MELIS Guido – Storia dell’amministrazione italiani (1861-1993). Il Mulino, Bologna 1996, 17 aprile 2012
Storia dell’amministrazione italiana
Testo estratto da: MELIS Guido – Storia dell’amministrazione italiana (1861-1993). Il Mulino, Bologna 1996 pagg. 383-402 L’amministrazione nell’Italia repubblicana (1943-1978) 1. La Repubblica sociale Fu un funzionario del Comando tedesco delle comunicazioni, il direttore generale delle ferrovie germaniche Huber, a coordinare da Roma, nell’ottobre 1943, il trasferimento al Nord dei ministeri fascisti (1). Dopo il trasloco da Torino a Firenze nel 1865 e l’insediamento dei ministeri nella capitale del 1870-71, fu quello il terzo grande esodo nella storia dell’amministrazione italiana. A piazza della Croce Rossa, presso il Ministero delle Comunicazioni, Huber, assistito da un funzionario per ogni ministero, predispose i treni-passeggeri sui quali sarebbero saliti i funzionari con le loro famiglie (per le signore era previsto il wagon-lit) e soprattutto allestì i vagoni-merci per il trasporto degli archivi. Ogni funzionario fu invitato a portare con sé l’essenziale: un solo bagaglio a mano per 8 giorni e viveri per 48 ore. Il resto sarebbe seguito sui treni merci (2). Le date dei trasferimenti sono solo parzialmente ricostruibili. Si sa che il 7 ottobre si trasferì il Ministero per la Cultura Popolare; 1’8 i Ministeri della Giustizia, dell’Educazione Nazionale e dell’Agricoltura e Foreste (3). Entro il 15 dicembre avrebbero dovuto seguire gli altri ministeri e i grandi enti nazionali (4). Meticolosa cura fu dedicata al trasferimento degli archivi, impresa che richiese energie particolari. Per quelli della polizia - ha ricordato nelle sue memorie l’allora capo della polizia politica Guido Leto - «furono approntate parecchie migliaia di casse, costruite secondo un ingegnoso sistema che ne consentiva la trasformazione in caselle d’archivio con la semplice asportazione del coperchio»: L’immenso materiale fu razionalmente suddiviso per materia, divisione e sezione, e per ordine alfabetico-sillabico, e si procedette al confezionamento dei fascicoli ed alla spedizione con colonne di autotreni. Per dare un’esatta idea della grandiosità del lavoro, bisogna aggiungere che anche tutto il materiale della scuola di polizia scientifica, dal casellario centrale d’identificazione (centinaia di migliaia di cartellini segnaletici che richiedevano, com’è ovvio, la più scrupolosa cura nell’imballaggio, perché sarebbe stato quasi impossibile correggere, in futuro, lo spostamento di uno di essi) e il bollettino delle ricerche prese la via del nord. In breve, negli uffici del Viminale rimasero soltanto i tavoli spogli ed i telefoni (5). Funzionari particolarmente esperti furono inviati in ricognizione al Nord per selezionare le sedi e rendersi conto delle difficoltà logistiche. Il piano complessivo tuttavia risentì del disordine generale del momento e certamente anche della resistenza passiva opposta dalla maggior parte del personale: Da diverse fonti – scrisse il 10 ottobre il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Barracu – mi viene segnalata, e lo sto notando giornalmente nell’ambiente della Presidenza del Consiglio, che i funzionari di tutti i ministeri stanno effettuando un’opera subdola di ostruzionismo, intesa a rendere impossibile il trasferimento (...). Questa resistenza passiva sembra venga esplicata nella preparazione dei materiali e dei documenti da trasferire, mentre giornalmente assicurano una perfetta, e apparentemente volonterosa collaborazione (6). Bisognò attendere i primi del mese di novembre perché due circolari (7) disponessero con una certa chiarezza le modalità del trasferimento. Il 3 novembre la presidenza specificò che, in base ad un recentissimo decreto, i ministri avrebbero potuto, fino a sei mesi dopo la fine della guerra, collocare a riposo «per speciali motivi di servizio» «gli elementi ritenuti per qualsiasi motivo non utilizzabili» e licenziare tutti gli avventizi, diurnisti e comunque fuori ruolo (8). Particolari condizioni di favore vennero invece introdotte per i dipendenti che si trasferissero al Nord (9): all’atto del trasferimento essi avrebbero ricevuto il pagamento anticipato dello stipendio del mese, la diaria di missione raddoppiata per il periodo di tempo necessario a trovare alloggio nella nuova sede, 4 mesi di stipendio anticipati da versarsi parzialmente alle famiglie quando queste restassero a Roma (10); l’anno successivo sarebbe stata concessa una nuova anticipazione di 6 mesi di stipendio (11). Disposizioni simili furono emanate anche sugli alloggi. Per il vitto fu allestito un sistema di mense. Nel maggio 1944 fu fissata l’indeonità di primo impianto per tutto il personale civile dei ministeri comandato al seguito del Governo: per il personale di ruolo era pari a un’indennità di 4.000 lire, maggiorata di 1.000 lire per ogni persona di famiglia a carico trasferita, e per il personale non di ruolo ad un’indennità di 2.000 lire, maggiorata di .500 per ogni persona di famiglia a carico trasferita (12). Al Nord i ministeri furono sparsi in più centri: Gli Interni a Maderno, sul lago di Garda, e così la segreteria del partito; il ristorante dell’albergo era la "sala d’attesa dei politici"; gli Esteri, vicino alla cittadina di Salò, dalla quale il nuovo regime prendeva il suo nome; la Cultura popolare nei primi giorni si sistemò in un vecchio treno reale su un vicino binario morto. Il Ministero della Difesa era installato a Cremona, l’Economia e le Corporazioni a Verona, l’Agricoltura a Treviso, i Lavori Pubblici a Venezia, l’Educazione Nazionale a Padova, la Giustizia a Brescia (13). Una dispersione logistica (poi completata dall’insediamento degli enti pubblici nazionali) che avrebbe di per sé determinato più di una disfunzione