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 2012  aprile 17 Martedì calendario

Notizie tratte da: Federico Zeri, Cos’è un falso, Longanesi 2011, pp. 218, 19,90 euro.In Italia abbiamo avuto devastazioni spaventose; ve ne dico una: Il Duomo di Milano

Notizie tratte da: Federico Zeri, Cos’è un falso, Longanesi 2011, pp. 218, 19,90 euro.

In Italia abbiamo avuto devastazioni spaventose; ve ne dico una: Il Duomo di Milano. Il Duomo di Milano, come tutte quante le cattedrali gotiche e come in genere tutte le opere architettoniche medievali, è un edificio grandioso, elaboratissimo. È un capolavoro di elaborazione che vive, viveva in origine, nel rapporto proporzionale fra se stesso e il tessuto urbano circostante. Il Duomo di Milano veniva vissuto da vicino; l’accostarsi a questa cattedrale, fra l’altro, era possibile percorrendo una strada trasversale che sboccava in una piccola piazza. Entrando in questa piazza il Duomo appariva come un miracolo di grandiosità, di potenza: una specie di gigantesco simbolo sacro. In gran parte ha perso questo suo potenziale con l’apertura della piazza del Duomo, per costruire la quale sono state demolite tutte le case sorte nei secoli. [23-24]

I santuari greci, come quello di Olimpia in cui venivano celebrate le Olimpiadi, sono stati spogliati prima dall’Impero Romano d’Occidente, per abbellire Roma, poi da quello d’Oriente per fare altrettanto con Costantinopoli. In Grecia sono rimaste, spesso, solo copie dei capolavori originali. [32-33]

Quando andate nei musei e vedete i grandi piatti rinascimentali decorati, dovete sapere che non erano piatti per servizi da tavola. Erano i cosiddetti piatti da parata. Quando un nobile, un potentato, invitava a pranzo o dava dei banchetti, lungo le pareti della sala erano appoggiate grandi rastrelliere, sulle quali erano esposti questi piatti, con raffigurate favole, motti e scene. [42]

Notate che le culture, come quella gotica, quella feudale, avevano un immenso disprezzo verso la sopravvivenza di alcuni prodotti preziosi. Un esempio: fare un arazzo era un’impresa costosissima. Decine e decine di persone passavano la vita a tessere arazzi che erano come giganteschi ricami. Spesso contenevano fili d’oro e d’argento. Quando il potentato che li possedeva aveva bisogno di argento per battere moneta, li bruciava e recuperava l’argento. Lo stesso accadeva con le preziosissime maniche dei vestiti (a lungo non considerate parte integrante del vestito femminile, per cui erano staccate e applicate indifferentemente su vari vestiti). Se c’era bisogno di fare soldi queste venivano distrutte e gli ornamenti recuperati. Idem per piatti da parata e le oreficerie delle chiese. [43]

Michelangelo è il primo artista che può permettersi di lavorare per il papa, Giulio II, sbattergli la porta in faccia e dirgli: «Non voglio più lavorare» e andarsene via da Roma. [44]

Anche all’epoca di Michelangelo gli artisti erano considerati come artigiani. Quella fra opera d’arte minore e opera d’arte maggiore è una distinzione che facciamo noi abusivamente. Un grandissimo artista poteva essere impiegato per disegnare un servizio di piatti. [45]

Il grandissimo artista Cellini, supremo scultore, fece una saliera, che si trova oggi a Vienna, per il re di Francia; una saliera molto elaborata, stupendamente ricca di materiali nobili, di smalti; resta però una saliera. [45]

A Vergina, in Macedonia, per un caso bizzarro della storia la tomba del padre di Alessandro Magno si è conservata al completo e hanno ritrovato non solo l’urna che conteneva le sue ceneri, i tessuti, le corazze, ma anche tutto il donario (luogo dove venivano raccolte le offerte votive, i doni) che c’era nella tomba. Sono stati trovati anche sarcofagi dipinti. Queste scoperte sono rischiose, perché i materiali appena ritrovati sono bellissimi, ma dopo pochi anni incominciano a deperire. Le pitture di Vergina, che appena scoperte si vedevano molto bene, oggi già sono fanées, faded, si vedono a malapena. [46]

