MARCO ALFIERI, La Stampa 16/4/2012, 16 aprile 2012
La secessione nella Lega l’incubo del Carroccio - Spalle al palco, i varesini fanno mucchio vicino al muro destro della grande sala
La secessione nella Lega l’incubo del Carroccio - Spalle al palco, i varesini fanno mucchio vicino al muro destro della grande sala. Più al centro ci sono i veneti con le bandiere del leone di San Marco. Dietro i «Serenissimi» ecco i bolognesi coi loro cartelli «croce rossa in campo bianco» e la scritta in piccolo «Lega». Di fronte al podio c’è invece la claque del Senatur, pronta a coprire il grido «Ma-ro-ni Ma-ro-ni» invocando il vecchio guerriero ammaccato dagli scandali. Ancora un po’ più in là s’intravedono i piemontesi con gli stendardi «croce bianca in campo rosso», i bergamaschi che giocano in casa, i bresciani imbufaliti con il «Trota» e un gruppetto di trentini: le bandiere con l’aquila nera sono inconfondibili. Altri varesini, i leghisti ex Fronte della Gioventù di «Terra Insubre», avvolti nella «Ducale bandiera d’Insubria», fanno quadrato davanti alla zona giornalisti, nascondendo i romagnoli addossati al muro di sinistra del padiglione. Alcuni di loro cantano «Romagna mia», sognando come teorizza il loro profeta Gianluca Pini, «la secessione dall’odiata Emilia...». Potenza del localismo. La fotografia del Carroccio scattata l’altra sera alla fiera di Bergamo più che l’orgoglio padano richiama l’immagine di un partito balcanizzato: lombardi, lighisti, piemontesi, emiliani, romagnoli, trentini, varesini, bergamaschi e bolognesi ognuno per conto loro nel grande acquario leghista. Tutti a cantare, fischiare, applaudire e sventolare da separati in casa: pochissime bandiere federali bianco-verdi col Sole delle Alpi, tantissime delle varie «nazioni» padane. Dalla Lega alle Leghe? Nel Carroccio, insieme alla secessione bossianimaroniani e alla diaspora di voti, specie quelli rubati a Berlusconi nel ciclo elettorale 2008-2010, si rischia davvero la frantumazione dell’unità federale. Il vero capolavoro politico di Umberto Bossi fu il congresso di Pieve Emanuele, febbraio 1991: il Senatur riuscì a federare Lega lombarda, Liga veneta, Piemont autonomista, Union ligure e altri movimenti, schiacciando la fronda di 70 delegati (veneti e bergamaschi) su 250 contrari al monopolio bossiano. Vent’anni dopo, con le dimissioni del Capo, il regime di ferro terrà o usciranno le vecchie divisioni? A pochi giorni dal voto i veneti mordono il freno. Gian Paolo Gobbo, luogotenente bossiano da quando fu l’unico consigliere regionale a non seguire la fronda dell’allora segretario Fabrizio Comencini (poi epurato dal Senatur), lancia Luca Zaia come nuovo leader del Carroccio. «Via da Milano, via dai Lumbard», tuona il presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro. Costringendo ad infilare la vicentina Manuela Dal Lago nel triumvirato al posto del varesino Giorgetti, altrimenti... C’è chi lo chiama Veneto Pride . Le Pievi, la Serenissima, il mito asburgico, il dialetto che non è un alfabeto posticcio e soprattutto la revanche contro gli «usurpatori» lombardi: «Noi portiamo i voti, loro comandano...». Nel frattempo fioriscono sigle autonomiste come Liga Veneta Repubblica, Partito Nasional Veneto, Indipendenza Veneta, Unità Popolare Veneta, Veneto Serenissimo Governo o Raixe Venete. E si riaprono i libri di storia: «Nell’83 la Liga veneta è la prima forza autonomista a spedire a Roma un suo deputato. Bossi e Leoni a Roma sbarcheranno solo nel 1987...», rivanga un dirigente vicentino. In Lombardia varesini e bergamaschi potrebbero tornare a guardarsi in cagnesco, dopo 20 anni di dittatura di Gemonio. Tra Valbrembana e Valseriana ci sono giovani leghisti che rivendicano la primazia della «nazione» orobica: «Negli Anni 60 - spiegano da Clusone - era Bergamo la città pavesata di manifesti con il programma del Marp, il Movimento autonomo regioni padane, mica Varese...». Esaurita la mediazione di Calderoli ecco rispuntare vecchie visioni «etnocentriche», al pari di quelle «insubri» dei leghisti di destra varesini guidati da Andrea Mascetti. Anche nel Piemonte di Roberto Cota qualche militante ricorda che «il movimento per la rinascita piemontese di Roberto Gremmo, i cui seguaci verranno purgati da Bossi nel luglio del ‘90, è nato prima di tutti, nel maggio 1978...». Il suo giornalino si chiamava «Arnassita piemonteisa», diffuso 4 anni prima del foglio bossiano «Lombardia autonomista». Oggi il ritorno al futuro si chiama lotta identitaria anti Tav. «Fra i valsusini gli autonomisti sono tanti, ma non riescono a esprimere questa fondante valenza perché chi si è appropriato dei simboli dell’autonomia è poco autonomista e spesso neppure troppo piemontese», attacca l’eretico Gilberto Oneto, interpretando il malessere di tanta base. Per lo storico indipendentista «il disastro ha un responsabile e si chiama Lega Nord, che ha fagocitato e annientato ogni formazione localista». In fondo il Piemonte è la culla di ogni indipendentismo padano-alpino, da Chivasso ai primi sussulti di criptoleghismo Anni 80. Per questo «il suo autonomismo non può esaurirsi nelle cravatte verde dinarico ormai romane ed euroburocratiche, degli attuali capataz leghisti...». Dopo Bossi, la talpa della diaspora evidentemente scava. Stia in guardia Maroni, se non vuol trovarsi a fare il leader solo di un feudo post leghista...