organizzativa: tanto più che le comunicazioni risentirono subito della generale insicurezza dei collegamenti: persino gli indirizzi delle amministrazioni venivano sostituiti, per ragioni militari, dall’anonima indicazione «Posta da campo», seguita dal numero (14). Ancora più difficili furono poi i collegamenti con il Sud (con Roma e con le province), al punto che già nel febbraio 1944 il Ministero dell’Interno, di fronte al rischio dì vedersi isolato da intere province del Sud, avanzò l’idea di trasformare gli uffici stralcio lasciati nella capitale dopo il trasferimento in veri e propri uffici staccati (15). In quelle condizioni la gestione dell’amministrazione apparve subito problematica, persino per gli aspetti più banali. Le retribuzioni del personale, ad esempio: alcuni prefetti, nella situazione di vuoto di direttive, disposero, a partire dall’autunno 1943 e per tutta la primavera 1944, anticipazioni di una o due mensilità al personale in modo «non uniforme» (ciò che suscitò a più riprese la ferma protesta del Ministero delle Finanze)(16). Altri motivi di disagio sopravvennero con il passare dei mesi. Il personale che aveva lasciato la famiglia a Roma e che aveva ricevuto perciò le quattro mensilità anticipate fu sottoposto a una sorta di doccia scozzese: prima (luglio 1944, perduta definitivamente Roma) gli fu imposta la restituzione rateizzata dell’intera somma, poi (ottobre, dopo le proteste) il recupero fu rinviato alla fine delle ostilità (17). Seguirono una serie di provvedimenti restrittivi: un decreto del duce del 16 ottobre 1944, n. 748, escluse per il personale trasferito l’indennità di emergenza, suscitando la protesta dell’Associazione generale del pubblico impiego (18). Sfuggiva frattanto la stessa esatta conoscenza della situazione degli organici. Nel luglio 1944 il segretario generale della Corte dei conti confessava di non sapere «quale (fosse) il personale di ruolo e non di ruolo che, rimasto nella Roma "occupata dal nemico", prest(asse) effettivamente la sua opera presso amministrazioni centrali del governo al servizio degli anglo-americani» (19). Alla fine del 1944 l’amministrazione non era ancora in grado di produrre elenchi attendibili del personale sottrattosi volontariamente al trasferimento, sicché in alcuni casi doveva ripiegare sulle dimissioni d’autorità di «tutto il personale indistintamente» (20): Non ho potuto dar corso alle disposizioni (...) – scriveva in quegli stessi giorni il ministro delle Finanze –: Per poterle eseguire occorre infatti conoscere – raggiungendo la prova certa – quali funzionari dell’amministrazione centrale si siano in Roma messi al servizio degli anglo-americani, ma tale prova non può, a tutt’oggi, considerarsi raggiunta per nessuno di essi, non essendo possibile dar credito alle varie dicerie e notizie che pervengono da fonti sospette e comunque non accreditate (21). Anche il reclutamento di nuovi impiegati si rivelò problematico. Ai ministeri trasferiti fu concessa dapprima la facoltà «di immettere nei Gruppi A e B personale che, a prescindere dai titoli di studio, dia affidamento di possedere le qualità necessarie per assolvere, con piena capacità, le mansioni inerenti alle funzioni del grado al quale viene assunto» (22). Ma subito si dovette denunciare il pericolo che l’assunzione servisse ad eludere l’obbligo del servizio di lavoro (23): nel dicembre 1943 una circolare della Presidenza avvertì esser stato «Superiormente notato» (formula comunemente impiegata per riferirsi ai desiderata dello stesso Mussolini) «che presso i Ministeri vi sono molti giovani delle classi dal ’20 al ’25 che potrebbero andare alle armi». Ne scaturì un piccolo scandalo e, nei primi mesi del 1944, un ampio censimento di tutti i giovani in servizio nell’amministrazione (24). Naturalmente la situazione generale ebbe immediati riflessi sullo stato della disciplina interna. Nel novembre 1943 Barracu rivolse a tutti i ministeri un pressante richiamo perché vigilassero sul «contegno» dei loro funzionari (25). Nel marzo 1944 una allarmata circolare della Presidenza avvertì che «una parte del personale già trasferitesi, ed autorizzato a recarsi a Roma in occasione delle feste natalizie, non è ancora rientrato alle proprie sedi», mentre «parecchi ispettori, appena giunti alle sedi Nord, si sono allontanati con il motivo di compiere ispezioni - che nella maggior parte dei casi si svolgerebbero nelle città dell’Italia centrale ed anche a Roma – ed ancora non sono rientrati alle proprie sedi» (26). Non è chiaro quanti siano stati gli impiegati dell’amministrazione centrale che seguirono i fascisti nell’avventura della Repubblica Sociale Italiana (27). Claudio Pavone, sulla scorta di un calcolo di Enzo Piscitelli, li ha indicati «presuntivamente» nell’ordine del 15 % (28). Carlo Fumian, rifacendosi ad un prospetto del 24 giugno 1944 riguardante 14 dicasteri su 17, riporta che «dei 15.144 funzionari ed impiegati m forza 1’8 settembre 1943 risultavano ancora in servizio al 31 gennaio 1944, 10.889», anche se subito precisa che «la percentuale del personale realmente trasferito fu minore» (29). Le statistiche del periodo non consentono di pronunciarsi con maggiore approssimazione. I primi dati di sintesi disponibili si riferiscono alla fine del 1944 (sono le risposte che i ministeri, nella Roma liberata, diedero a una specifica richiesta di informazioni indirizzata loro dal presidente del Consiglio Bonomi con telegramma 4 dicembre 1944). Ma le notizie pervenute alla Presidenza furono, in quell’occasione, molto frammentarie e di problematica comparazione (30). Tuttavia quei dati offrono pur sempre un primo quadro, per quanto approssimativo, delle dimensioni dell’esodo (31). Colpiscono in essi due fenomeni: la schiacciante predominanza dei gradi più bassi su quelli più alti (rarissimi i gradi IV, quasi assenti i primi due gradi: si ha quasi l’impressione di amministrazioni acefale) (32); e lo squilibrio tra ministeri (numerosi i trasferimenti alla Pubblica Istruzione, all’Interno o al Tesoro; assai meno consistenti - soprattutto se si tiene conto del numero elevato dei dipendenti di quella grande amministrazione – ai Lavori Pubblici e in altri dicasteri chiave). L’esodo insomma si differenziò, probabilmente anche in relazione alla maggiore o minore pressione esercitata dalle varie amministrazioni sui propri dipendenti. Secondo una fonte posteriore alla Liberazione (un gruppo di dipendenti dell’amministrazione dell’Interno del Nord, in un loro memoriale del 16 luglio 1945) (33), l’ostilità al trasferimento, la tendenza a sabotarlo in ogni modo, furono fin dal primo momento evidenti. L’aliquota dei volontari fu irrisoria; meno di un decimo del personale indispensabile nella più stretta misura, e per lo più soltanto quelli di grado più modesto, cui non avrebbe potuta essere affidata alcuna responsabilità d’ufficio. Si trattava in genere di persone già politicamente compromesse, iscritti al Pfr, sfollati politici. Per ovviare a questa «crisi di vocazioni», di regola, l’amministrazione aveva seguito il criterio di precettare i celibi e coloro che avevano parenti al di là degli Appennini: Tra il personale designato – continuava il memoriale – si verificarono rapidamente fenomeni epidemici di malattie articolari, reumatiche, polmonari, intestinali, cioè tutte quelle malattie per cui poteva essere letale un clima diverso da quello di Roma, in particolare un clima freddo e umido all’inizio della stagione invernale: rigorosi accertamenti medico-fiscali furono ordinati: i sanitari della Direzione generale di Sanità Pubblica e della Prefettura di Roma furono mobilitati per i controlli: ma i degenti – soprattutto da un certo grado in giù – furono riconosciuti idonei e confermati nelle liste di trasferimento. Il quadro, forse un po’ calcato (ma neanche troppo), restituisce la realtà di una burocrazia di norma riluttante al trasferimento. «Non che entrasse in questo stato d’animo il concetto della "non collaborazione" e della "resistenza" (...) – ha precisato Leto – ma solo un fondamentale, ed aggiungo giustificabilissimo, senso di quietismo, di pigrizia, di paura del nuovo, ed anche di attaccamento abitudinario e direi quasi fisico all’ufficio che fa parte dell’essenza dell’impiegato dello Stato» (34). Che lo spirito del personale non fosse alto, del resto, lo testimoniano i ripetuti richiami ai responsabili degli uffici e la continua minaccia di sanzioni per gli inadempienti (35): Non può non rilevarsi – scriveva nella sua «riservata» ai ministeri del 4 novembre 1943 il sottosegretario alla presidenza Barracu –che le frequenti infrazioni, da parte del personale delle Amministrazioni od Enti dipendenti da questa presidenza, ai doveri inerenti all’ufficio ricoperto, sono addirittura sconfortanti e costituiscono un sintomo molto chiaro dell’indisciplina lasciata dal governo badogliano dei 45 giorni e tollerata dai capi, specie quelli che, investiti di funzioni di tutelatori della legge, non si curano di farla osservare ai loro dipendenti (36). Una prima traumatica frattura tra burocrazia romana e fascismo si era consumata il 25 luglio. Lo attestava implicitamente il tono stesso della circolare che il sottosegretario di Stato Barracu era costretto a indirizzare il 14 ottobre 1943 a tutti i ministeri: dopo aver ribadito che gli uffici del Nord avrebbero avuto «carattere principale in confronto di quelli che rimarranno a Roma» (da denominarsi d’ora innanzi «uffici staccati»), Barracu aveva dovuto insistere perché si trasferissero i capi degli uffici: Sarà opportuno – era stata la più che eloquente conclusione della circolare – rendere edotti i capi dei servizi in carica ed i dipendenti dei vari uffici che coloro i quali, dopo essere stati comandati, si renderanno irreperibili, prima o al momento della partenza, saranno passibili, oltre che delle sanzioni comminate dalle leggi vigenti per i mobilitati civili, delle seguenti misure: – arresto immediato; – dimissioni d’ufficio dell’impiegato senza diritto a pensione; – segnalazione alle autorità di polizia tedesca e arresto dopo la partenza del Governo e per le rappresaglie sugli averi e sulla famiglia in caso di persistente irreperibilità del disertore (37). L’adesione politica alla Rsi fu, nella burocrazia italiana, largamente minoritaria. Il memoriale del 1945 indicava che nel Ministero dell’Interno (cioè in quella che sarebbe stata, anche al Nord, l’amministrazione-chiave) solo il 15% dei dipendenti risultava iscritto al Pfr; su un totale di 174 impiegati ancora presenti nel ministero al 25 aprile 1945 (esclusi i prefetti, che costituirono un caso a sé) (38) solo 10 funzionari di gruppo A, 5 di gruppo B, 12 di gruppo C potevano dirsi propriamente fascisti dichiarati (39). Medie simili si riscontrarono in tutte le altre amministrazioni trasferite al Nord. Nel Ministero della Produzione Nazionale (già dell’Economia Corporativa), su circa 1.000 dipendenti (40), risultarono iscritti al partito o alle Brigate nere 178 impiegati (41); un nucleo delle Brigate nere si formò anche fra gli impiegati dell’Istat (42). Altri dati, frutto di una rilevazione del 1944-45, mostrarono come, amministrazione per amministrazione, i dipendenti del Nord afferenti al partito e alle Brigate nere fossero una minoranza: così, per fare solo qualche esempio, tra il personale dell’amministrazione centrale del Ministero dell’Industria e del Lavoro e Previdenza Sociale (42 nomi, tra i quali figuravano come più alti in grado 3 capi divisione) appena 9 risultarono fascisti, e nel personale avventizio 9 su 69; nel Corpo delle regie miniere su 28 solo 3; nel personale