Armando Torno, Corriere della Sera 16/04/2012, 16 aprile 2012
IL CARDINALE E LA MESSA PER LA POETESSA SUICIDA —
Il cardinale Gianfranco Ravasi domani, alle 18, celebrerà una messa per la poetessa Antonia Pozzi nella chiesa parrocchiale di Pasturo, in provincia di Lecco, ai piedi delle Grigne. Questa donna, che si laureò (tesi su Flaubert) con Antonio Banfi a Milano, morì suicida il 3 dicembre 1938, a 26 anni. Ha lasciato riflessioni struggenti. Il responsabile della cultura del Vaticano ci ha confidato: «Celebro questa messa perché l’atteggiamento che la Chiesa ha attualmente nei confronti dei suicidi presta molta attenzione alle dimensioni interiori della tragedia. Se l’evento drammatico nasce da una superficialità o è causato dal disprezzo dei valori della vita, allora evidentemente non può essere oggetto di una celebrazione esplicita. Ma — e qui Ravasi apre uno spiraglio di luce — la Pozzi rappresenta il caso di una persona dotata di forte spiritualità e di intensa ricerca interiore, travolta da una sensibilità estrema». La Chiesa non accetta il suicidio razionale; tuttavia, per altre situazioni, si fa interprete misericordiosa.
Pasturo è un paese ricordato da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi, perché è il luogo di origine di Agnese, la madre di Lucia. Qui Antonia Pozzi trascorse non pochi giorni nella settecentesca casa di villeggiatura della sua famiglia, dove c’era una buona biblioteca; qui, nel piccolo cimitero, è sepolta. Alle 17 sua eminenza visiterà anche la mostra fotografica dedicata alla poetessa. Ravasi ricorda l’inizio di Funerale senza tristezza, una delle poesie più emozionanti che l’allieva di Banfi ha lasciato: «Questo non è esser morti,/ questo è tornare/ al paese, alla culla...». E poi, dopo aver precisato che sta parlando della morte, evoca la parte conclusiva: «...questo tornare degli umani,/ per aerei ponti/di cielo,/ per candide creste di monti/ sognati,/ all’altra riva, ai prati/ del sole». La fine si trasforma in un «ritorno in Dio, nella luce». Il cardinale la considera una mistica laica, stimata da lettori importanti (Montale ne patrocinò l’ingresso nella collezione di poesia «Lo specchio» di Mondadori); soprattutto evidenzia l’incessante anelito spirituale, sorta di febbre interiore che colpisce chi cerca la fede. Cita ancora dei versi: «Ma tutta l’acqua mi fu bevuta, o Dio, /ed ora dentro il cuore /ho una caverna vuota /cieca di te. /Signore, per tutto il mio pianto /ridammi una stilla di Te, /ch’io riviva». Infine precisa: «Celebrerò la messa anche per essere vicino a tutte quelle persone sensibili che sentono dentro di sé un vuoto e una domanda». Non a caso la Pozzi scrisse: «Io non devo scordare mai che il cielo fu in me». Per Ravasi questa poetessa «è il canto dell’assenza, che è attesa».
Alle 21 di domani, infine, al Teatro della Società di Lecco (con collegamenti esterni) sua eminenza ricorderà anche David Maria Turoldo, spentosi nel 1992. Erano molto vicini, insieme lavorarono. Sceglie una frase del comune amico Carlo Bo per tratteggiarne il profilo: «Padre David ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia. Dandogli la fede, gli ha imposto di cantarla tutti i giorni». Insomma — e queste sono parole di Ravasi — «furono testimonianze poetiche obbligate, frutto di una fede esistenziale». Non dimentica che Turoldo è stato sovente chiamato «profeta» (lo fece anche il cardinale Carlo Maria Martini, consegnandogli il Premio Lazzati). «Questa definizione — precisa — è da cogliere in senso corretto e non nell’accezione popolare di uomo che prevede il futuro. Il profeta, anche quello biblico, è colui che si interessa del presente cercando di scoprire in esso un senso trascendente, ovvero l’agire segreto di Dio. Per questo si impolvera nelle vicende della storia». E per il medesimo motivo può essere discusso. E discutibile.
Sua eminenza avrà una giornata densa. O meglio, le sue saranno ore in cui vivrà, tra un’emozione e un ricordo, una confidenza che gli fece Julien Green. L’allora monsignore rivolse al drammaturgo e scrittore una domanda particolare, di quel genere che ogni tanto si tenta con le grandi personalità. Quei quesiti che si possono così formulare: «Cos’è per lei il nucleo del Cristianesimo?». Green rispose al futuro cardinale: «Finché si è inquieti, si può stare tranquilli».
Armando Torno