Quando si aprono le tombe etrusche, si scopre la salma ancora con ancora sopra il velo. Dopo cinque minuti il velo non c’è più, l’aria l’ha distrutto. [46-47]

Durante il periodo classico ed ellenistico la Grecia ha esportato una quantità di oggetti, soprattutto verso la Macedonia e verso la Crimea, nel mar Nero. Quando l’oggetto era destinato a popolazioni di cultura non pari a quella greca, prive di parametri di gusto sottili come potevano avere ad Atene, i greci ne approfittavano e facevano un po’ il lavoro che facevano nell’Ottocento i colonizzatori quando vendevano le sveglie ai negri. «Tu prendi questa sveglia e tu dammi i corni d’avorio». [47]

Uno dei grandi miracoli di san Benedetto da Norcia lo compì durante un imponente periodo di deflazione (in cui i metalli erano preziosissimi e rari): è quello di aver ripescato, nel lago di Subiaco, il falcetto di ferro che vi era caduto dentro, sfuggito di mano a un contadino. Il contadino, senza il falcetto, sarebbe morto. Non avrebbe più avuto di che lavorare e mangiare. [50]

L’oro, nella società colpita dalla deflazione (intorno al 500), non valeva più niente. Quindi è stato portato nelle chiese per decorarle, non perché i preti, come diceva il positivismo, fossero avidi di ricchezza, ma perché l’oro non valeva più niente come mezzo di scambio. [50]

Nell’alto Medioevo non c’era più un’economia che producesse il superfluo, i cosiddetti beni culturali. Una statua di bronzo veniva fusa per fare padelle, per fare falcetti. [50]

Si dice che il duca di Urbino si rifiutasse di leggere libri stampati poiché non erano degni di lui. Li leggeva solo se il miniatore aveva miniato intorno al foglio una cornice. [54]

Queen Mary, la moglie di Giorgio V, la regina d’Inghilterra, si è sempre rifiutata di parlare al telefono. Parlare al telefono non era degno di una regina. [54]

Durante la Rivoluzione russa, nel 1917, ci furono colossali saccheggi di appartamenti e a Pietrogrado accaddero cose spaventose. I mobili venivano buttati dalla finestra, furono distrutte porcellane, biblioteche intere, ma il quadro non veniva mai toccato, anche se era un quadro profano. Esistono delle fotografie impressionanti di appartamenti devastati in cui tutto è stato distrutto meno il quadro. Il quadro, per la coltura dei cristiani ortodossi, è sacro. [60]

Una delle cose che più mi ha fatto impressione in Unione Sovietica, anche nella parte asiatica, è la strabocchevole quantità di immagini di Lenin. Non c’è piano di albergo in cui non ci sia il busto, non c’è scala, non c’è atrio, non c’è negozio o scuola o museo dove non si incontri la stessa immagine in ogni luogo. Perché l’immagine è proprio la rappresentazione del potere. [61]

Durante l’avanzata dell’Islam verso occidente, la città di Damasco, fortificatissima, cadde di fronte a 300 cammellieri. È evidente che vi fosse all’interno una crisi sociale molto forte che ha visto nei musulmani una liberazione. [66]

Con l’avanzata dei musulmani, in tutte le città dell’Impero Romano d’Oriente, furono distrutti i simboli del potere imperiale: statue, mosaici, affreschi. Tutto è andato distrutto, ma sappiamo che c’erano centinaia, se non migliaia, di sculture in bronzo e migliaia di statue in marmo. [67]

