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 2012  aprile 17 Martedì calendario

IN VOLO CON LE MELANZANE NEL BAGAGLIO: «HO GIA’ PRESO IL BIGLIETTO DI RITORNO» —

IN VOLO CON LE MELANZANE NEL BAGAGLIO: «HO GIA’ PRESO IL BIGLIETTO DI RITORNO» — L’ultimo desiderio da uomo libero è una parmigiana di melanzane. Passata un’ora di volo, Lavitola la scarta da una vaschetta di alluminio e offre: «Provala, è fantastica, l’ha fatta un mio amico di Buenos Aires». Alla napoletana, con pezzetti di mozzarella e pomodorini. Buona, sì. «Io in aereo non mangio mai, soprattutto in economica, chissà che ti danno. E poi l’ultimo pasto prima del rancio del carcere dev’essere come si deve, no?». Valter Lavitola, ma lei è in classe business, Alitalia, posto 7H, che sta dicendo? «Che gran botta... Mi hanno fatto l’upgrade a Buenos Aires, senza che io chiedessi nulla, il volo è strapieno. Guarda qui, anzi pubblicatela, mi farebbe piacere. Biglietto andata e ritorno in economica, poco più di mille euro, così viaggia il cosiddetto faccendiere dei due mondi. Ma quale straricco, io non so più di che campare. Mi hanno tolto tutto, tutto. Un fuoco di fila, un assedio, tutto in pochi mesi, ma come è possibile?».
Ritorno Roma-Buenos Aires 25 ottobre 2012, dice la prenotazione. Ottimista? «E chi lo sa? Mancano sei mesi. Comunque il biglietto dura un anno, costava meno». Mentre gli parliamo in volo sull’Atlantico, e in Italia è notte fonda, Lavitola sta tornando per consegnarsi ai giudici di Bari che lo vogliono per un reato non gravissimo, l’induzione a mentire nell’affare Tarantini-escort. Fosse solo questo, in carcere non resterebbe molto. «Magari, magari, ma non è così». Già sa, insomma, che appena messo piede a Fiumicino arriveranno altre richieste di arresto. Come è successo: per i fondi spariti del suo ex giornale, l’Avanti, e sulla corruzione internazionale a Panama. Sa anche che finirà in carcere a Napoli. «Speriamo Secondigliano, dicono che è un po’ meglio di Poggioreale». Non sarà esaudito. È vestito con jeans, maglioncino beige e scarpe da tennis. Ha una valigia pronta. «In galera si usa molto la tuta da ginnastica, ne ho portate un paio. E poi camicie, altri jeans, mocassini». Trascrive numeri di telefono dall’iPhone, magari qualche bigliettino potrà portarselo dentro. La sua leggendaria collezione di schede sim, quella certamente no.
Ritorno concordato, si sussurra, tempi e modi studiati per attutire le conseguenze, «quel sacro terrore dei magistrati, una paura che mi si porta via», come ebbe a dire nelle interviste tv da latitante. «Non è vero. Torno perché sono stanco, ho tardato fino ad ora perché dovevo lavorare, salvare qualcosa di quel che ho costruito in vent’anni in Sudamerica, mentre sarò dentro. E poi non avevo voglia di essere acchiappato lì...».
Cerchiamo di ricostruire allora la strana latitanza, nascosto ma non troppo, protetto e poi scaricato. Lavitola avrebbe passato appena i primi mesi in Panama, dove non può più entrare perché lo scandalo legato alle commesse Finmeccanica ha provocato inchieste giudiziarie anche lì. Poi si è spostato in Brasile, dove non vanta altrettante e pesanti conoscenze, ma ha il vantaggio di avere in tasca un documento da residente. È con questo che è riuscito a muoversi avanti e indietro dall’Argentina, via terra, senza mai tirar fuori il passaporto italiano che avrebbe fatto scattare la segnalazione Interpol. «Il resto sono una marea di fesserie, viaggi in Medio Oriente, case lussuose, feste, memoriali in cassaforte e chissà che altro. Ho sempre detto che mi sarei consegnato in Italia, anche perché se fossi stato arrestato da queste parti avrei dovuto passare chissà quanti mesi in attesa di estradizione, e chissà in che carceri».
Il pesce, il commercio di code di rospo verso l’Europa, e quel paesino di pescatori sul litorale brasiliano, Barra de São João, dove vorrebbe costruirsi una casa e tornare a vivere. Il volo verso Roma è lunghissimo e Lavitola non riesce più a dormire. Manda giù una pastiglia con un sorso d’acqua. «Sì, adesso comincio davvero a sentire le ore, speriamo che non esagerino a Fiumicino, le manette, i fotografi. Boh, chissà com’è essere arrestato». Ora è lui che non vuol smettere di parlare, raccontare, capire come e se ne uscirà. «C’è un’immagine mia che non esiste. A me piace il mare, la natura, la gente semplice come i miei pescatori. Non metto piede a Rio o San Paolo. Che c’entro io con gente come i Tarantini che consumano come una Ferrari?». Però ne ha fatte, non neghi. «Ma sì, certo, e chi nega? Negli affari conosci persone, devi muoverti in un certo modo. Però una cosa è riconoscere fatti, un’altra è trovarti cinque capi di imputazione nel giro di pochi mesi, un figlio che ti vede in manette in tv, un matrimonio che va al diavolo». Beh, quello pure se l’è cercato, la storia con la moglie di Tarantini... «Eh, lo so. Altra fesseria, ma immaginate tutta una vita intercettato, è come una radiografia intima!». Si ferma un attimo. «E poi vorrei sapere come c... fanno a intercettare le schede straniere dei telefonini. Mistero».
«Io credo che alla fine i giudici non si capacitano di perché io possa parlare facilmente con uno come Berlusconi. E da lì scatta l’accanimento, e chissà questo cosa sa e cosa ha visto. Possibile che i magistrati italiani non capiscano ancora che lui è fatto così, gli piace avere rapporti con gente come me, piuttosto che con una regina o un presidente? È talmente evidente, ormai». L’idea è che lei nasconda ancora molto. «Lo saprete solo quando tutto questo sarà finito».
Rocco Cotroneo