Mario Cervi, il Giornale 15/4/2012, 15 aprile 2012
Brescia, se questa è giustizia - La Corte d’Assise d’appello di Brescia ha assolto i neofascisti Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, e con loro il generale dei carabinieri Francesco Delfino, dall’accusa d’essere stati autori o complici della strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974 con un tremendo bilancio di otto morti e un centinaio di feriti)
Brescia, se questa è giustizia - La Corte d’Assise d’appello di Brescia ha assolto i neofascisti Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, e con loro il generale dei carabinieri Francesco Delfino, dall’accusa d’essere stati autori o complici della strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974 con un tremendo bilancio di otto morti e un centinaio di feriti). Contro Pino Rauti, anche lui imputato nel precedente giudizio e come gli altri prosciolto, la Procura non aveva presentato ricorso. Le parti civili dovranno pagare le spese processuali. È stata dunque posta, trentotto anni dopo, una pietra tombale su uno degli episodi che funestarono gli anni di piombo? Piano, evitiamo gli annunci prematuri. Quando saranno rese note le motivazioni della sentenza la procura deciderà se invocare o no una pronuncia della Cassazione. Se lo farà questo incredibile e inammissibile itinerario giudiziario avrà una nuova tappa, e Dio non voglia che in tal caso la Cassazione rinviasse tutto a un quinto processo (ne sono stati celebrati già quattro). Come la strage di piazza Fontana, anche quella di piazza della Loggia rimane senza colpevoli.I rappresentanti dell’accusa sembrano ormai rassegnati a quest’esito deludente dell’inchiesta. Hanno dichiarato che è stato fatto tutto il possibile e che ora la vicenda viene affidata alla storia. Mi guardo bene dall’associarmi al colpevolismo senza se e senza ma, oltretutto dettato da motivi ideologici o politici e non da una autentica voglia di verità, di chi si sentirebbe adesso appagato se alcune pesanti condanne fossero state inflitte, pur in mancanza di prove convincenti, agli imputati. Resta fermo il principio secondo cui la mancata punizione d’un reo è molto meno grave della condanna d’un innocente. Ma anche qui, come in altri tenebrosi misteri dei palazzacci italiani, siamo di fronte a un mostro giudiziario: mostro anzitutto per l’inaudita lentezza. Una legge che a distanza di qualche mese o al più di qualche anno dai fatti dice a chi è stato incriminato «ti ritengo colpevole » o «ti ritengo innocente» è una legge seria. Se invece si smarrisce in una selva di carte per quasi quarant’anni senza approdare a nulla quella vera legge è soltanto una parodia. Mostro inoltre per il viluppo di nomi e di udienze attraverso i quali si è dipanato. È senza dubbio leale, ma anche scoraggiante e un po’ comodo, che i magistrati consegnino alla storia ciò che avrebbero dovuto chiarire nella cronaca. Se uno segue appena un po’ il percorso di questi fascicoli ha una sensazione di smarrimento. Cambiano le sedi dei processi, cambiano i giudici, cambiano gli avvocati ma cambiano, ed è abbastanza sorprendente, anche gli imputati. S’è visto qualcosa di simile per piazza Fontana. Nel remoto 2 giugno 1979 Ermanno Buzzi era stato condannato all’ergastolo per la strage, e Angelino Papa a 10 anni. Due anni dopo il Buzzi fu strangolato nel carcere di Novara dai «neri» Mario Tuti e Pierluigi Concutelli. Senonché in una successiva fase del romanzaccio, Buzzi fu dai giudici definito, in una loro motivazione, «un cadavere da assolvere », dal che si dovrebbe dedurre che gli avevano inflitto l’ergastolo a torto. Non tento nemmeno di ricostruire passo passo questo incedere brancolante e vacillante della giustizia. Lenta fino all’«avanti quasi indietro» dei vaporetti di Venezia. Inoltre contraddittoria spesso e volentieri nelle conclusioni, fatta di garbugli e di marce e retromarce, non di certezze (magari fossero le incertezze tempestive, nell’imposssibilità di raggiungere la verità). Da questo fosco Grand Guignol, da questi sfoggi di archeologia giudiziaria, i cittadini comuni non ricavano altro che dubbi e indignazione vera. Da non confondere con l’indignazione stentorea di quanti profittano di queste vicende per risfoderare tutti luoghi comuni sulle stragi di Stato, sulle complicità politiche, su un revival neofascista che si trascinerebbe da decenni, e spiegherebbe le assoluzioni. Rimane una verità sacrosanta: la giustizia italiana è malata e incapace. Ma questo lo sapevamo già.