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 2012  aprile 15 Domenica calendario

Ma ogni quattro giorni un imprenditore si toglie la vita - Per vergogna, per dispera­zione, per l’incapacità di supera­re la distruzione economica della propria creatura, l’azienda

Ma ogni quattro giorni un imprenditore si toglie la vita - Per vergogna, per dispera­zione, per l’incapacità di supera­re la distruzione economica della propria creatura, l’azienda. Ogni quattro giorni in Italia un impren­ditore si toglie la vita. Ventitre dal­l’inizio dell’anno, nove, il 40%, so­lo in Veneto, un tempo l’isola feli­ce dell’industria, la terra del be­nessere e del lavoro premiato. Lo stillicidio dei suicidi è conse­gnato alle cronache quasi quoti­diane, ma ora è la Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani e del­le piccole imprese, a confermare il bilancio drammatico. Ventitre in tre mesi e mezzo, l’ultimo un manager di 42 anni, che venerdì ha scelto un treno in corsa per far­la finita, lanciandosi sui binari a Sesto Fiorentino di fronte a un macchinista incolpevole. Domani a Vigonza (Padova) na­scerà l’associazione familiari im­prenditori suicidi. Ma la dispera­zione cieca di chi vede il proprio impegno in briciole non è una ma­­lattia soltanto del Nord. Puglia, Si­cilia e Toscana, calcola la Cgia, hanno pagato con tre suicidi a te­sta questi mesi di difficoltà econo­miche. Il Lazio con due. Il dramma degli imprenditori italiani è ora un triste fenomeno che fa scalpore a livello mondiale, se ne parla anche oltreconfine, con un’analisi,per esempio, sulla prima pagina dell’ International Herald Tribune . In un lungo arti­colo dal titolo «Nella crisi della zo­na euro, lo stress diventa morta­le », il giornale americano distribu­ito in tutto il mondo si concentra in particolare sul caso Italia, ac­cennando anche ad alcune delle storie dei protagonisti di queste terribili scelte legate alla crisi del­l’azienda. «Il meccanismo si sta spezzan­do - sottolinea il presidente della Cgia, Giuseppe Bortolussi - , que­sti suicidi sono un vero grido di al­larme lanciato da chi non ce la fa più. Le tasse, la burocrazia, la stret­ta creditizia e i ritardi nei paga­menti hanno creato un cli­ma ostile che penalizza chi fa impresa. Per molti, il suici­dio è visto co­me un gesto di ribellione con­tro un sistema sordo e insensi­bile che­non rie­sce a cogliere la gravità della si­tuazione ». Ma altrettan­to incisivi sono i dati, forniti sem­pre dall’associazione artigiani, sulla vita delle aziende. Una im­presa su due (precisamente il 49,6%) chiude i battenti entro i pri­mi 5 anni dalla nascita. Ogni nuo­va azi­enda che viene aperta è quin­di un rischio da roulette russa: so­pravvivenza o fine dell’attività so­no due destini con il medesimo in­dice di probabilità. «Tasse, buro­crazia, ma soprattutto la mancan­za di liquidità- spiega ancora Giu­seppe Bortolussi- sono i principa­li ostacoli che costringono molti neo imprenditori a gettare la spu­gna anzitempo ». Un «segnale pre­occupante anche alla luce delle tragedie che si stanno consuman­do in questi ultimi mesi». La percentuale delle aziende che chiudono entro i cinque anni di attività è salita del 5% negli ulti­mi anni. Nel 2004 le imprese che non superavano i 5 anni di apertu­ra erano il 45,4%. Ora appunto questa percentuale sfiora quota 50 con punte nel Lazio, 54,6%, Sici­lia 51,9%, e Calabria 50,4%. Alle cifre della Cgia si uniscono i dati della Coldiretti: in Italia sono state chiuse oltre 50mila aziende agricole nel 2011.Uno di questi ca­si è quello de­ll’imprenditore agri­colo trevigiano che giovedì si è tol­to la vita per la difficile situazione economica della sua impresa. Secondo l’Istat nel 2010 i suicidi in Italia sono stati 3.048, in aumen­to rispetto ai 2.986 del 2009. Cen­tottantasette sono stati quelli ori­ginati da motivi economici.