Sergio Rizzo, Corriere della Sera 14/04/2012, 14 aprile 2012
I CONTRIBUTI (FUTURI) GIA’ INCASSATI DAI PARTITI
Che a quei cento milioni i partiti non rinuncerebbero facendo salti di gioia, è scontato. Anche per questo il colpo di freno alla riformina che introdurrebbe controlli sui loro conti non è stato affatto accolto come una sciagura.
Vero è che, per qualcuno, questa è stata anche l’occasione per tentare di dare una ripulita a un’immagine alquanto appannata: la Lega Nord ieri ha comunicato che rinuncerà di propria iniziativa alla prossima rata. Ed è francamente il minimo.
Ma se forse è troppo sospettare che qualcuno stia lavorando perché la seconda tranche dei rimborsi elettorali non venga più congelata, come invece era stato promesso, c’è chi non ha paura di parlare chiaro. È Rosy Bindi, presidente del Partito democratico: «A una macchina in corsa puoi chiedere di rallentare, non di fermarsi. E se non arriva almeno una tranche dei rimborsi previsti, si rischia di non arrivare alla campagna elettorale», ha detto giovedì sera a Lilli Gruber, durante il programma Otto e mezzo su La7.
Vi chiederete: possibile? Possibile che si sia a questo punto, nonostante tutti i soldi che i partiti hanno incassato? Nel solo triennio dal 2008 al 2010, secondo i dati pubblicati sulle Gazzette ufficiali e tenendo conto dell’inflazione, i tesorieri si sono visti recapitare più di 847 milioni: grazie anche a quella famigerata leggina che ha garantito loro razione doppia di contributi per Camera e Senato facendo correre i versamenti pure in caso di fine anticipata della legislatura. Il tutto a fronte di spese elettorali documentate, per le elezioni politiche del 2008, di 136 milioni. Con queste cifre dovrebbero avere i forzieri pieni zeppi di soldi, direte. Invece no. Non tutti sono evidentemente nelle stesse condizioni dell’Italia dei Valori, se è vero quello che ha rivelato ieri Fabio Evangelisti, e cioè che il partito di Antonio Di Pietro ha in cassa la bellezza di 22 milioni.
Il fatto è che i partiti costano. E costano cari. La verità è che, per alcuni di loro, quelle somme ipocritamente definite «rimborsi elettorali» servono ad alimentare macchine ipertrofiche e insaziabili. Dipendenti, locali, e poi la propaganda… Per non parlare di quel nugolo di fondazioni, tanto simili alle correnti della Prima Repubblica, che sono spuntate come funghi a latere di ogni partito: da cui, però, vengono spesso lautamente foraggiate.
Ecco dov’è il problema, e perché a qualcuno i soldi, pur essendo troppi, non bastano mai. Al punto che, per consumare i rimborsi elettorali, non si aspettano nemmeno più le rate.
Si può fare dal febbraio del 2006, grazie a una norma approvata alla vigilia delle elezioni, che recita testualmente: «Le somme erogate o da erogare… e ogni altro credito, presente o futuro, vantato dai partiti o movimenti politici possono costituire oggetto di operazioni di cartolarizzazione e sono comunque cedibili a terzi». La finanza creativa anche per i partiti? Più banale. Queste quattro righe consentono ai tesorieri di andare in banca con la Gazzetta ufficiale e farsi anticipare i soldi, che poi sarà lo Stato a dover restituire all’istituto di credito. Niente di più facile, quindi, che qualche partito abbia già incassato la sua parte della famosa seconda tranche, e ora non sarebbe certo in condizioni di restituirla. Che sia andata così, Benedetto della Vedova, deputato del Fli che ha lavorato alle norme sui controlli, ci mette quasi la mano sul fuoco.
Ecco dunque spiegata l’agitazione provocata dalla decisione di congelare quei cento milioni che dovrebbero essere pagati a luglio. Quella norma che consente di vendersi i crediti è stata introdotta con un emendamento parlamentare al decreto «Milleproroghe» del 2006 del quale è poi diventato l’articolo «39 quaterdecies». Lo stesso che ha consentito ai partiti di continuare a incassare i soldi anche per la legislatura che si era interrotta: un meccanismo folle che ha fatto arrivare fiumi di denaro anche nelle casse di partiti già morti, come appunto la Margherita amministrata da Luigi Lusi.
Per nulla trascurabile la circostanza che, nell’occasione, ci si guardò bene dal sollevare il problema, sacrosanto, che quell’emendamento non c’entrava un fico secco con il provvedimento che si stava discutendo. E doveva essere dichiarato inammissibile. C’era evidentemente fretta: più di quella che i partiti devono avere oggi, visto che invece la giusta questione dell’inammissibilità è stata sollevata, eccome, quando si è trattato di paracadutare nel decreto semplificazione l’emendamento sui controlli dei bilanci.
Chiaro che questo ora potrebbe aprire spazi per rimettere in discussione alcuni passaggi della riformina. Anche perché ci sono dettagli che già stanno causando attacchi di orticaria. Come la composizione della commissione incaricata dei controlli, che dovrebbe essere presieduta dal presidente della Corte dei conti e composta da magistrati di Cassazione e consiglieri di Stato. Non ci crederete, ma c’è pure chi non digerisce che un consigliere di Stato o un giudice della suprema corte finisca sotto un giudice contabile…
Sergio Rizzo