di ruolo degli uffici provinciali dell’Industria e Commercio (una decina di dipendenti) figurò un solo nome; nessun aderente al Pfr era registrato tra il personale di ruolo dell’amministrazione metrica; nel personale del Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione (4 a ruolo organico e 6 a contratto) si riscontrarono due soli fascisti; nel personale del’Ispettorato dell’Industria e Lavoro (14 nomi, tra i quali un ispettore generale e due ispettori superiori) uno soltanto; nel personale del Ministero per gli Scambi e Valute (17 nomi) nessuno (43). Per quanto i dati debbano essere interpretati con prudenza, è lecito ritenere che il livello di politicizzazione del personale fosse in genere piuttosto basso. Pavone ha ricordato come l’esperienza amministrativa della Rsi fosse sentita, da una larga parte della burocrazia che vi prendeva parte, nella chiave prevalente della continuità. I valori della neutralità dell’amministrazione, patrimonio fondamentale della tradizione burocratica italiana che neppure l’esperienza storica del fascismo aveva scalfito (anzi, per certi versi, il regime aveva contribuito a radicarli maggiormente), l’idea guida dell’obbedienza gerarchica e il senso della sostanziale continuità tra prima e dopo l’8 settembre giocarono in quei mesi un’influenza decisiva su molte coscienze. Ricorrente, nelle autodifese dei dopoguerra, sarebbe stato l’alibi (ma un alibi che molti non sentivano riduttivamente come tale) d’avere scongiurato il peggio, assicurando la sopravvivenza dell’amministrazione ed evitando la completa politicizzazione dell’attività d’ufficio: Degli impiegati che hanno lavorato al Nord - insisteva il memoriale già citato del 194.5 - nessuno ha creduto un solo momento alla vittoria del nazismo; hanno invéce creduto tutti che in ogni caso fosse dovere di chi per professione amministra la cosa pubblica, di impedire il caos, il disordine, di evitare la carenza di Autorità: non provvedere all’ordinaria amministrazione e rifiutarsi di corrispondere alle sue esigenze, indipendenti da ogni compromissione e necessità politica, avrebbe significato, soltanto, procurare incertezze e miseria nella popolazione e nei pubblici uffici (44). E ancora: Era con questo mandato di fiducia sottinteso che noi partimmo da Roma nell’ottobre 1943: ed i colleghi rimasti a Roma affidarono a noi gli atti a cuore tranquillo, sapendo che noi li avremmo custodia con senso di responsabilità (come tuttora facciamo) sino al momento di riportarli a Roma (45). Argomenti, questi (certo strumentali: ma non è questo il punto), che sarebbero ritornati in tanti ricorsi contro i provvedimenti di epurazione, e con tanta frequenza da far pensare a qualcosa di più che non ad una sapiente orchestrazione di motivi a difesa tra agguerriti collegi di avvocati. L’interesse dell’amministrazione (supremo interesse, tanto da prevalere sul possibile imperativo morale antifascista) sarebbe stato insomma invocato come legittimazione di comportamenti individuali, come pietra di paragone sulla quale misurare gli uomini e le loro azioni (46). Tipico fu il tema della difesa degli archivi, della salvezza delle carte d’uffìcio, ottenuta quasi sempre con il furbesco ricorso ali’antica pratica del non adempimento, della dilazione, dell’eccezione formale: «Mi rifiutai categoricamente di mandare i fascicoli relativi ali’Italia meridionale, che non potevano essere udii agli uffici distaccati di Padova, e per gli altri fascicoli cercai sempre di ritardarne l’invio»; «nel frattempo avevo provveduto a far fotografare le matricole, per evitare che con la spedizione potessero andare perduti tali preziosi documenti» (47); «si decise, d’accordo con gli altri capi servizio, di inviare a Brescia soltanto una limitatissima parte dei fascicoli, scegliendoli accuratamente tra quelli di nessuna o di scarsa importanza» (48). Guido Leto avrebbe rivendicato, anni dopo, come proprio la continuità degli archivi fosse stata forse la principale ragione del trasferimento di molti funzionar!: «bisognava incorporarsi negli archivi diventandone custode» (49). Nel crollo generale dello Stato, la ripetitività dei comportamenti individuali, la routine del lavoro d’ufficio, persino la sequenza numerica ininterrotta dei protocolli dovettero valere per molti ad esorcizzare il trauma del disastro. Un riflesso condizionato, un automatismo per forza d’inerzia, indusse a continuare come se nulla fosse accaduto (50). L’amministrazione della Repubblica Sociale visse infatti due contraddizioni: la prima, sorprendente se si valuta lo «strappo» costituzionale e politico che il Mussolini reduce dal Gran Sasso aveva voluto imprimere a quest’ultima stagione fascista, fu proprio che tese in ogni modo a ricucire la continuità burocratica con il ventennio precedente, pretendendo puntigliosamente di legittimarsi in nome di una legalità formale che la guerra e le conclamate origini «rivoluzionarie» del nuovo Stato avrebbero dovuto quanto meno revocare in dubbio; la seconda caratteristica fu la sostanziale fragilità e provvisorietà della sua trama organizzativa, l’evidente disagio di cui dovette soffrire per l’assenza di una piena sovranità nei confronti della parallela amministrazione militare tedesca. Quanto al primo punto, il formalismo dell’amministrazione sarebbe entrato presto in contrasto con le tensioni «rivoluzionarie» del Partito Fascista Repubblicano guidato da Pavolini. Già nel luglio 1944 la presidenza del Consiglio dovette richiamare l’obbligo (previsto per legge dal 1941) della «preventiva consultazione» del partito per le nomine e per il conferimento di cariche ed incarichi di interesse pubblico e di portata politica, lamentando che fosse invalsa la pratica della semplice richiesta di nulla osta, per di più inoltrata in tempi così ridotti da impedire al