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 2012  aprile 11 Mercoledì calendario

Io Il 12 dicembre del 1969, un venerdì, avevo 24 anni e facevo il giornalista da 50 giorni, senza contratto, senza stipendio e con la promessa che non sarei mai stato assunto

Io Il 12 dicembre del 1969, un venerdì, avevo 24 anni e facevo il giornalista da 50 giorni, senza contratto, senza stipendio e con la promessa che non sarei mai stato assunto. Entrò nello stanzone della cronaca di “Paese sera” il vicedirettore Mario Lenzi. Disse: «È scoppiata una caldaia a Milano, ci sono parecchi morti».

Clima Nella primavera del 1969 erano partiti i primi scioperi spontanei alla Fiat. Il 9 aprile, a Battipaglia, la polizia aveva sparato sugli operai, che protestavano per la chiusura del tabacchificio, facendo due morti. L’11 aprile i sindacati avevano proclamato tre ore di sciopero. Ed ecco quello che successe dopo: il 13 si fermarono le ausiliarie, il 20 i carrellisti, il 21 i gruisti, il 22 le grandi presse. Il 27 maggio il primo corteo interno percorse la Fiat. I capireparto furono insultati, derisi, costretti a sfilare. I ribelli di mezza Italia si precipitarono allora a Torino. Il 1° novembre uscì il primo numero del settimanale “Lotta Continua”, costi coperti dalla vendita di un quadro regalato da Giovanni Pirelli, fratello di Leopoldo. In redazione, tra gli altri: Gad Lerner, Roberto Briglia, Paolo Zaccagnini, Carlo Panella, Enrico Deaglio, Guido Viale, Marco Boato, Mauro Rostagno, Luigi Manconi, Erri De Luca e, naturalmente, Adriano Sofri, leader indiscusso del gruppo. Il 19 novembre, durante una manifestazione dell’Unione Comunisti Italiani (marxisti-leninisti), rinforzata poi da quelli del Movimento Studentesco (MS), venne ucciso l’agente di polizia Antonio Annarumma.

Situazione Il presidente della Repubblica era Saragat, il capo del governo Rumor (un tricolore con repubblicani e socialisti che compiva un anno proprio il 12 dicembre), il sindaco di Milano era Aniasi, Spadolini dirigeva il Corriere della Sera, Valcareggi guidava la Nazionale di calcio, alla Rai c’era Bernabei, all’Eni Cefis, alla Casa Bianca Nixon, a Mosca Breznev, a Pechino Mao, il papa era Paolo VI. Girava un’influenza detta “spaziale” (colpiva anche cani e gatti), il Mec (l’attuale Ue) fece sapere che gli italiani avevano le paghe più basse d’Europa, 43 italiani su cento non possedevano la televisione, che aveva due canali. Una Autobianchi A112 (con motore di 903 cmc) costava 880.000 lire, una Renault 4 almeno 698.000, un quotidiano 70 lire, un panettone Alemagna con torrone in omaggio 1.790, le arance 150 lire al chilo, una bottiglia di prosecco Carpené Malvolti 600. Alla Scala Abbado dirigeva Il Barbiere di Siviglia, nei teatri milanesi recitavano Peppino De Filippo, Alberto Lupo e Valeria Valeri, al Derby erano di scena Gino Paoli e Umberto Bindi (35 e 37 anni), nei cinema di prima visione si proiettavano La caduta degli dei di Visconti, Nell’anno del Signore con Nino Manfredi, Amore mio aiutami con Sordi e la Vitti, Un uomo da marciapiede, Un maggiolino tutto matto. Nessun film venne però proiettato quella sera e nessuno spettacolo andò in scena, quando si seppe quello che era successo.

Piazza Fontana La bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana in Milano scoppiò alle 16.37. Si trattava di sette chili di gelignite, chiusi in una scatola di metallo Iuwell. La scatola era stata piazzata sotto il tavolo ottagonale che stava al centro del salone, tutto mogano e cristallo. Ogni lato misurava un metro e cinque. A questo tavolo enorme stava appoggiato Pietro Dendena, commerciante di Lodi, 55 anni. Il tavolo venne polverizzato, di Dendena non si trovò mai più nulla. Dodici persone morirono all’istante, una poco dopo al Fatebenefratelli, altre tre in seguito. I loro nomi: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioti (deceduto in ospedale il 2 gennaio), Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Gerolamo Papetti (deceduto la mattina del 13 in ospedale), Mario Pasi, Carlo Luigi Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia (deceduto il 25 dicembre in ospedale, lasciando undici figli), Carlo Silva, Attilio Valle. I feriti furono 91.

