Massimo Mucchetti, CorrierEconomia 16/04/2012, 16 aprile 2012
PASSO (PRUDENTE) DELLE FONDAZIONI SU UNICREDIT - C
on la designazione di Giuseppe Vita alla presidenza di Unicredit, salgono a tre i personaggi al vertice dell’economia italiana in vario modo tributari del modello tedesco. Il primo, si sa, è il premier Mario Monti, che è anche titolare dell’Economia. Da sempre Monti teorizza l’economia sociale di mercato, che venne lanciata sul piano politico da Ludwig Erhard, ministro delle Finanze della Germania degli anni Cinquanta e poi cancelliere. E adesso l’inquilino di Palazzo Chigi segue la politica del rigore che Angela Merkel esige dai Paesi europei meno disciplinati nella finanza pubblica per estendere loro la garanzia tedesca.
Pochi mesi fa è stato nominato amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Tommaso Enrico Cucchiani, che era salito fino alla vicepresidenza del grande gruppo assicurativo bavarese Allianz. Adesso, tocca a Vita, un medico siciliano che ha terminato gli studi a Magonza e poi ha fatto una brillante carriera nell’industria farmaceutica tedesca (è stato il capo della Schering, famosa per la pillola anticoncezionale) prima di esercitare il mestiere di presidente del consiglio di sorveglianza di grandi imprese come la Hugo Boss, prescelto dai Marzotto, e la Axel Springer, sostenuto dall’omonima famiglia di editori.
In un’Italia che si appella in modo spesso strumentale al modello tedesco, la presenza di questi italiani di Germania può aiutare ad ancorare le parole ai fatti. In particolare, potrà farlo Vita, che, fra l’altro, entrerà anche nel consiglio di Rcs MediaGroup. Un presidente come Vita può favorire l’ulteriore radicamento di Hvb, la banca tedesca del gruppo. Le possibilità ci sono tutte perché, dopo la cura di Alessandro Profumo e i soldi messi da Unicredit, la grande banca bavarese può ambire al primato nelle attività bancarie tradizionali, lasciando a Deutsche Bank l’investment banking più spinto. La concorrenza delle Landesbanken, infatti, è depotenziata dalla loro crisi, mentre Commerzbank è quasi fallita e la Dresdner è stata ridotta a poco dal matrimonio sbagliato con Allianz.
Un gruppo bancario come Unicredit, così poco valorizzato dalla Borsa, sembrerebbe il bersaglio ideale per una scalata, magari condotta da un gruppo di banche che poi se ne ripartiscono le spoglie. Ma alcune vecchi e esperienze consigliano cautela.
La multinazionale bancaria olandese Abn Amro venne scalata e smembrata, ma due delle tre banche scalatrici — la belga Fortis e la Royal Bank of Scotland — poco dopo fallirono. Oggi i grandi soci di Unicredit, e in particolar modo le fondazioni, vogliono difendere la natura multinazionale del gruppo, perché la sua forte presenza in Paesi in crescita come Germania, Austria, Polonia, Turchia, Russia e Croazia compensa le interminabili difficoltà italiane.
Chi volesse scalar, dovrebbe farlo in modo ostile. E forse non sono più i tempi.
La presenza multinazionale, tuttavia, ha anche le sue spine. In particolare, sul piano della regolazione e della vigilanza che tocca alle autorità del paese dove c’è la sede legale coordinare. Tra la Banca d’Italia e la Bafin tedesca non sono mancate le incomprensioni. Per esempio sull’allocazione della liquidità. Vita gode di una forte reputazione al di là e al di qua delle Alpi. Conosce bene la cancelliera Merkel ed è stimato da Ignazio Visco. Può garantire la necessaria flessibilità nell’uso delle risorse a Milano e al tempo stesso la certezza a Monaco che il risparmio tedesco non verrà usato per sussidi mascherati all’Italia. Rafforzato per questa via il nocciolo dei Paesi più promettenti, Unicredit potrà anche uscire da quelli marginali. Si può essere multinazionali anche senza essere in Ucraina o in Kazakhstan.
La forza di Vita, che è ben considerato in Mediobanca ma non partecipa alle conventicole italo-italiane, sta anche nelle modalità della sua designazione. In prima battuta, il suo nome non era troppo conosciuto dai suoi futuri grandi elettori. Si narra che sia fiorito per la prima volta in un colloquio tra l’amministratore delegato, Federico Ghizzoni, e il vicepresidente Fabrizio Palenzona.
Ma poi è stato messo a confronto con altri, di grande prestigio, in un processo di selezione al quale ha partecipato anche la società di head hunting, Egon Zehnder e nel quale le fondazioni bancarie hanno giocato come gli altri, senza strafare: la Fondazione Crt non si è impiccata sul torinese Gros-Pietro; la Fondazione Cariverona non l’ha fatto per Edoardo Spezzotti. La designazione è stata unanime.
E non ha avuto nulla da ridire sul settantaseienne Vita nemmeno un azionista come Diego Della Valle, celebre per le sue polemiche contro gli «arzilli vecchietti».
Massimo Mucchetti