partito qualunque seria istruttoria sulla nomina (51). Ma il vero terreno dello scontro fu quello dell’«epurazione» nei confronti degli impiegati politicamente infedeli (52). Sollecitati a compilare gli elenchi, i ministeri opposero spesso una sorda quanto tenace resistenza. Emblematico, nella sua franca brutalità, l’appunto a mano di Barracu, rivolto nel maggio 1944 al ministro delle Comunicazioni Liverani, a glossa del primo elenco di epurandi di quel dicastero: «Caro Liverani, come mai non mi è pervenuto ancora l’elenco dei pezzi grossi, molto più grossi di queste pezze da piedi?» (53). E interessante anticipare, a questo proposito, come Patteggiamento prudente dell’amministrazione del Nord riguardo al problema collimasse con quella che – contemporaneamente - sarebbe stata, a parti invertite, la reazione tipica della burocrazia del Regno del Sud (si ritornerà sul punto nel par. 3). Quando nel giugno 1944 la Presidenza del Consiglio della Repubblica fece circolare il testo di un decreto del duce che istituiva una commissione incaricata di «procedere alla revisione del dipendente personale civile», «allo scopo di accertarne la condotta morale e politica, la capacità professionale e il rendimento», forti obiezioni vennero proprio dalla burocrazia (forse il Consiglio di Stato, o gli uffici stessi del Ministero dell’Interno). Alla disposizione che voleva la commissione composta di tre membri, due designati dal Partito Fascista Repubblicano e dall’Associazione fascista del pubblico impiego ed uno, il presidente, dal ministro competente «fra persone di sua fiducia estranee al personale del Ministero, che possieda i seguenti requisiti: fede assoluta, ottima capacità ed operosità, essere iscritto al Pfr, ex combattente e capo di famiglia», si rispose che l’espressione «fede assoluta» «non sembra che da sola esprima alcun concetto» e che una simile commissione non sarebbe stata comunque in grado di accertare la condotta «politica» del personale. Ci si trincerò, cioè, in un’impostazione «garantista», suggerendo di indicare a verbale «i motivi in base ai quali viene espresso tale giudizio negativo», invece di «limitarsi a dichiarare soltanto il giudizio definitivo di non idoneità» («Ciò – si precisava – risponde ad un concetto di giustizia dal quale non sembra che si possa prescindere e pertanto sarebbe necessario precisarlo nel decreto») (54). Forse persino più clamorose furono poi le riserve che la Direzione generale per il Personale e gli affari generali del Ministero delle Finanze oppose, nel 1944-45, cioè dopo l’entrata degli Alleati a Roma, ai provvedimenti punitivi da adottarsi (in contumacia) nei confronti del personale rimasto nella capitale e, presumibilmente almeno, postosi al servizio dell’occupante. Una prima circolare in tal senso, emanata immediatamente, il 25 giugno 1944, dalla presidenza del Consiglio, suscitò una lunga risposta del dicastero finanziario: Per poterle eseguire occorre infatti – vi si obiettava, in nome di un legalismo per certi versi, date le circostanze, sorprendente – conoscere, raggiungendo la prova certa, quali funzionari dell’Amministrazione Centrale si siano in Roma messi al servizio degli anglo-americani, ma tale prova non può a tutt’oggi considerarsi raggiunta per nessuno di essi, non essendo possibile dar credito certo alle varie dicerie e notizie che pervengono da fonti sospette e comunque non accreditate. Non si deve invero dimenticare che i provvedimenti previsti dalla predetta disposizione vanno sottoposti agli organi di controllo, i quali giustamente esigerebbero, come documentazione minima, l’emanazione di apposite informazioni di carattere ufficiale, contenenti i nominativi del personale che si sia posto al servizio degli anglo-americani (55). Pochi giorni dopo la Corte dei conti, esaminando i primi decreti di dimissione dall’impiego del personale del nucleo di collegamento dell’Interno, rilevò «che i decreti (...) dovrebbero essere redatti in conformità alle disposizioni di cui all’art. 1 del Decreto legislativo del Duce 31 gennaio 1944, n. 18, cioè facendo risultare dalle premesse di essi che i funzionari comandati a seguire l’Amministrazione in Alta Italia non hanno ottemperato all’ordine» e decise pertanto di non registrare i decreti (56). Giustamente è stato notato come, pur nel generale clima di disfacimento che caratterizzò gli ultimi mesi della Repubblica, l’amministrazione vivesse secondo ritmi e rituali immutabili (57). In quell’anno e mezzo nulla o quasi cambiò rispetto al funzionamento dell’amministrazione nel Regno d’Italia. Vi fu qualche accorpamento di ministeri (nel 1945 il Ministero dell’Agricoltura e Foreste venne denominato Ministero per la Produzione Agricola e Forestale (58), fu istituito un Ministero del Lavoro con annesso un Sottosegretariato Prezzi, il Ministero dell’Economia Corporativa fu denominato della Produzione Industriale) (59), si decretò, nel novembre 1943, l’abolizione della qualifica di prefetto, a favore della denominazione di «Capo di Provincia» (60), si nominarono i nuovi «prefetti fascisti» (61), dal marzo 1944 la ricostituita Associazione nazionale fascista del pubblico impiego riprese le pubblicazioni del periodico della categoria «Le Forze Civili» (62): ma il complesso dell’attività amministrativa, le regole di funzionamento degli apparati, le procedure burocratiche interne, persino lo stile della comunicazione amministrativa e, in definitiva, l’ideologia di fondo della burocrazia restarono assolutamente gli stessi. Si avvertiva, tuttavia, l’estrema debolezza dell’intera impalcatura pubblica, la finzione formalistica che ne assicurava la sopravvivenza in una dimensione minore, quasi caricaturale (a suo modo tipica fu la sopravvivenza di un Ministero per l’Africa Italiana, quando nessuna comunicazione con i territori