Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 14 Sabato calendario

Rajoy tira dritto ma l’abisso si avvicina - Nel venerdì 13 della sua settimana più nera il volto della Spagna è il bel viso della vicepremier Soraya Sáenz de Santamaría che dichiara ferma: «Questo governo ha fatto molto in poco tempo

Rajoy tira dritto ma l’abisso si avvicina - Nel venerdì 13 della sua settimana più nera il volto della Spagna è il bel viso della vicepremier Soraya Sáenz de Santamaría che dichiara ferma: «Questo governo ha fatto molto in poco tempo. Siamo impegnati in un processo di riforma sistematico e completo». Al Palacio della Moncloa - due giri di rete metallica attorno, ma poliziotti cordialissimi - si è appena concluso il consiglio dei ministri e alla Sáenz, che del governo è anche portavoce, spetta l’ingrato compito di affrontare i cronisti. Qualcuno di loro vorrebbe addirittura sapere se il governo riunito «abbia fatto autocritica» dopo i giorni più angosciosi vissuti dal nuovo esecutivo e mentre i mercati scommettono sulla necessità di un salvataggio pilotato del Paese. No, nessuna autocritica, non ora, non qui. Bastano gli schiaffoni della Borsa madrilena e dei mercati internazionali: -3,6% la prima, +434 punti lo spread dei Bonos spagnoli sui secondi, mentre il rendimento dei titoli a dieci anni torna al livello critico del 6%. Basta e avanza la sgraditissima novità che l’Argentina minaccia di nazionalizzare la YPF, succursale locale del colosso energetico spagnolo Repsol e il clima latinoamericano si fa dunque più cupo anche per gruppi come Endesa e Telefonica. Basta la sindrome greca che da giorni aleggia su Madrid: più si fa per rimettere a posto le finanze più gli operatori leggono i tentativi come un’affannosa corsa ad evitare il peggio e si muovono di conseguenza. La fuga dal debito spagnolo è calcolo, crisi di fiducia e panico assieme. Un mix forse poco razionale, ma comunque micidiale, che si nutre di informazioni ma anche di suggestioni. Per dire: ieri è stato il giorno di una sterzata sull’evasione fiscale che rischia di essere storica - dal divieto di operazioni in contanti al sequestro preventivo di beni e denaro in caso di sospetta frode all’erario, fino al fatto che i reati fiscali non andranno in prescrizione. Ma alla conferenza stampa il ministro competente Cristóbal Montoro prende la parola quasi intimidito: «Non diamo cifre sui possibili introiti cheverrannodaquestariforma,preferiamo muoverci con la massima prudenza». Intanto, di fronte a tanto sfoggio di virtù legislativa e di prudenza contabile, i «Credit default swap», i certificati che assicurano - o dovrebbero assicurare - dal fallimento della Spagna toccano quota 500, il loro massimo storico. I mercati e la Moncloa giocano il «chicken game», il gioco del pollo che si vedeva in «Gioventù bruciata»: vince chifrenaperultimo,senzaperòschiantarsi contro il muro. Il muro, qui, è l’uscita dall’euro. Un’uscita su cui in Spagna nessuno, pur pessimista, scommette. «Anche perché - è il corollario comune che ci conferma un analista - se usciamo noi esce anche l’Italia e in quel caso la moneta unica si dissolve». Ma se lo scenario peggiore viene scaramanticamente escluso, di spazio per fare danni alla Spagna ne resta comunque molto. Il «Presupuesto», la manovra economica presentata prima di Pasqua, si basa probabilmente su assunti troppo ottimistici. Molti analisti danno già per superata - ovviamente al ribasso - quella previsione governativa di un’economia spagnola che nel 2012 calerà dell’1,7%. Più probabile - dicono parecchi - che il ribasso del Pil sia superiore al 2%. Nel 3,3% delle famiglie spagnole non entra né uno stipendio, né un sussidio di disoccupazione, né un aiuto pubblico. Lo spiega non qualche istituto di ricerca, ma la Caritas nazionale, che ogni giorno sonda sul campo l’ampiezza e la profondità della crisi spagnola. E il mostro della disoccupazione - il 23% di senza lavoro nella popolazione attiva, il 9% di famiglie dove nemmeno un componente lavora - assume un volto ancora più spaventoso se, spiega ancora la Caritas, si calcola che dal 2007adoggièraddoppiatoilnumerodi disoccupati di lungo corso: ormai uno su due sta cercando lavoro, senza successo, da più di un anno. Con l’economia che non gira e il costo del debito che aumenta - spinto dai mercati, ma anche dalla fine degli acquisti delle banche spagnole, che dalla Bce hanno drenatofinoafebbraiooltre220miliardi - ci vuole poco a far saltare i piani virtuosi del premier Mariano Rajoy e a far vincere la scommessa a chi pensa che la Spagna non ce la farà. Dalla Moncloa al centro città, percorrere il Paseo della Castellana è comevisitarelaDisneylandindeclinodel capitalismo spagnolo. A destra le quattro torri piene di ambasciate e nomi celebri sul terreno che il Real Madrid di Florentino Perez vendette con ottimo dribbling finanziario all’inizio degli anni 2000, quando la «burbujla», la bolla immobiliare, era ancora in piena espansione. Sulla sinistra l’edificio diRepsol,nerocomecisiimmaginaessere in queste ore anche l’umore dei suoi vertici. Poi i grandi nomi delle società di revisione - da Kpmg a Pricewaterhouse - e i due grattacieli che s’inchinano uno di fonte all’altro, vera e simbolica porta alla città degli affari: di qua il colosso acciaccato Bankia il cui presidente è un politico di lungo corso come Rodrigo Rato, di là il gigante dell’immobiliare Realia, che è riuscito a schivare i tormenti peggiori della crisi. In mezzo l’immancabile opera dell’immancabile Calatrava, che qui si è accontentato di uno smisurato obelisco. Si va avanti ed ecco il Bbva, la Caixa e le altre grandi banche spagnole che un tempo furono l’orgoglio del Paese e oggi - cariche di Bonos ed anch’esse sotto il tiro dei mercati sono parte e non più soluzione del problema. «Abbiamo fatto molto in poco tempo», è il mantra del governo. Basterà di fronte al tempo velocissimo della finanza?