Federico Rampini, la Repubblica 16/4/2012, 16 aprile 2012
Il flop della Nato nella campagna di Libia "Errori, imperizia e scarso coordinamento" – NEW YORK - L’intervento della Nato in Libia fu macchiato da errori, impreparazione, mancanza di coordinamento fra alleati, una penuria di esperti sul terreno
Il flop della Nato nella campagna di Libia "Errori, imperizia e scarso coordinamento" – NEW YORK - L’intervento della Nato in Libia fu macchiato da errori, impreparazione, mancanza di coordinamento fra alleati, una penuria di esperti sul terreno. Il «comando Nato basato in Italia soffrì per carenza di analisti, perfino di interpreti». Lo dice la stessa Alleanza atlantica, in un rapporto di 300 pagine che sarà discusso a maggio al vertice di Chicago. E’ un bilancio severo, insolitamente autocritico, a un anno da un’operazione congiunta che all’epoca fu definita «un modello» da Barack Obama. Oggi invece questo rapporto giustifica la prudenza dello stesso Obama di fronte alle tante pressioni per intervenire militarmente in Siria. L’autocritica della Nato è finita in anteprima sul New York Times, anticipata da fonti del Pentagono: è un chiaro segnale che i vertici delle forze armate Usa sono preoccupati per i nuovi tam tam politici che chiedono un’azione "umanitaria" in Libia (tra cui il senatore repubblicano John McCain e l’indipendente Joe Lieberman). Il rapporto sulla Libia un anno dopo avalla implicitamente alcune accuse che vennero mosse da ong umanitarie come Human Rights Watch: l’alto numero di vittime civili nei bombardamenti direttia colpire il regime di Gheddafi; la mancata assistenza ai profughi che tentarono di salvarsi in mare, molti dei quali morirono. «Gli analisti incaricati di selezionare i bersagli dei bombardamenti - si legge nel rapporto - non avevano ricevuto un addestramento adeguato». Alcuni di quei cosiddetti "specialisti" che avevano la delicata responsabilità di guidare i cacciabombardieri della Nato o i droni, erano stati assegnati a quel comando solo da poche settimane. Le carenze di intelligence sul terreno furono aggravate da un «inadeguato scambio di informazioni tra gli alleati». Errori e difetti della Nato nella «pianificazione, nella dotazione di risorse umane,e nella gestione operativa della missione» furono affrontati spesso con «improvvisazione». Non solo gli alleati sapevano troppo poco, ma spesso ciascuno si teneva per sé conoscenze sensibili, o non le condivideva in tempi rapidi. Queste debolezze si aggiungono ad un altro limite, che era prevedibile ma si è manifestato in modo ancora più preoccupante: tutta la "guerra tecnologica" dipendeva esclusivamente dagli Stati Uniti. Nonostante l’apprezzamento di Obama per il ruolo di punta svolto da Francia e Inghilterra, la totalità dei 7.700 missili e bombe "intelligenti" teleguidati con apparecchiature elettroniche sofisticate furono forniti dagli americani. Lo stesso vale per lo spionaggio elettronico dai cieli. Per ovviare a questo squilibrio interno alla Nato, che già si manifestò nella guerra dei Balcani ma da allora è perfino peggiorato, l’Alleanza atlantica stabilirà presso un aeroporto militare in Sicilia il suo nuovo "hub" per aerei dedicati allo spionaggio elettronico, droni Predator e Global Hawk. Il progetto sarà approvato al vertice annuo a Chicago. Ma la lezione è chiara: guai a gettarsi in un’avventura simile in Siria, dove l’avversario disporrebbe di forze armate molto più agguerrite, tecnologie superiori a quelle di Gheddafi, mentre l’opposizione è ancora più divisa di quella libica.