Testimonianza «Stavo entrando nella banca... In quel momento c’è stato il boato e schegge di vetro sono schizzate tutto attorno. Qualcuna mi ha preso, ma me ne sono accorto dopo. Insieme con i vetri sono volati fuori, proprio volati, due uomini che si sono abbattuti sul marciapiede. Mi sono fatto avanti calpestando i vetri. C’era l’inferno. Mi è venuta incontro una ragazza senza un braccio: con l’altro mi ha tirato la tonaca: “Padre, ci aiuti!”... C’era gente che bruciava, gente che si rotolava a terra in fiamme» (don Corrado Fioravanti). Descrizione «Scarpe, cappelli, brani bruciacchiati di vestiti, un manicotto di pelliccia, sciarpe, persino calze, fazzoletti, occhiali, due bastoni di persone forse claudicanti, carte, documenti, certificati, borse, borsette» (Arnaldo Giuliani sul Corriere della Sera del 13/12/69). Nella mano sinistra di una delle vittime era rimasto un foglietto con la scritta “asparagi”. Era il disegno di un campo diviso in cinque parti: terra/asparagi/terra/letame/fascine. Paolo Bugialli scrisse: «La Bna non è una banca di ricchi, specie questa filiale milanese di piazza Fontana. È la banca dei fattori, dei sensali, di qualche contadino. I clienti vengono dalle campagne di Lodi, di Cremona, anche del Vercellese». Altre bombe Si scoprì subito che erano state messe altre bombe. Quella alla Commerciale di Milano non esplose e fu disinnescata la sera. A Roma, lo scoppio nella Bnl di via Veneto provocò 14 feriti. Le due esplosioni al Vittoriano (ore 17.16 e ore 17.24) mandarono all’ospedale due passanti e un carabiniere. Dalla strage si diramano molte storie. Vale la pena di ricordarne tre. Storia di Pietro Valpreda. Cornelio Rolandi, un tassista malato di tumore e che chiaramente non sarebbe vissuto abbastanza per testimoniare al processo, sostenne di aver accompagnato un uomo in piazza Fontana proprio quel pomeriggio e riconobbe poi, in un confronto all’americana, Pietro Valpreda, allora di 36 anni, ballerino su cui esisteva addirittura un filmato Rai, messo subito a disposizione degli inquirenti. Per il riconoscimento, Valpreda, lacero e sporco come può essere un uomo vessato dalla polizia, era stato messo in mezzo a quattro damerini che parevano appena usciti da Yale. Si fece tre anni di carcere, alla fine fu riconosciuto innocente e campò poi vendendo enciclopedie Einaudi, gestendo un bar alla periferia di Milano e infine scrivendo gialli. Morto di cancro nel 2002. Storia dell’anarchico Pinelli. Valpreda era stato arrestato in quanto anarchico, perché in Questura decisero subito che a mettere la bomba erano stati gli anarchici. Venne quindi convocato, la sera stessa del 12 dicembre, l’anarchico Giuseppe Pinelli. Il commissario Luigi Calabresi lo andò a prelevare al circolo di via Scaldasole. Non ci fu bisogno neanche di farlo salire in macchina: la 850 blu della polizia davanti, Pinelli seguì a bordo del suo motorino Benelli fino a via Fatebenefratelli. I due si conoscevano, e anche abbastanza bene: a Natale, Calabresi aveva regalato a Pinelli il libro Mille milioni di uomini di Enrico Emanuelli (Mondadori, 1957) e ne aveva ricevuto in cambio l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters (Einaudi, prima edizione nel 1943). Pinelli venne interrogato per tre giorni dai poliziotti Panessa, Caracurta, Mainardi, Mucilli. Non c’erano difensori e l’interrogatorio era evidentemente illegale. La notte del terzo giorno, quello tra il 15 e il 16 dicembre, Pinelli volò dal balcone al quarto piano della questura. Qualcuno lo aveva buttato giù? Lui stesso, esausto, s’era tolto la vita? È accertato che il commissario Calabresi non si trovava nella stanza. Il processo, che si chiuse nel 1975, giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio, poi