Piero Colaprico, la Repubblica 14/4/2012, 14 aprile 2012
"Lo pagavo perché era uomo di Formigoni" – IL SAN Raffaele prima, e ora la fondazione Maugeri, titolare di una ventina di cliniche in tutt’Italia: la procura milanese attacca e mette in carcere
"Lo pagavo perché era uomo di Formigoni" – IL SAN Raffaele prima, e ora la fondazione Maugeri, titolare di una ventina di cliniche in tutt’Italia: la procura milanese attacca e mette in carcere. MILANO TROVA conti esteri e paradisi fiscali. Fatture che sembrano fasulle e probabilmente lo sono. Consulenze tragicomiche, come una ben retribuita, che indaga nientemeno che sulla possibilità di vita su Marte. E che cosa ne saprà mai di vita extraterrestre uno come Pierangelo Daccò, ciellino di stretta osservanza, abile a moltiplicare i beni terreni? Uno sbattuto in carcere dal 15 novembre per la bancarotta da un miliardo del San Raffaele, un genio nello scavare la fossa che mangia i quattrini pubblici sotto i piedi di ospedali e cliniche private? Questi arresti vecchi e nuovi in Regione e dintorni, gli scandali nel mondo della sanità padana sembrano diventare, come ai tempi di Tangentopoli, una rubrica fissa. E una rubrica fissa è pure l’atteggiamento di Roberto Formigoni, presidente della Regione e amico intimo degli ultimi arrestati. Soprattutto del colosso Antonio Simone, ex assessore alla Sanità negli anni della Milano da bere, implicato in Mani Pulite, prescritto, prosciolto: qualsiasi cosa accada, il Celeste Formigoni non c’entra, dice. Non sa, e non immaginava. «Ho stipulato contratti di consulenza fittizi con Pierangelo perché quest’ultimo era un uomo di Formigoni», mette però a verbale una delle persone arrestate ieri, Costantino Passerino, direttore amministrativo della fondazione Maugeri. È un duro colpo: è una verità assoluta, sinora sussurrata, quella che adesso emerge nelle carte giudiziarie. Il Celeste viene riportato con i piedi per terra. Per i magistrati non è stato difficile inquadrare, intorno alla Maugeri, un grumo di società di ricerca scientifica che sono in effetti «scatole vuote». Sono state scoperte operazioni che hanno trasportato all’estero circa 56 milioni di euro: un’enormità di denaro entrata - sostengono gli investigatori - nell’orbita non marziana, ma terrestre, di Simone & Daccò, i gemelli della consulenza. Le opposizioni, dopo i cinque arresti di ieri, protestano, com’è ovvio. Ma va detto che nessuno, nemmenoa sinistra, sinora osa affrontare di petto due questioni politiche e umane davvero cruciali. La prima: la sanità pubblica va gestita come se fosse un’azienda simile alla Fiat? Oppure la salute dei cittadini implica qualcosa di diverso dal controllo di qualità di un’automobile? C’è bisogno davvero di così tanti «consulenti» e manager che nessuno sa bene che cosa fanno? Seconda questione: «Fare lobby» è un reato o no? All’estero esiste il cosiddetto «traffico di influenze», sono stati tracciati i confini delle raccomandazioni. È un reato che si vuole da tempo introdurre in Italia, forse ci riuscirà il governo dei tecnici. Ma adesso essere «amici», stare nelle cooperative o nella Compagnia delle Opere a scambiarsi favori a molti zeri con gli amministratori locali, diventa reato di «associazione per delinquere»? I pubblici ministeri dicono di sì, aggiungono per Simone anche il reato di riciclaggio, per Daccò l’appropriazione indebita. Non è un mistero il ruolo dei ciellini lombardi intorno al San Raffaele, storia gravata dal suicidio di Mario Cal e dalla morte improvvisa di don Luigi Verzé, e intorno alla fondazione Maugeri. E tanti conoscono l’importanza degli amici di lunga data proprio di Formigoni, di questi due fedelissimi di don Giussani diventati milionari, proprietari di yacht, palazzi, persino aerei che vendono (o fingono di vendere a un prezzo che non esiste, e chissà quante volte) al San Raffaele. E di questi ciellini finiti in manette, nessuno paga le tasse che deve in Italia. Moralmente, stando a quanto ha detto ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, non sarebbero degni di dirsi italiani. Ma penalmente possono cavarsela? Daccò e Simone da più di dieci anni rappresentano la stessa «cosa». Nei quattro mandati politici di Formigoni, è stato calcolato, i due si sono spartiti circa 30 milioni di euro. E ben otto milioni Daccò li ha razziati, secondo l’accusa, dal San Raffaele, dove ne ha fatti sparire, o sprecare, altri 35. Però, suggeriscono gli avvocati, controllate: non c’è un euro che esce da questi due per andare ad altri soggetti. Li «parcheggiano», dunque, per assicurare la vecchiaia della lobby o di qualche amico? Può darsi, ma come dimostrarlo? Se Daccò paga le vacanze del Celeste, lo fa perché glielo deve o perché sono «amici» come altri della fraternità? Lo schema di Daccò&Simone è ripetitivo. Prevede contratti con grandi gruppi della sanità privata. E come mai ottengono tanto successo? Perché sugli ospedali pubblici si risparmia, l’occhiuto Formigoni sorveglia gli sprechi,e si taglia. Invece, sulle strutture private sponsorizzate dalla lobby ciellina arriveranno - emblematico il caso del San Raffaele - molto velocemente e copiosamente i fondi pubblici da parte della Regione Lombardia. Sarà un caso, ma Daccò comincia la carriera con enorme rapidità proprio quando Formigoni viene eletto. Firma lui i contratti di consulenza, poi Simone, amico sia suo che del Celeste, gli manda una fattura, e riceve una fetta della torta. Dal 2002 i due «aiutano» la fondazione Maugeri e riescono a realizzare un affarone nella Sicilia dove regnava, prima della galera, Totò Cuffaro, Udc: perché invece di trasportare al Nord i malati per la riabilitazione, non si rimettono a posto le strutture locali e li si tengono là? Non ci sono studi speciali, o analisi. Eppure l’idea basta, «passa», e un bel po’ di quattrini arrivano a Daccò & Simone. Per il Celeste queste consulenze dei suoi amici di ferro sono «cose private», in fondo «anonime», e che ne sapeva lui? In verità - e adesso è a verbale - questo anonimato valeva per gli estranei. E non vale più: esiste adesso un’inchiesta, per stabilire se si è lobbisti, o criminali.