MICHELE BRAMBILLA, La Stampa 15/4/2012, 15 aprile 2012
“La verità storica non basta lo Stato apra i suoi archivi” - Il presidente ha appena finito di leggere la sentenza e nell’aula della Corte di assise di appello Manlio Milani è fermo in piedi, in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, le mani giunte come fosse in preghiera
“La verità storica non basta lo Stato apra i suoi archivi” - Il presidente ha appena finito di leggere la sentenza e nell’aula della Corte di assise di appello Manlio Milani è fermo in piedi, in silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto, le mani giunte come fosse in preghiera. Ha 73 anni e da 38 si batte perché vengano assicurati alla giustizia i mostri che si portarono via sua moglie, Livia Bottardi, che di anni ne aveva 32. «Partecipai alla prima manifestazione un mese dopo la strage, a Carrara - racconta - Da allora non ho mai smesso di fare tutto il possibile per arrivare alla verità». Dieci anni fa ha fondato, con altri, la Casa della memoria. Lo chiamano al telefono Agnese Moro e Silvia Giralucci. Benedetta Tobagi è qui in aula e gli va vicino. Quante persone accomunate da un identico dolore. Ci si scambiano parole difficili, come sempre quando ci si sente impotenti di fronte alla sofferenza. Milani, sperava che questa volta ci sarebbero state, finalmente, delle condanne? «No, mi aspettavo queste assoluzioni. Sulle responsabilità personali le prove non erano sicure e capisco che i giudici vogliano certezze. Ma ogni volta che sento la parola “assolve”, è difficile». Pensa che tanti anni di battaglie siano stati sprecati? «È come se avvertissi una scissione tra il mio ruolo e quello che la realtà mi permette di fare. Ed emerge stanchezza». Questo era il quinto processo per la strage di piazza della Loggia. La decima sentenza. Millecinquecento testimoni, novecentomila pagine di verbali. Tutto inutile? «No, anzi. Non è stato possibile arrivare a condanne, ma la verità storica è stata ricostruita più che in passato». E qual è questa verità? «Le bombe furono messe da estremisti di destra con la complicità e la copertura di elementi dei servizi segreti. Sono cose risapute da anni ed emerse anche in altri processi, ma questa volta ci sono molte prove in più». Ci faccia qualche esempio. «Il generale Gianadelio Maletti del Sid nell’agosto del 1974 era stato interrogato e aveva detto di non aver avuto alcuna segnalazione su una possibile strage a Brescia. Adesso abbiamo il documento scritto che lo smentisce: Tramonte lo aveva avvisato di un grosso attentato in preparazione. Nel 2010, in questo processo, Maletti ha dovuto ammettere che nel ’74 mentì. “Tramonte era una fonte importante e lo dovevo coprire”, ha detto. Ma tanto ormai vive, da anni, in Sudafrica e non gli può succedere niente». Può bastare la verità scritta sui libri di storia? «No, senza la verità giudiziaria c’è il rischio che quella storica sia in balia degli eventi e delle opinioni personali. La verità giudiziaria è fondamentale per dare il senso delle istituzioni. Soprattutto le nuove generazioni hanno bisogno di questo, di avere fiducia nelle istituzioni». Ormai però è quasi impossibile che la magistratura possa fare qualcosa. «Sì, ma adesso è la politica che può aiutare a ricostruire una verità che abbia l’autorità delle istituzioni. Con queste nuove prove, mi aspetto iniziative importanti». Ad esempio? «È dal 2007 che c’è una “nuova” legge sul segreto di Stato, ma è ancora priva dei decreti applicativi. Credo che ci siano ancora molte cose che non sono state rivelate per la cosiddetta ragion di Stato. Comunque mi aspetto qualcosa anche da questi giudici che oggi hanno assolto per insufficienza di prove». Che cosa possono fare ormai? «Motivare bene la sentenza, fornire una ricostruzione logica dei fatti. Le motivazioni di primo grado sono di una sciatteria impressionante». Sciatteria? «Non è possibile, ad esempio, scrivere genericamente che la bomba scoppiò “verso le dieci” quando tutti sanno che scoppiò alle 10,12. Così come non è possibile scrivere che ad Abano Terme si era riunito un gruppo eversivo “in fieri” quando tutti sanno che era Ordine Nuovo, un gruppo organico costituito da tempo. E ancora: hanno scritto che negli anni Novanta tutti i documenti conservati al centro di controspionaggio di Padova, compresi i libri di protocollo che per legge dovevano essere conservati, sono stati distrutti. È un fatto gravissimo e nella sentenza è riportato così, come una semplice constatazione, senza andare più a fondo». Non pensa che anche quei giudici, come quelli di altri processi, avevano ormai il lavoro inquinato dai vecchi depistaggi? «Sì, e infatti rispetto la loro decisione di assolvere. Ma mi aspettavo una ricostruzione migliore». Che cosa ha pensato poco fa, quando ha sentito che ora dovrete anche pagare le spese processuali? «Non ci era mai successo. È ridicolo che le vittime debbano pagare le spese allo Stato quando lo Stato dovrebbe essere sul banco degli imputati». Due rappresentanti dello Stato c’erano, fra gli imputati: Delfino, ex generale dei carabinieri, e Rauti, ex parlamentare. «Che non si sono mai degnati di venire in aula». Signor Milani, di notte si sogna mai quel 28 maggio 1974? «Sogno spesso mia moglie. Cammina, con una valigia in mano, come se dovesse partire. Mi gira intorno, e non parte. Forse vuol dire che non se ne può andare in pace finché non ha avuto giustizia».