Aldo Giannuli, Uscire dalla crisi è possibile (Salani, 2012), 17 aprile 2012
Qualche proposta alternativa (estratto cap. 8) – Se, come abbiamo detto, l’obiettivo è colpire «Riccolandia», occorre partire da una riconsiderazione di quanto è stato fatto sinora, rimettendo in discussione l’architettura degli accordi internazionali sorti dai tardi anni ’80 in poi
Qualche proposta alternativa (estratto cap. 8) – Se, come abbiamo detto, l’obiettivo è colpire «Riccolandia», occorre partire da una riconsiderazione di quanto è stato fatto sinora, rimettendo in discussione l’architettura degli accordi internazionali sorti dai tardi anni ’80 in poi. Occorre ripensare la globalizzazione e chiederci quale libertà di movimento dei capitali possiamo permettere (e permetterci). Qualcuno troverà tutto questo oltre la soglia del possibile, dando per scontato la definitività di quella architettura. Non è così: nulla è eterno (19) e nulla sopravvive alle condizioni storiche che lo hanno reso possibile. Chi pensa alla definitività di certi assetti dimentica che da 4 anni stiamo attraversando una crisi molto grave che non solo non accenna a passare, ma su cui intervengono sempre nuove complicazioni. E nessuno sa esattamente come uscirne, stanti questi assetti di potere. L’unico rimedio al quale si ricorre è l’emissione di liquidità, senza badare al fatto che la corda è già molto tesa. Sino alla metà degli anni ’80, l’URSS, per quanto malandata, sembrava incrollabile e destinata a durare ancora per secoli: 4 o 5 anni dopo non esisteva più. Anche in questo caso, quello che sembra impossibile sembrerà forse ovvio in pochi anni. Il primo punto che dobbiamo affrontare è quello di «ridare una bandiera ai capitali» e dunque, che vadano pure in giro per il mondo... ma con il passaporto. Occorre trovare forme di comunicazione automatica fra stati che segnalino l’ingresso o l’uscita dei capitali, esattamente come si timbra il passaporto. Naturalmente, questo è la tomba del segreto bancario, almeno dal punto di vista del segreto opposto agli organi del fisco. Preveniamo una obiezione: il segreto bancario sorse per tutelare i capitali degli ebrei tedeschi che fuggivano dal nazismo (e che poi furono in buona parte ingoiati dalle banche svizzere), per cui c’è chi si straccia le vesti di fronte all’attentato alla libertà rappresentato dall’ingerenza del «grande fratello fiscale». Pertanto, per salvaguardare i fondamentali diritti individuali, riteniamo si possa fare un’eccezione per quanti domandino motivatamente e ottengano l’asilo politico. In secondo luogo, occorre eliminare il dumping fiscale fissando convenzionalmente fra tutti i paesi un limite minimo di imposizione, al di sotto del quale nessuno Stato può andare, sotto minaccia di sanzioni internazionali, sino all’embargo totale. Chiariamo il punto: si osserverà che nessuno impedisce a uno Stato che non voglia far defluire i capitali dei suoi cittadini di praticare aliquote più basse e più facilitazioni. Ma questo è vero solo in teoria perché un paese con decine (e, peggio, centinaia) di milioni di abitanti non ha concretamente questa possibilità, in quanto deve reggere un certo volume di spese e dunque non può abbassare la pressione fiscale oltre una certa soglia, almeno di adottare misure scandalose di dumping fiscale troppo diffìcili da sostenere. Al contrario il principato del Liechtenstein o la Repubblica delle banane (con tutto il rispetto per la Repubblica delle banane) possono permettersi anche aliquote bassissime, perché gli basta attirare i capitali stranieri per ottenere un gettito fiscale molto più abbondante di quello che otterrebbe se strizzasse i propri cittadini come panni bagnati: siamo di fronte a un diverso tipo di rogue State. Tutto questo non è sopportabile oltre, perché gli stati occidentali hanno accumulato un debito insostenibile. Quanto alla Cina, la sua maggior protezione è la non convertibilità della sua moneta, ma quando, prima o poi, si dovrà costruire un ordine mondiale con un sistema di cambi realmente efficiente, questa protezione verrà meno e i problemi inizieranno a sorgere anche per lei. Ancora una volta: o la finanza o gli stati. In attesa che si giunga a una soddisfacente intesa internazionale, non resta che applicare pienamente la tassazione ai propri cittadini con capitali all’estero; quando la situazione sarà risolta, si potrà procedere in compensazione per la doppia tassazione versata, rimborsando il contribuente da ciascuno dei due stati, nella misura che si stabilirà convenzionalmente fra gli stessi. In fondo, nessuno impone a una persona di esportare i suoi capitali, e se lo fa, lo fa a suo rischio. Non è ammissibile che un cittadino possa scegliersi l’esattore che preferisce. Siamo a un punto nel quale non è più possibile il doppio binario fra capitali globalizzati e fisco nazionale: o la libertà dei capitali torna a restringersi o il fisco si globalizza. Ad esempio, si può pensare che tutti i capitali off-shore debbano versare una percentuale dei propri profitti finanziari (dal 5 al 10 per cento e in misura inversamente proporzionale alla «convenienza» offerta dal paese ospitante) a un organismo internazionale che provvederebbe a utilizzare il fondo così formato per aiutare i paesi in via di sviluppo o restituire una parte ai diversi stati su parametri da stabilire. Potrebbe trattarsi di un FMI riformato e ben diverso da quello attuale, ma anche di una diversa agenzia emanazione dell’ONU. Il versamento dalle banche sarebbe automatico e obbligatorio. Questo meccanismo potrebbe essere sperimentato anche per l’unica vera patrimoniale di cui vale la pena di parlare: un prelievo forzoso (da parte dell’FMI) sui depositi bancari di tutto il mondo, da usare per estinguere almeno una parte dei debiti pubblici. L’eccezionalità della situazione lo giustificherebbe pienamente: allo stato attuale i debiti pubblici sono stimati in circa 60.000 miliardi di dollari (al netto di quelli degli enti locali e dei debiti occulti) e si tratterebbe di operare un prelievo limitato. Non sappiamo con certezza quale sia l’effettivo totale dei depositi bancari mondiali, ma secondo il secondo Global Wealth Report Credit Suisse Research Institute (19 ottobre 2011) la ricchezza privata totale ammonterebbe a 231.000 miliardi di dollari (2011), di cui, presumibilmente, la maggior parte in depositi bancari. Dunque, non dovrebbe essere difficile recuperare quantomeno la parte utile a sanare i debiti netti interstatali. Ma ovviamente questo presuppone un accordo internazionale fra i vari stati. 19. Anche se, sorprendentemente, il maestro di ateismo Michel Onfray decreta che il «Capitalismo è immortale» (Corriere della Sera, 20 novembre 2011), forse non rendendosi conto che quello di immortalità è un concetto religioso.