d’oltremare, del resto ormai perduti, era più possibile). I rapporti con l’autorità germanica furono da subito difficilissimi, improntati ad una subalternità persino umiliante. L’Ufficio di collegamento con le autorità militari germaniche, a Roma, ebbe nel 1943-44 un vasto contenzioso del quale occuparsi (63): sequestri non autorizzati di materiale e macchinari dello Stato (persino i torchi della Calcografia di Stato), confische illegittime di automezzi. Nel dicembre 1943 un’incursione notturna di militari tedeschi trasferì tutti i mobili della Direzione generale per i Servizi di guerra «in una villa nei pressi di Roma, che non è stato possibile precisare»; il gruppo elettrogeno carreggiato per l’illuminazione dei rifugi del Ministero dell’Interno fu requisito arbitrariamente e trasportato al comando tedesco a Villa Pamphili; numerosi funzionari italiani, a Roma e nella provincia, caddero vittime di rastrellamenti tedeschi, subirono fermi e arresti, e si dovette intervenire «pressantemente» per via diplomatica per ottenerne il rilascio. Nel solo periodo tra marzo e aprile 1944 l’Ufficio dovette denunciare in una sua nota 26 casi di «incidenti a pubblici funzionar!» ad opera di mili tari tedeschi. Non mancarono fatti gravi, come le fucilazioni indiscriminate, talvolta anche di autorità fasciste (accadde per esempio a Leonessa il 10 aprile 1944 per un commissario prefettizio e a Poggio Mirteto il 12 per il podestà), saccheggi di uffici pubblici, violenze gratuite contro civili: «i fatti – commentava preoccupato l’Ufficio – hanno una sensibile incidenza sui rapporti tra le Autorità Civili locali Italiane e quelle militari Germaniche, sullo stato d’animo della popolazione, nonché di quello dei funzionari pubblici». La subordinazione di fatto dell’amministrazione italiana a quella militare tedesca non mancò di suscitare nella burocrazia diffusi malumori ed anche qualche sporadica reazione (debole, per altro, come le circostanze consentivano). Il capo di gabinetto dell’Interno Pagnozzi, responsabile dell’Ufficio di collegamento a Roma, ricevendo nel marzo 1944 da Graziani lo schema di ordinanza Kesselring, secondo il quale tutta la popolazione civile sarebbe stata sottoposta alla giurisdizione del comando militare germanico di Roma non solo per i reati di competenza dei tribunali militari ma anche per quelli «che direttamente o indirettamente toccano gli interessi delle Forze Armate Tedesche», «si permise di richiamare» ai suoi superiori al Nord come ciò avrebbe comportato «la formale rinunzia da parte dello Stato Italiano ad uno dei suoi attributi fondamentali della sovranità, qual è quello della giurisdizione sui propri cittadini» (64). Che quella rinunzia d’altra parte fosse in pratica già avvenuta, ali’atto stesso della costituzione della Repubblica, dovette essere in quei mesi chiaro a tutti, tedeschi e fascisti italiani. Nell’ aprile 1944, di fronte alla richiesta dell’Ambasciata di Germania di potenziare gli uffici romani di ministeri ed enti, Barracu dovette domandare riservatamente all’ambasciatore di indicare lui, «il più dettagliatamente possibile, quali dovrebbero essere gli Uffici» (65). E lo stesso Barracu, nel novembre, fu costretto, dinanzi all’ennesimo arbitrio delle SS nei confronti di un funzionario italiano, ad un’accorata protesta personale presso l’ambasciatore del Reich, più eloquente di qualunque altro documento: Quando diventerà di dominio pubblico, il fatto porterà a due logiche deduzioni di ordine politico e morale: 1) di ordine politico, perché dimostrerà (confermando quanto la propaganda nemica radio diffonde) che i mèmbri del governo della Rsi sono trattati alla stregua di elementi che servono solo gli interessi tedeschi e che sono privi di qualsiasi autorità atta a tutelare gli interessi della Repubblica; 2) di ordine morale, perché, dimenticando che la Medaglia d’oro Barracu è stato il primo a presentarsi all’Ambasciata di Germania a Roma il 10 settembre 1943 (...) si permette la svalutazione dei valori gerarchici operata dai rappresentanti delle «SS» di Broscia che, affermando di voler appurare la provenienza dei materiali’custoditi nel magazzino di Cazzago San Martino, mettono l’onore di un soldato membro del Governo della Repubblica Sociale Italiana al livello di un qualsiasi spregevole trafficante in borsa nera (66). Nel marzo 1945 il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica rivolse infine una lunga nota verbale all’Ambasciata, lamentando che il commissario supremo delle Prealpi avesse disposto che tutte le questioni personali degli impiegati italiani (comprese le domande di congedo straordinario, collocamento in aspettativa e promozioni) fossero trattate direttamente dai suoi uffici, sottraendo così «alla competenza e conoscenza delle rispettive Amministrazioni Centrali Italiane il controllo, la disciplina e la tutela giuridica dei propri dipendenti» (67). Era ormai la vigilia del 25 aprile e parole come «controllo» e «disciplina», così tipiche del lessico burocratico, dovettero suonare assolutamente prive di significato. In quegli stessi giorni, un rapporto del prefetto di Cremona, città dove avevano sede varie amministrazioni centrali (il Consiglio di Stato, l’Avvocatura generale dello Stato, il Ministero dell’Africa Italiana, la Corte dei conti) restituiva drammaticamente il senso della disfatta imminente: Nell’ambiente dei locali Ministeri regna confusione e menefreghismo completo sull’orario d’ufficio. Pochi sono i funzionati e gli impiegati che osservano la puntualità dell’orario d’ufficio. I dirigenti e i capi ufficio non curano la disciplina ed il lavoro. Si ha la precisa sensazione che nei predetti Ministeri ben pochi sono gli uomini di fede mentre la maggioranza sono attesisti, e si dedicano ad ogni sorta di distrazione, a relazioni illecite e giuochi d’azzardo (68). 