L’Arco di Costantino fu costruito togliendo i pezzi ad altri monumenti a scopo simbolico. Tolsero un pezzo al monumento di Adriano, un pezzo al monumento di Traiano, un pezzo al monumento di Marco Aurelio, cambiando le teste dell’imperatore e sostituendole con quelle di Costantino. Questo perché la gente individuava immediatamente l’origine dei pezzi e diceva:«Ecco, Costantino è il nuovo Traiano, Costantino è il nuovo marco Aurelio, Costantino incarna in sé tutti gli imperatori buoni che abbiamo avuto». [71]

I bizantini non sono mai esistiti. Bisanzio è un termine creato nel XVIII secolo dallo storico Edward Gibbon. Non esistono i bizantini. La città di Bisanzio, che era situata sul Bosforo e che era stata semidistrutta da Settimio Severo all’inizio del III secolo, venne poi scelta da Costantino come nuova capitale. Fu completamente ricostruita, trasformata in una nuova Roma, addirittura vi si indicavano 7 colli. Il termine Bisanzio e bizantino nel medioevo non compaiono mai. Gli imperatori di Costantinopoli si chiamavano «Basileus Ton Romeon o Ton Romaion», re dei Romani, imperatori dei romani. [74]

Molti romanzi della tarda antichità sono ambientati in Egitto e in Africa. In un certo senso l’Africa ha costituito per il mondo antico quella che è stata la Cina per il Settecento europeo. In questo contesto nasce un cliché, che oggi definiremmo razzista, che è quello del negro buffo, stupido ma sessualmente dotato. In un mosaico di Antiochia è rappresentato un negro che corre, con un enorme membro che gli pende, e l’espressione un po’ tonta. [90-91]

I quadri, centinaia e centinaia, appartenuti al barone Michele Lazzaroni sono stati abbelliti e «dolcificati» da un restauratore, tale Vergetas. Questa operazione ha avuto un gran successo, tanto che molti di questi quadri sono finiti in grandi collezioni italiane, francesi e americane. Vegetas era famoso soprattutto per addolcire le figure facendo delle ombre intorno agli occhi: le romanticizzava. Ma se si pulisce uno di questi quadri, il sotto è perfetto stato di conservazione, mantenendo addirittura la sua patina. L’intento non era quello di falsificare, ma rendere più appetibili i quadri e adattarli ai canoni di bellezza dell’Ottocento. [114-115]

I casi più pericolosi di falsi sono quelli in cui il falsario prende a modello un quadro poco noto e lo ricopia esattamente. Quando si fanno questo tipo di falsi si prende in genere un pezzo di legno antico. Si prende in alcuni casi il legno di un quadro sciupato, si distrugge quello che resta del quadro antico e il resto del legno viene usato per il falso. [117]

Nel 1943 un trafficante di Roma, che aveva individuato un bellissimo quadro del duecento nella chiesa di Sivignano in Abruzzo, si mise d’accordo con il parroco per eseguirne un falso da sostituire all’originale e poter vendere quest’ultimo a caro prezzo. Gli abitanti del paese, resosi conto dell’imbroglio, nascosero l’originale nelle loro case, cambiandogli di domicilio ogni settimana. Quando il trafficante morì sotto i bombardamenti il falso (talmente perfetto da essere munito di perizie di tre grandi esperti) venne messo in commercio. [118-120]

Fare le screpolature del colore è uno dei più grandi problemi dei falsari; ci sono tantissimi sistemi: uno è dipingerlo a tempera d’uovo, poi metterlo in freezer. Quando è molto freddo va messo in un forno caldo. Ripetendo questa operazione 40 o 50 volte, il colore comincia a screpolarsi. [124]

Poi c’è un falsario misterioso, senese o fiorentino, che ha prodotto una serie di quadri rinascimentali dipinti su intonaco. In una di queste opere vi è una donna rappresentata con i capelli alla garçon e ha un viso – già si sente che Hollywood sta arrivando in Italia – con un’aria alla Clara Bow. Si vede un rapporto tra fronte, sopracciglia, naso, bocca, che è quello di certe dive degli anni Venti; giusto l’epoca in cui questi calcinacci venivano dipinti dal falsario. Di questi affreschi ce n’è una quantità impressionante e stanno tutti nei musei, a Varsavia, Dublino, Washington. [136-138]

