla gara ». Se l’Unione europea, per bocca del commissario Almunia, dà il via libera all’asta ( «promuove la concorrenza»), a Roma è guerra. Romani protesta con Passera e Catricalà. Chiede ad Alfano di sollevare il tema nel vertice serale, di spingere per ritirare l’emendamento e dare tempo di trovare un accordo tra i partiti. Ma Bersani è categorico: «Il governo vada avanti». Lo staff di Passera intanto parla di "serenità" per quanto fatto, rimandando al mittente le accuse di inciucio con il Pd. Questo l’oggetto del contendere: il governo ha inserito il tetto di 5 Multiplex, che corrispondono a circa 5 canali digitali ciascuno. Rai e Mediaset ne hanno già quattro e aspettano la conversione di vecchie frequenze (Dvbh) in digitale (Dvtb). Per Romani la conversione avverrà entro 90 giorni, quindi prima della gara escludendo di fatto i due ex monopolisti che avrebbero già 5 Multiplex. Per il ministero dello Sviluppo «è falso»: «Non è automatico che avranno la conversione e comunque non arriverà prima della gara», spiegano i tecnici di Via Veneto. «E comunque il tetto è chiesto dalla Ue». Certo, aggiungono con malizia gli esperti del Pd, con il beauty contest scritto dal governo Berlusconi «questo limite veniva aggirato». Tanto basta per guastare il vertice della distensione, sul quale piombano anche i dati negativi dell’Fmi. Monti aveva avvertito ABC ricordando che «non dobbiamo e non possiamo abbassare la guardia, dobbiamo proseguire con le riforme e con il risanamento». Un tema, quello della crescita, su cui Bersani insiste con un elenco di proposte per cercare di limitare i danni della recessione. Alfano punta alla diminuzione delle tasse, intestandosi la rateizzazione dell’Imu, altro elemento di tensione con il Pd. Casini media e ricorda che non possiamo pensare di uscire dalla crisi senza affrontare la «vertenza europea sulla crescita». «La crescita - ribadisce Monti - è il tallone d’Achille dell’Ue». Francesco Bei, la Repubblica 18/4/2012 Il Professore non fa retromarcia "Quell’asta ce la impone l’Ue" Ma sulla crescita mette 50 miliardi – ROMA - «Possiamo uscire dalla recessione entro quest’anno, io ci credo ancora, ma dobbiamo accelerare sulle riforme. Da parte sua il governo mette sul piatto 50 miliardi». Nonostante le previsioni nere del Fondo Monetario, che rinvia al lontanissimo 2017 il pareggio di bilancio, Mario Monti sferza i segretari della sua maggioranza. È un vertice d’emergenza, la crisi morde ancora e la tenuta politica del governo è a rischio. La giornata infatti è stata nera edè finita malissimo alla Camera con uno scontro furibondo tra il Pdl e il governo per l’esclusione di Mediaset dall’asta sulle frequenze. Alfano è al tavolo proprio per chiedere conto a Passera e Monti del «tradimento» rispetto alle promesse di «neutralità» sulle tv. Berlusconi sono 24 ore che lo tempesta di telefonate. Il Cavaliere ce l’ha con tutti, anche con Gianni Letta, a cui aveva affidato il compito di supervisionare la trattativa. Invece è tutto andato storto e dovrà occuparsene personalmente nel pranzo di domani con Monti e Catricalà. Anche se il premier ha già detto chiaro e tondo che non intende fare marcia indietro: «L’asta la dobbiamo fare per forza, è la normativa europea». A sorpresa a palazzo Chigi, alle sette di sera, Alfano, Casini e Bersani si trovano davanti, oltre a Monti, mezzo governo. È una sorta di Consiglio dei ministri allargato ai leader "ABC", non è più tempo di foto sorridenti postate su Twitter. Si va subito al sodo. Si siedono, oltre al premier, i ministri Passera, Fornero, Giarda, Patroni Griffi, Moavero, Severino, il sottosegretario Catricalà e il viceministro all’Economia Grilli. Una batteria schierata, che sbroglia in poco tempo la questione giustizia e passa al tema vero della serata: la crescita, «il cuore del problema italiano», ammette Monti. Bersani gli chiede di intervenire subito con qualcosa che possa alleviare il disagio sociale. Consentendo anche ai comuni più ricchi di spendere qualcosa, operando almeno una «piccola manutenzione» del patto di stabilità. Alfano si mette di traverso contro un possibile aumento dell’Iva, «che aggraverebbe gli effetti della recessione». Casini vorrebbe misure fiscali per imprese e famiglie. E tuttavia il capo del governo mette in chiaro che soldi per politiche keynesiane, come gli chiedono i partiti, non ce ne sono. E allora cosa si può fare? La parola passa al ministro Passera. Si spengono le luci e partono gli effetti speciali: sulla parete vengono proiettate 40 "slide" in PowerPoint con le misure in corso d’opera e quelle in cantiere. È la prima volta che Passera alza il velo su quella che ha ribattezzato «Agenda per la crescita sostenibile». Si tratta di «un corpus di misure che punta ad accelerare le riforme strutturali affinché l’Italia riprenda a crescere a un ritmo superiore a quello degli ultimi dieci anni, cheè stato sempre sotto la media europea». Una critica implicita ai governi di destra, ma anche di sinistra, che si sono succeduti. Una dopo l’altra si susseguono le «slide» che parlano di «competitività delle imprese», di «crescita dimensionale», la «riforma degli incentivi», «il credito d’imposta» per le aziende che puntano sull’innovazione tecnologica, «la strategia per l’internazionalizzazione». E poi «l’attrazione degli investimenti diretti in Italia»: Passera ha l’obiettivo di «triplicarli» e per questo ha messo al lavoro una task force mista governo-Confindustria che dovrà sfornare spunti normativi entro sei mesi. Il tempo stringe. «C’è solo una breve finestra di opportunità - sostiene Monti nel Pnr - per completare la sequenza di riforme e mettere in grado il Paese di ripartire al momento in cui si manifesterà la ripresa economica. Il prossimo anno deve essere per l’Italia un anno di trasformazione». Alle imprese intanto bisogna dare un po’ d’ossigeno. Passera annuncia che il governo ha sbloccato6 miliardi di debiti della pubblica amministrazione verso i creditori privati. Altri 23 miliardi sono stati liberati nelle ultime tre riunioni del Cipe per le infrastrutture cantierabili subito. Altri 20 miliardi arriveranno dal Fondo centrale di garanzia per garantire l’accesso al credito delle imprese. Se si aggiungono i miliardi del Piano di azione-coesione di Barca, quello finanziato dai fondi strutturali dell’Unione europea, si arriva appunto alla cifra di cinquanta. Ma, avverte il premier chiudendo la riunione, «lo scenario resta fragile. Abbiamo ancora di fronte momenti difficili».