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 2012  aprile 15 Domenica calendario

Giudici e politici: “È stato fatto il possibile ormai sappiamo tutto” - Tutti assolti, d’accordo

Giudici e politici: “È stato fatto il possibile ormai sappiamo tutto” - Tutti assolti, d’accordo. In assenza di prove la giustizia è disarmata. Ma come racconteremo ai nostri figli la strage di Brescia, l’ennesimo elenco di vittime senza alcun colpevole? Secondo l’ex presidente della Commissione antimafia Luciano Violante nel caso di piazza della Loggia, come per altri episodi di quella stagione italiana, la parola dovrebbe passare agli storici che a differenza dei giudici non hanno la necessità di provare le responsabilità personali: «Sappiamo da tempo che sulle stragi non si è detto tutto, che esistono pagine oscure, che ci sono stati gravi inquinamenti da parte di esponenti delle istituzioni: la giustizia non può andare oltre. Ma il segreto di Stato non c’entra perché non può essere opposto per le stragi. Ormai toccherebbe agli storici ricostruire la verità sulla base delle carte processuali dove, a voler leggere bene, c’è scritto tutto». Eppure le parti civili si sentono beffate e non solo per dover pagare le spese processuali, epilogo amaro ma previsto dalla legge. Vorrebbero sentir parlare la politica, il convitato di pietra. Perché chi sa tace ancora? La domanda non tiene conto della differenza tra la verità che porta a una condanna e il contesto a cui fa riferimento, replica l’avvocato ed ex senatore Guido Calvi. «Tutti i processi per strage vedono sul banco degli imputati elementi della destra eversiva e dei servizi segreti - spiega Calvi - Ma mentre le responsabilità penali hanno carattere individuale per quelle istituzionali servono riforme. Con grande difficoltà l’Italia ha accertato le responsabilità dei reati più gravi e anche nel caso di Brescia e dell’Italicus le ha indicate, seppur non tali da determinare condanne. La magistratura, a Brescia come altrove, ha fatto quanto doveva e poteva. La politica? Non so cos’altro avremmo dovuto fare considerando quanto avviene in altri Paesi: per esempio non sappiamo ancora chi ha ucciso Kennedy». Bisogna accontentarsi della sentenza di Brescia, insomma? Rosario Priore, giudice istruttore per il caso Moro, si morde la lingua: «Non voglio parlare, era prevedibile, la conferma delle miei ipotesi. Tutti questi processi hanno lo stesso destino. Tranne quello di Bologna nessuno è mai andato oltre il primo grado perché le prove portate non reggono al vaglio dibattimentale e i magistrati non ritengono la documentazione valida per condannare». L’ex capo della procura milanese Gerardo D’Ambrosio è d’accordo: «Quando si fanno le indagini bisogna tener conto che subiranno il vaglio dibattimentale. Alle deposizioni devono corrispondere riscontri oggettivi che non si basino su altre dichiarazioni per non ricadere nei pentiti che si richiamano ad altri pentiti». Avendo indagato a suo tempo su piazza Fontana, D’Ambrosio è convinto che la storia dell’Italia degli anni ‘60 e ‘70 non sia più un mistero: «Ormai sappiamo che si voleva abbattere la nostra giovane democrazia. La strategia della tensione risale al 12 dicembre 1969, poi venne la strage di Brescia che con ogni probabilità fu organizzata dagli stessi ambienti estremisti di destra. In più c’erano i depistaggi istituzionali. Quando a Milano cercammo d’individuare le responsabilità dell’agente del Sid Giannettini ci tolsero il processo. Allora i colpevoli li trovammo, anche se furono assolti in appello, ma davamo valore solo a ciò di cui trovavamo riscontri oggettivi». Verità processuale od omissione storica, la sentenza di Brescia lascia l’amaro in bocca. «Il fatto che a trentotto anni di distanza non si sia ancora riusciti a identificare e condannare i colpevoli suscita amarezza e inquietudine» nota l’ex ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino. Quattro anni fa anche il presidente della Repubblica Napolitano lamentò che per molte stragi non si fosse arrivati a «un’esauriente verità giudiziaria». Ci si arriverà mai? Per il gip di Cremona Guido Salvini, che a Milano indagò sulle trame nere da cui nacquero le inchieste su piazza Fontana, e di Brescia, stavolta c’eravamo vicini: «Mi sorprende in particolare l’assoluzione di Maurizio Tramonte, hanno assolto un reo confesso».