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 2012  aprile 14 Sabato calendario

LE (ENORMI) DIFFERENZE TRA NILDE LA CENSURATA E NICOLE LA PROMOSSA

Daniela Santanchè si sbaglia. Forse non sa, infatti, che quando sbocciò l’amore con Palmiro Togliatti, Nilde Iotti era già deputata. Giovane, piacente, prosperosa e già deputata del Parlamento italiano. Il paragone con la scorciatoia di Nicole Minetti, con tutto il rispetto, non regge nemmeno alla prova dei fatti: la Iotti faceva già politica quando incontrò il Capo, la Minetti ha fatto politica dopo aver incontrato il Capo, designata, indicata, imposta dal Capo.
Inoltre l’onorevole Santanchè commette un errore che trasforma in un boomerang la sua azzardata analogia. Nel Pdl nessuno ha fiatato quando Nicole Minetti è stata inclusa d’autorità nel «listino» privilegiato del candidato presidente Formigoni, e anzi molti quasi se ne compiacquero. Nel Pci bigotto e bacchettone degli anni Quaranta si convocavano Direzioni del partito per far fronte allo scandalo della relazione che il Migliore aveva intrecciato con la giovane Iotti ripudiando la più matura e meno avvenente compagna Rita Montagnana. Infine Daniela Santanchè non tiene conto che mentre lei e il suo partito accusano la sinistra di fare soltanto dello squallido gossip sul bunga bunga, la stampa benpensante anti Pci dell’epoca calcò molto la mano sull’avventura politico-amorosa del capo del Pci, anche oltrepassando la soglia della volgarità. Come ha scritto Filippo Ceccarelli in un libro destinato a descrivere snodi cruciali della vicenda storica dell’Italia repubblicana, «Il letto e il potere», sui giornali clericali e di destra «della Iotti si caricaturizza, forzandolo sulla base di stereotipi maschilistico-regionali, l’aspetto sexy, la procacità emiliana, il seno, l’"enorme deretano" oppure "ridente e popputa", nelle vesti ufficiali di prima favorita del Pci». E Togliatti viene messo alla berlina, trattato come un uomo anziano senilmente incantato dalle floride forme della giovane compagna di Reggio Emilia: «Togliatti ha offerto in dono / all’amante il partito: /egli è tre volte buono / oppure rimbambito».
Vivevano clandestinamente, Togliatti e Nilde Iotti, in una piccola mansarda al sesto piano di Botteghe Oscure, non nelle «cene eleganti» della reggia di Arcore. Davvero, protetti da un cerchio magico di fedelissimi, all’insaputa della maggioranza dei comunisti che frequentavano il Bottegone: non nel chiasso festoso in compagnia delle Olgettine mascherate da infermiere e poliziotte di Emilio Fede. Non è una differenza morale, come dicono i manichei doppiopesisti di oggi, che condannano tutto del Nemico e perdonano tutto all’amico e al compagno. E’ una differenza di fatto. La Iotti alloggiava in quella stanzetta con la valigia sempre pronta. Il partito non perdonava, anche se intriso di maschilismo, avvezzo a trattare le donne, anche quelle illuminate dall’eroismo della lotta partigiana, con una crudele presunzione di inferiorità. Anche Luigi Longo, nome di battaglia «Gallo» (di nome e di fatto, ammiccavano i pettegoli), tradiva senza remore la moglie e compagna Teresa Noce, bersagliata dalla stampa avversaria per i tratti molto lontani dai canoni della bellezza femminile. Dal «Corriere della Sera», la Noce apprese nel 1953 di aver chiesto e ottenuto l’annullamento del matrimonio con Longo. Non ne sapeva nulla, cercò di smentire ciò che non si poteva smentire: ci aveva pensato il Partito senza dirle niente, la prepotenza unita alla volontà di umiliazione. Sarà stata pure una potente comunità di affetti, il Partito-Chiesa, ma in quella comunità la crudeltà dei comportamenti privati doveva essere accettata tacitamente per il bene superiore della Causa. Anche Rita Montagnana non reagì. Il privato non era politico, nemmeno la triste sorte del figlio di Togliatti, Aldo, condannato a passare il resto dei suoi giorni nella prigione della follia, dietro le sbarre degli ospedali psichiatrici: nessuno ne parlava, nessuno ne poteva parlare.
Il Partito che controllava, accudiva, assecondava, condannava. C’era il Partito incarnato dal medico di Togliatti, Mario Spallone che, quando i due vivevano ancora una relazione clandestina, si adoperava affinché la coppia godesse della sua privacy, sempre in nome della lotta per il socialismo, cercando di realizzare «le condizioni migliori per gli incontri»: bisognava «evitare che la tensione affettiva, contrastata, degenerasse in una condizione patologica e impedisse alla mente di Togliatti di ragionare con la lucidità che gli era propria». Dunque, per salvaguardare la lucidità del Capo, il Partito preparava dettagliatamente la logistica degli amoreggiamenti. Ma c’era il Partito che vigilava sulla moralità rivoluzionaria e che organizzava riunioni per «censurare» l’incresciosa questione e per bacchettare il Capo prigioniero delle sue debolezze «borghesi». Un’ambivalenza fatta di ipocrisie e di drammi, a cominciare dal misterioso aborto (spontaneo? Deciso dal Partito?) che la Iotti subì alla vigilia del 18 aprile. Fatta di passioni, come testimoniano le parole («Chi sei tu? Chi ti apre il cammino ai segreti della mia vita?») che Togliatti vergò nel ’46 e che la Iotti decise di divulgare molti anni dopo, quando aveva già concluso la sua esperienza di presidente della Camera dei deputati. Perché la Iotti divenne presidente nel ’79, ben quindici anni dopo la morte del Migliore. Forse questo dettaglio deve essere sfuggito a Daniela Santanchè.
Pierluigi Battista