In ogni falsario c’è una impossibilità a uscire dalla propria epoca; leggiamo il passato nella chiave del presente, e quando inventiamo il passato lo vediamo sempre con gli occhi nostri. [139]

L’archeologo non ha occhio. È curiosissimo. Per questo esistono molti più falsi nei musei archeologici che nelle gallerie d’arte. Anche grandi archeologi come Ranuccio Bianchi Bandinelli, che era una persona molto preparata, cadde in una trappola scandalosa quando prese per buona una stele attica del V secolo, scolpita pochi mesi prima a Roma da Gildo Pedrazzini. Vennero fuori le foto fatte da Gildo prima che rompesse i nasi, le mani, per renderla più antica. [154]

Per distinguere i falsi è necessario esercizio quotidiano. Il falsario vuole uscire dal proprio tempo per entrare nella mentalità del passato. Questa è l’idea del falsario. Ora, è impossibile uscire dal nostro tempo perché rimarrà sempre una traccia della nostra sensibilità che non è quella di altre epoche. [154-155]

Di falsi ne sono stati fatti anche nell’antichità. Nel Rinascimento Michelangelo ha fatto un falso: un Cupido dormiente, che fu preso per vero, non mi ricordo se da collezionisti o dagli intenditori. [157]

Teodoro Riccardi faceva anche dei falsi medievali in avorio: pettini liturgici, échiquiers, pedine per giocare a scacchi, a dama. Li faceva patinare in due modi: o li metteva dentro dei vasi sotto terra, su cui poi piantava dei rosmarini in modo che le radici del rosmarino facessero la patina, oppure li metteva nel reggipetto di una sua governante grassissima, così che con il sudore diventavano patinati. Era una cosa straordinaria. Ci sono suoi falsi in avorio nei musei americani. [163]

È molto più facile tentare un falso di una pittura antica che di una pittura moderna, anzi direi che quella moderna si scopre immediatamente. Di Mondrian i benpensanti dicono: «che ci vuole a fare un quadro così?», eppure quando appare un falso si riconosce immediatamente. C’è un’unità tra materia pittorica, forma, tra concezione ed esecuzione, che in Mondrian è assolutamente inscindibile. [183-184]

Falsificare un Picasso è praticamente impossibile. Nelle serie di acqueforti di Piacasso, la Suite Vollard ad esempio, non il minimo dettaglio è lasciato al caso e mostra una sorvegliatezza e un’abilità manuale addirittura superlative, direi quasi mostruose. [184]

Ci sono quadri che io chiamo «le comete» che hanno nuociuto facendo perdere denaro agli investitori truffandoli; poi vengono smascherati, e dopo quindici anni tornano fuori per truffare altra gente. [188]

Ci sono quadri che sono stati manipolati per ragioni moralistiche. Nella Galleria Colonna a Roma c’è un Bronzino con un soggetto lubrico, lascivo, in cui Amore stuzzica una Venere nuda mentre un satiro la osserva pieno di desiderio erotico. La venere è stata completamente vestita. [195]

I danni più gravi non li hanno fatti né le bombe né i saccheggiatori, li hanno fatti i restauratori. Molti quadri sono stati rovinati dai sacerdoti perché, oscurati dal fumo delle candele e dalla polvere, furono sottoposti al lavaggio con la cenere. La cenere è una sostanza caustica, lì per lì ridà una fiammata di colore, e poi distrugge il quadro in modo irreparabile. [203]

Poiché nell’Ottocento si amavano i quadri scuri, si dava una patina di «galleria» addirittura a quadri antichi, giallastra, e si ridipingevano i fondi chiari.[214]