1 Cfr. su Huber, G. Bocca, La repubblica di Mussoli’ni, Bari, Laterza, 1977, p. 33. In generale si rinvia a L. Kimkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-45, Torino, Bollati Boringhieri, 1993. 2 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 5, dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a tutti i ministeri, n. 25047/1.1.2 del 5 ottobre 1943. 3 Ibidem, dove cfr. numerosi dati sul trasferimento (tra gli altri il Riassunto dei partenti degli uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 23 ottobre 1943). 4 ACS, Segreteria Particolare del Duce, Cart. Ris., Ksi, b. 63, fase. 633, fonogramma della Presidenza del Consiglio del 9 dicembre 1943. 5 G. Leto, Zibaldone di polizia, Kofna, Edizioni Mediterranee, 1974, p. 250. 6 ACS, Segreteria Particolare del Duce, Cart. Kis., Rsi, b. 63, fase. 633. 7 Entrambe della Presidenza del Consiglio e del 2 novembre 1943, rispettivamente le mi. 25699 e 25700. 8 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 5, dalla Presidenza del Consiglio deiministri a tutti i ministeri, n. 25747/1.3.1 del 3 novembre 1943. Il testo del decreto in ibidem. Segreteria Particolare del Duce, Cart. Ris., Rsi, b. 63, fase. 633. 9 Cfr. in proposito la puntuale ricostruzione di C. Fmnian, Venezia «città ministeriale» (1943-1945), in G. Paladini e M. Rebershak, La Resistenza nel Veneziano, 1, La società veneziana ira fascismo, inesistenza e repubblica, Venezia, Università di Venezia-Comune di Venezia-Istituto veneto per la storia della Resistenza, 1984, pp. 370 ss. 10 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, bb. 5, 6 e 35. 11 Ibidem, b. 2: DI Duce 16 settembre 1944, n. 591. 12 Ibidem, b. 6, dalla Ragioneria generale dello Stato-Igop alla Presidenza del Consiglio dei ministri, 8 maggio 1944. 13 F.W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Torino, Einaudi, 1962, p. 601. Cfr. anche le notizie in ACS, Segreteria Particolare del Duce, Cart. Ris., Rsi, b. 63. 14 È stata più volte ricordata (cft. ad es. C. Fumian, Venezia «città ministeriale», cit., p. 374), l’ironica ma esasperata battuta di Lando Ferretti sul «Corriere della Sera» del 23 dicembre 1943 : «vorremmo anzitutto che il governo non avesse soltanto un indirizzo politico e sociale, ma anche postale». 15 Un esperimento simile fu realizzato per il Ministero dell’Agricoltura (15 province dipendenti dall’ufficio romano organizzato dal dirigente del Ministero Mariani): cfr. ACS, Segreteria Particolare del Duce, Cart. Ris., Rsi, b. 63, fase. 633, Promemoria per S.E. il ministro dell’Interno, Roma 8 febbraio 1944. 16 ACS, Pres. Cons., Gab., Ksi, bb. 2, 6 e 7; il ministro dell’Economia Corporativa, ad esempio, aveva concesso ai suoi dipendenti con famiglia a Roma l’anticipo non di quattro ma di otto mensilità. 17 ACS, Pres. Cons., Gab., Ssi, b. 6: Presidenza del Consiglio dei ministri, Circolare n. 0740-25047/1.1.2 del 13 luglio 1944; Presidenza dd Consiglio dei ministri. Circolare n. 04065-25047/1.1.2 del 14 ottobre 1944. 18 Ibidem, b. 7, dall’Associazione generale dipendenti pubbliche amministrazioni alla Presidenza del Consiglio dei ministri, 15 gennaio 1945. 19 Ibidem, b. 2, dal Segretario generale della Corte dei conti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Cremona, 20 luglio 1944. 20 Così il Ministero dei Lavori Pubblici, il 19 agosto 1944. Ma comunicazioni analoghe provennero per tutto l’autunno 1944 da parte di molti ministeri (cfr. ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 2). 21 Ibidem (lettera del 29 settembre 1944). 22 Ibidem, b. 3, dal Ministero dell’Interno, Dirczione generale AA.GG. e del Personale alla Presidenza del Consiglio, 22 dicembre 1944: cfr, il decreto legislativo del duce del 17 maggio 1944, n. 201, art. 6. 25 Cfr. ibidem, b. 35, Presidenza del Consiglio dei ministri, Circolare del 4 ottobre 1943. 24 Ibidem, b. 41, Presidenza del Consiglio dei ministri. Circolare del 25 dicembre 1943. 25 Ibidem, b. 2, dal sottosegretario di Stato Barracu a tutti i ministeri, 30 novembre 1943. 26 Ibidem, b. 38, Presidenza del Consiglio dei ministri. Circolare del 15 marzo 1944. 27 Utilizzo qui la mia relazione su Percorsi di continuità della burocrazia, tenuta al convegno su «La Resistenza tra storia e memoria». Roma 9-10-11 ottobre 1995, promosso dall’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza (in corso di pubblicazione). 28 C. Pavone, La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, iti Italia 1945/’48. Le origini della Repubblica, Torino, Giappichelli, 1974, p. 200 (ora anche in Id., Alle origini della Repubblica. Scritti su fascismo, antifascismo e continuità dello Stato, Torino, Bollati Boringhieri, 1995, pp. 70 ss.). 29 C. Fumian, Venezia «città ministeriale», citi, pp. 371-72 (la fonte cit. è ACS, Segreteria particolare del duce, Catt. Ris., Rsi, b. 63, fase. 633, sf.2). 30 Cfr. ACS, Pres. Cons., Gab., 1944-47,1.3.1, 20013; altri dati sparsi sono nelle tabelle dei trasferimenti al Nord ricostruite nel dopoguerra in occasione dell’epurazione: cfr. ibidem, 1.3.1,10075; ibidem, 1.3.1,20013; ibidem. Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli enti vigilati, b. 17, fase. 1. 31 Quanto al Ministero dell’Interno, cfr. ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli enti vigilati, b. 17, fase. 1, Elenco del personale dell’amministrazione civile dell’Interno trasferitesi al Nord anche se successivamente rientrato (redatto nel giugno 1945). Altri dati sui ministeri dell’Agricoltura, della Guerra, delle Finanze m ACS, Pres. Cons., Gab., 1944-47, 1.3.1, 20013. 32 C. Fumian, Venezia «città ministeriale», cit., p. 373- 33 ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli end vigilati, b. 17, fase. 1, «Situazione e attività svolta dai funzionar! civili di ruolo del Ministero dell’Interno in Italia settentrionale». 