Johannes Buckler, Corriere della Sera 17/04/2012, 17 aprile 2012
SIGLE (TROPPO) DIFFICILI DA CAPIRE
Caro Direttore,
osservando il nostro Paese ci si rende conto di come, rispetto al resto del mondo, siamo sempre in leggera controtendenza. Siamo persino riusciti a rendere surreale il dibattito sugli esodati, complicandoci la vita sul participio passato di un verbo (esodare) che nel vocabolario italiano nemmeno esiste. Va beh, andiamo avanti. È in discussione finalmente una nuova riforma fiscale dove le protagoniste sono sempre loro: le sigle. IRPEF, che a un certo punto volevano trasformare in IRE – ricordate? – e che rimarrà inalterata nelle sue aliquote, IMU (che stiamo imparando a conoscere e speriamo presto anche a capire), IRAP (che rimarrà in vigore perché si dice «poi dove troviamo i 35 miliardi che mancano all’appello?»), Green tax e Carbon tax. Finita? No. Tra le novità più attese e discusse l’introduzione di una nuova tassa a carico delle aziende, l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale? No. Imposta sul Reddito Imprenditoriale), che andrà a sostituire (ah meno male) l’IRES (Imposta sul Reddito delle Società), che ricordiamo fu introdotta nel 2003 al posto dell’IRPEG (giuro mi gira la testa). Sinceramente non sentivamo la mancanza di una nuova sigla perché da sempre Bückler ritiene che tre siano le cose fondamentali di una riforma fiscale: lotta all’evasione, semplificazione e una progressiva riduzione del carico fiscale. Fermo restando che i proventi della lotta all’evasione dovranno essere necessariamente utilizzati per ridurre le tasse (per rispondere a uno dei tre capisaldi del decreto salva Italia, l’equità) indispensabile sarà mettere mano alla semplificazione e purtroppo una nuova sigla non aiuta certo. Semplificare, semplificare, semplificare. Anche a costo di istituire un ministero per la semplificazione (naturalmente senza portafoglio, vuoi mai visti i tempi). Come dice direttore? Esisteva già? E come mai non ce ne siamo mai accorti? Ah dimenticavo accidenti. Quella maledetta leggera controtendenza.
Un caro saluto
Johhanes Bückler