ANDREA MALAGUTI, La Stampa 14/4/2012, 14 aprile 2012
Il fuoco dei vulcani islandesi scalderà le case di Londra - Autostrada energetica. Dopo la Gran Bretagna l’obiettivo è estendere il network all’intero continente Bollette più basse
Il fuoco dei vulcani islandesi scalderà le case di Londra - Autostrada energetica. Dopo la Gran Bretagna l’obiettivo è estendere il network all’intero continente Bollette più basse. Si sfrutteranno i sistemi idrotermali, che possono essere regolati scatenando grandi quantità di calore L’Islanda conta 130 vulcani attivi: alcuni, come l’Hekla e il Krafla, hanno eruzioni ogni decennio. Sono loro il «motore energetico» dell’isola Geotermica Le torri della centrale di Larderello (Pisa), una delle più efficienti del mondo La rivincita del fuoco. Entro dieci anni gli inglesi si scalderanno sfruttando la potenza eterna dei vulcani d’Islanda, giganti inquieti capaci di bloccare il cielo d’Europa con uno starnuto. Nell’aprile del 2010 le ceneri dell’Eyjafiallayokull mandarono in tilt il traffico aereo planetario, eppure la potenza dei camini naturali dell’isola del ghiaccio emersa venti milioni di anni fa grazie allo sfogo ininterrotto di un punto caldo nella pancia dell’oceano - non ha soltanto conseguenze distruttive e potrebbe invece diventare la chiave per un sviluppo pulito del pianeta. La natura che prima punisce violentemente l’uomo, poi, lasciandosi generosamente riscoprire, lo rigenera in un ambiente più sano ed accogliente. O più prosaicamente, come spiega l’economista Vladimar Armann: «Noi islandesi ci siamo abituati a convivere con le eruzioni e con i terremoti, è arrivato il momento di monetizzare questi grandiosi sconvolgimenti terrestri». Un giro d’affari da dodici miliardi di euro che ha attirato l’attenzione degli inglesi. Così, al grido di «garantiamo un futuro ai nostri bambini», Charles Hendry, ministro dell’Energia di Sua Maestà, è pronto a fare affari con Reykjavik, dove il fiume incandescente del materiale magmatico tiene spontaneamente alta la temperatura dei marciapiede. E dove le case e le piccole aziende gestiscono luci e termosifoni utilizzando combustibili fossili solo per lo 0,1% delle loro necessità. Un modello unico e presumibilmente irripetibile. A meno che non si decida di condividerlo. Come? Il progetto di Hendry è titanico: costruire una tentacolare rete sottomarina fatta di cavi ad alta tensione lunghi mille e cinquecento chilometri destinati a collegare l’Islanda al Regno Unito accarezzando il fondale dell’Oceano. Da Reykjavik alle coste della Scozia. Su questa autostrada del nuovo mondo parte del potenziale inutilizzato dei 18 terawatt-ora di energia imprigionata negli impianti islandesi scorrerà a comando verso cinque milioni di abitazioni britanniche. Click. Fine dei problemi e bollette più basse per tutti. La terra del ghiaccio che consegna fuoco purificatore approfittando di un paradosso curiosamente salvifico, il vulcano che non uccide ma all’improvviso protegge. Il piano sarà finanziato dalle aziende che otterranno gli appalti per l’erogazione dell’energia. «Il Regno Unito è sempre stato autosufficiente, ma ora si è scoperto che il carbone inquina e il petrolio del Mare del Nord sta diminuendo, perciò ci apriamo a nuove opportunità», ha chiosato Hendry. L’Islanda è la più ampia parte emergente della dorsale medio atlantica ed è caratterizzata da quotidiane eruzioni di tipo lineare, cioè con la lava che esce dalle spaccature della terra, mentre le camere magmatiche ospitano materia incandescente a una temperatura che varia tra gli 800° e i 1200°, dando origine a sistemi idrotermali che possono essere contenuti, dominati, regolati e sfruttati. Una volta realizzata, l’autostrada dell’energia pulita entrerà a fare parte di una rete più larga di interconnessioni europee che lega Germania, Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Irlanda e Gran Bretagna. Una ragnatela ecologica pensata con l’obiettivo di ridurre entro il 2020 le emissioni di anidride carbonica del 20% secondo le norme della Comunità Europea. Dal Regno Unito partono già oggi due «interconnessioni». Una verso la Francia e una verso l’Olanda, costata, nel 2009, 500 milioni di sterline. Altre nove sono in costruzione. In autunno sarà inaugurata quella che collega l’Irlanda e il Galles, per fare in modo che i venti impetuosi dell’Atlantico si trasformino in docile calore da consegnare a Londra. «Le energie rinnovabili copriranno un terzo del fabbisogno nazionale e i cavi nell’Oceano avranno un ruolo centrale». L’idea di per sé è semplice. Ed è stata stimolata dalla più comune delle obiezioni fatte a chi lotta contro la distruzione inesorabile dell’ecosistema. «Che cosa succede nei giorni in cui il vento smette di soffiare o le nuvole coprono il cielo? Il pianeta si ferma per mancanza temporanea di energia eolica o solare? C’è qualcuno capace di prevedere mutamenti e umori del clima?». L’Europa si è data una risposta banale: «Andiamo a prendere sole, vento e acqua da chi ne ha più del necessario». Solidarietà e cooperazione, vecchi grimaldelli contro problemi insormontabili. Entro il 2019, ad esempio, Londra si collegherà con la Norvegia, il paradiso delle centrali idroelettriche, un Paese in cui qualunque cittadino può consultare in ogni istante la potenza di produzione usando un semplice sms. La forza del vento britannico consentirà all’acqua dell’Atlantico di essere trasportata attraverso un interconnettitore lungo novecento chilometri per essere stoccata in laghi artificiali sopra i fiordi. Quando ci sarà bisogno di energia saranno aperte le dighe che agevoleranno il percorso inverso sfruttando le turbine delle centrali idroelettriche. «Islanda, Francia, Norvegia, Germania, Spagna, ogni angolo del Vecchio Continente può essere collegato e rifornito. E il sistema dei cavi è certamente meno costoso e più produttivo di una miriade di singole centrali», spiega Doug Parr di Greenpeace, certo che per uscire dal filo spinato del carbone e del petrolio il pianeta abbia una sola possibilità: affidarsi alla potenza dell’acqua, del vento e del fuoco.