senatore del Pd alle elezioni del 2006, stabilì che non s’era trattato né di suicidio né di omicidio, ma di un «malore attivo» che aveva spinto Pinelli fuori dalla finestra. L’espressione «malore attivo» non s’era mai sentita prima e non si sentì mai più dopo in nessuna aula giudiziaria. Storia del commissario Calabresi Il quotidiano “Lotta continua” indicò subito nel commissario Calabresi l’assassino di Pinelli, pubblicò le sue foto e l’indirizzo di casa e quando fu querelato mandò mille militanti a insultarlo in aula, a gridargli assassino, a lanciargli monetine. Il commissario aveva all’epoca 34 anni, due figli piccoli (uno di questi, Mario, dirige adesso “La Stampa”), era romano, veniva da una famiglia medio-borghese, aveva studiato al San Leone Magno, s’era laureato in Legge con una tesi sulla mafia, aveva molta passione per il cinema e per il teatro e persino qualche ambizione letteraria. Secondo quello che ha raccontato la moglie Gemma Capra era convinto che la bomba di piazza Fontana fosse stata messa da manovali di sinistra diretti da un cervello di destra. La mattina del 17 maggio 1972 – due anni e mezzo dopo la strage – mentre stava uscendo di casa (Milano, via Cherubini 6) ed era sul punto di prender posto nella sua Cinquecento, fu ucciso da un uomo che gli sparò due colpi di pistola da dietro, uno alla nuca e un altro alla schiena. Il giornale “Lotta continua” titolò: «Ucciso il commissario Calabresi, il maggiore responsabile della morte di Pinelli». Adriano Sofri – che fu poi imputato come mandante di quel delitto in un processo come minimo sconcertante e, condannato, restò in carcere dal 1997 al gennaio di quest’anno – scrisse: «L’omicidio politico non è l’arma decisiva per l’emancipazione delle masse» anche se questo «non può indurci a deplorare l’uccisione». I colpevoli Lunghissima è la storia del processo (dei processi: furono sette) per la strage di piazza Fontana: abbandonata la pista anarchica, si imputarono quelli dell’estrema destra e i servizi segreti cosiddetti deviati. I dibattimenti si tennero a Roma, Milano, Catanzaro, di nuovo Catanzaro, Bari, Catanzaro, Milano. Franco Freda, Giovanni Ventura, Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi – cioè i principali imputati – sono stati via via tutti assolti. Nel 2005, motivando l’assoluzione di Zorzi e Maggi, la Cassazione scrisse che, con le nuove prove acquisite (a più di quarant’anni dal fatto), Freda e Ventura – non più perseguibili perché già assolti in via definitiva - sarebbero stati condannati. Taviani Piero Buscaroli, il grande musicologo politicamente di estrema destra, ha raccontato nella sua autobiografia (Dalla parte dei vinti, Mondadori 2010), di essere stato convocato nel 1974 da Taviani, il quale sperava di ingraziarsi Giorgio Almirante e assicurarsi i voti del Msi. Durante il colloquio, Taviani gli rivela, come nulla, che «insomma, lei dovrebbe intendermi, dico che certe bombe, quelle attribuite alla sinistra, le abbiamo messe noi». Noi chi, ministro? la Dc? «Ma no, noi, ministero degli Interni, mi capisce adesso?». In effetti, la Banca Nazionale dell’Agricoltura chiudeva normalmente alle 16 e la bomba non avrebbe dunque dovuto far vittime (come capitò con le altre). Solo che, quel venerdì 12 dicembre, si decise inaspettatamente di prolungare l’orario per favorire i tanti clienti venuti anche da lontano. Calabresi-Pinelli Il 9 maggio 2009 la vedova Pinelli, Licia, e la vedova Calabresi, Gemma, si sono incontrate nel Salone dei Corazzieri al Quirinale. Gemma ha detto a Licia: «Finalmente, dopo quarant’anni, possiamo stringerci la mano». Licia ha risposto: «Facciamo finta che tutti questi anni non siano passati». Al presidente Napolitano sono venute le lacrime agli occhi.