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 2012  aprile 16 Lunedì calendario

L’arte contemporanea? «È una boiata pazzesca» - Potremmo battezzarla Po­tionkin- Art. Tradotto: l’arte della «cagata pazzesca»

L’arte contemporanea? «È una boiata pazzesca» - Potremmo battezzarla Po­tionkin- Art. Tradotto: l’arte della «cagata pazzesca». Proprio come il «capolavoro» diretto da Sergej M. Ejzenštejn, che tanto piaceva al capufficio del ragionier Fantozzi. Nel vernissage affaristico-glo­balizzato dell’arte contempora­nea di corazzate Potionkin ne cir­colano tante, troppe. Per un arti­sta che vale mille, ce ne sono alme­no mille che valgono zero. E non sempre chi arriva al successo ap­partiene alla prima categoria. An­zi, ora padroneggiare la tecnica (essere cioè un bravo pittore nel senso più classico del termine) è visto quasi come un limite. Ad andare forte è invece il con­cettuale: talmente concettuale che - come dimostra un sondag­gio condotto da Focus Extra , la rivi­sta Gruner+Jahr/Mondadori di­retta da Sandro Boeri- 4 italiani su 10 non la capiscono. Alla domanda «cosa pen­si dell’arte contempo­ranea? », il 38% del campione la consi­dera «un oggetto misterioso», an­che se «ne è incu­riosito e vorreb­be saperne di più». Tranchant il giudizio del 23%: «Non è vera arte». Nello specifico, di fronte ad opere come quelle di Robert Ry­man (che dipinge le tele solo di bianco), il 37% risponde «avrei po­tuto farle anch’io», mentre un al­tro 37% dice che «dovrebbe esser­ci­qualcuno che me ne spieghi il si­gnificato »; solo per il 26% è «vera arte». A proposito delle firme più pro­vocatorie come Cattelan e Hirst, appena il 36% le ritiene «artistica­mente valide »; i restanti si divido­no tra chi pensa che «scioccare gli spettatori non è arte» (15%) e quel­li secondo cui «far soldi in questo modo non è il mestiere degli arti­sti » (15%); per il 34% invece «susci­tare emozioni di ribrezzo è fin troppo facile per considerare arti­sta chi lo fa». Nonostante le perplessità però, quasi la metà degli intervistati (il 48%) concorda nell’affermare che l’arte di oggi si basa più sul­l’idea che sulle abilità manuali di chi realizza l’opera, mentre il 77% giudica l’arte in base all’emozio­ne che suscita anziché sulla capa­cità di descrivere la realtà. Intanto i critici assicurano che dietro la Po­tionkin- Art si na­scondono «capola­vori » in grado di «rivalutarsi nel tempo», rappre­sentando «ottimi investimenti».Nel­la maggioranza dei casi sono solo promesse- taroc­che, ma qualche volta i miracoli av­vengono davvero. Accendere la can­dela dav­anti al san­to giusto è però im­presa quasi impos­sibile. Willy Montini ­che sta ai televenditori d’arte come Messì sta al calcio- duran­te la prima lezione ai corsisti che am­biscono a fare il suo stesso mestie­re, aveva sulla scri­va­nia il libro di Fran­cesco Bonami, «Lo potevo fare anch’io» (Mondadori): «Leggetelo, ca­pirete molte cose», ha raccoman­dato Montini ai suoi futuri colle­ghi. Tutti, almeno una volta nella vita, davanti a un’opera d’arte con­temporanea, abbiamo infatti pen­sato: lo posso fare anch’io. Carlo Vanoni (altro televendito­re d’arte di gran razza) nota, giu­stamente, che sarebbe più corret­to dire: lo posso «rifare» anch’io. E non è una differenza da poco.