34 G. Leto, Zibaldone di polizia, cit., p. 246. 35 Cfr. uno dei primi esempi nella circolare n. 25699/1.3-1 della Presidenza del Consiglio, emanata il 3 novembre 1943. 35 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 5, n. 25699/1.3.1 del 4 novembre 1943. 37 Circolare n. 25393/25047/1.10.1.1.2, Presidenza del Consiglio dei ministri a tutti ministeri, Roma 14 ottobre 1943. 38 Sui prefetti cfr. in particolare ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. Commissione centrale di epurazione, b. 5, fase. 6 e ibidem. Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli enti vigilati, b. 17, fase. 1: i prefetti deferiti alla commissione di epurazione furono 51, oltre la metà di quelli in ruolo alla data del 4 giugno 1944. 39 ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli enti vigilati, b. 17, fase. 1, in particolare: «Situazione e attività svolta dai funzionali civili di ruolo del Ministero dell’Interno in Italia settentrionale», cit. 40 Il dato in G. Bocca, La repubblica di Mussolini, cit., p, 139, che richiama una testimonianza del capo di Gabinetto del ministro Tarchi Manlio Sargenti. 41 ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli enti vigilati, b. 16/0; 42 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 32, «Servizio di statistica». 43 ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli enti vigilati, b. 16/O cit. 44 ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, III, Affari dell’epurazione del personale delle amministrazioni dello Stato, degli organi dipendenti e degli enti vigilati, b. 17, fase. 1, «Situazione», cit. 45 Ibidem. 46 C. Pavone, Alle origini, cit-, p. XVII: «il risultato fu che la parte del personale amministrativo che era rimasta in servizio sotto la Repubblica sociale finirà, dopo la liberazione, per accreditarsi come quella che in circostanze difficili aveva salvato il salvabile». 47 ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo. III, b. 10. 48 Ibidem. Commissione centrale di epurazione, b. 5, fase. 8. 49 G. Leto, Zibaldone di poliva, cit., p. 250. 50 Naturalmente con delle eccezioni: nel novembre 1943, a Roma, fa ad esempio costituito un comitato d’azione antifascista (poi riconosciuto dal Cln) presso il Ministero dell’Interno. I mèmbri del comitato furono autorizzati a prestare giuramento alla Rsi: cfr. ACS, Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, b. 17. 1. 51 ACS, Pres. Cons-, Gab., Rsi, b. 37, Presidenza del Consiglio dei ministri. Circolare 20 luglio 1944. 52 Decreto legislativo 29 novembre 1943, n. 793, poi integrato dai decreti 28 gennaio 1944, n. 16 e 31 gennaio 1944, n. 18. 53 ACS, Pres. Cons-, Gab., Rsi, b. 43. L’elenco comprendeva 135 nomi, in larga maggioranza del personale subalterno e diurnista- In precedenza, un altro elenco del personale delle Poste, resosi irreperibile dopo il 24 settembre 1943, conteneva 50 nomi. 54 Ibidem, b. 2, Commissione per la revisione del personale civile dello Stato. 55 Ibidem, dal Ministero delle Finanze, Direzione generale per il personale e gli affari generali alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Brescia, 29 settembre 1944. Il contrasto si ripresentò ancora più acuto all’inizio del 1945, quando la presidenza emanò la direttiva della destituzione immediata di rutto il personale di ruolo che prestasse «la sua opera presso le amministrazioni centrali del governo al servizio degli angloamericani». 56 Ibidem, b. 2, dal Ministero dell’Interno, Dirczione generale degli AA.GG. e del personale alla Presidenza del Consiglio dei ministri, 31 gennaio 1945. 57 Un’efficace descrizione di quel clima è in G. Bocca, La repubblica di Mussolini, cit., pp. 139 ss. 58 Cfr. ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 2, cit., dal Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste alla Presidenza del Consiglio dei ministri, 27 gennaio 1945, «Ordinamento del Ministero» e in particolare il Decreto legislativo del duce 19 gennaio 1945, n. 2. In generale cfr. P. Gotti, L’amministrazione dell’agricoltura dalla caduta del fascismo alla metà degli anni Cinquanta. Profili organizzativi, in Amministrazione pubblica e istituzioni finanziarie, cit., pp. 699 ss. 59 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 2, cit. 60 Ibidem, b. 55. 61 A. Cifelli, I Prefetti della Repubblica (1946-1956), Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1990, p. 62: «Il Governo della Rsi, appena costituito nel settembre 1943, rimosse tutti i prefetti trovati in sede nelle province controllate, sostituendoli con nuovi prefetti scelti in massima parte tra "vecchi prefetti politici", nominati nel ventennio, ed ex consiglieri nazionali». 62 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 37, Presidenza del Consiglio dei ministri. Circolare del 17 marzo 1944; ibidem. Segreteria Particolare del Duce, Cart. Ris., Rsi, b. 63, Presidenza del Consiglio dei ministri. Circolare del 15 marzo 1944. 63 Una nutrita documentazione sulla sua attività in ACS, Segreteria Particolare del Duce, Cart. Ris., Rsi, b. 63, cit., donde sono tratte anche le notizie in testo. 64 Ibidem, Appunto per il Ministro, Roma 30 marzo 1944. 65 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 3, da Barracu all’Ambasciata di Germania, 26 aprile 1944. 66 Ibidem, da Barracu all’ambasciatore del Reich in Italia, 27 novembre 1944 (e per conoscenza al duce). 67 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 52, dal Ministero degli Affari Esteri, Direzione generale degli AA.GG., alla Presidenza del Consiglio dei ministri (con allegata la nota verbale n. 31/657 presentata all’Ambasciata di Germania il 15 marzo 1945), 20 marzo 1945. 68 ACS, Pres. Cons., Gab., Rsi, b. 2, cit. seguiva l’elenco degli impiegati resisi irreperibili, per lo più rimossi dell’impiego.