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 2012  aprile 15 Domenica calendario

La vita segnata dell’eroe triste – ERA quello che è stato nell’ultimo istante. Il ragazzo che voleva rialzarsi tutte le volte

La vita segnata dell’eroe triste – ERA quello che è stato nell’ultimo istante. Il ragazzo che voleva rialzarsi tutte le volte. Rimettersi in piedi comunque, anche con quel dolore fortissimo, così dentro. IL BAMBINO guerriero, quello che a 25 anni muore dopo aver visto morire tutti: la madre, il padre, il fratello. Piermario Morosini, il calciatore triste anche se non lo dava a vedere. Se ne è andato sul campo come era entrato nella vita, guardando più in là, sperando che l’ultima curva fosse almeno per un giorno più dolce. Più clemente, meno bastarda. È andato a guardarla, ci ha provato ad aggirarla, perché era abituato a sterzare oltre il buio, a sopravvivere con quello che resta. Anche ieri ci ha provato, si è tirato su dopo il primo colpo, ma la seconda è stata una sporca frustrata, un calcio al cuore fondo e troppo profondo che l’ha sbattuto giù, petto contro il prato, quegli occhi neri e grandi che chissà cos’hanno visto. Noi il suo corpo assurdo, sbatacchiato dalla sorte, contro la sua volontà accanita e selvaggia di farcela ancora. Le ginocchia poi le mani in terra, quasi a respingerla, per non farsi prendere. Poi l’angoscia di chi si accorge che stavolta no, non è come al solito, oggi il guerriero se lo prende un destino che sembra scritto. I compagni piangono, piangono moltissimo, è il segno. Calci dati e presi presto. I primi nel suo quartiere, a via San Gregoro Barbarigo 2 a Bergamo, la città dove era nato il 5 luglio 1986. Alla Polisportiva Monterosso inizia come terzino, poi mostra doti di promettente centrocampista e così cambia ruolo, passando alle giovanili dell’Atalanta. «Sin dal suo arrivo a Zingonia si era intuito che Piermario avrebbe potuto intraprendere una carriera importante. Naturali capacità tecniche, una gran volontà caratteriale di emergere. Pensavo che la vita l’avesse già provato fin troppo e invece no, anche questo». Mino Favini lo ha conosciuto e ammirato presto, Piermario aveva 12 anni all’epoca, un bambino. «Ha giocato in tutte le nostre squadre giovanili e di tutte è stato capitano, fino alla primavera. Teneva sul volto velatamente triste una dolcezza incredibile e aveva una disponibilità totale nei confronti dei compagni». Anche se dentro gli stava succedendo tutto. Ultimo di tre fratelli, prima perde la mamma Camilla nel 2001 quando ha appena 15 anni, poi il padre Aldo, per problemi di cuore, a 17. «Sono cose che ti segnano e ti cambiano la vita» disse in un’intervista al Guerin Sportivo nel 2005. «Ma che allo stesso tempo ti mettono in corpo tanta rabbia e ti aiutano a dare sempre tutto per realizzare quello che era un sogno anche dei miei genitori». Per lui il calcio è una medicina. Disse ancora: «Vorrei diventare un buon calciatore soprattutto per loro, perché so quanto li farebbe felici. Per questo so di avere degli stimoli in più». Vince uno scudetto con gli allievi a Bergamo e perde una finale con la Primavera. Poi qualche apparizione in panchina ma mai l’esordio con la prima squadra. Non ha nemmeno 19 anni che insieme a Marco Motta e ad altri due compagni viene ingaggiato dall’Udinese. Ma non ha pace Piermario. Suo fratello maggiore, disabile, si uccide. Rimane un’altra sorella, più grande, disabile anche lei. Piermario vive solo, con l’aiuto della zia Miranda. Va avanti, resiste. È il calciatore di provincia, uno qualunque per chi non lo conosce, non è Balotelli, invece i tifosi lo chiamano Supermario. Serse Cosmi lo fa esordire in A a Udine, contro l’Inter, nel secondo tempo: «Mi aveva colpito per la sua maturità, aveva sopportato così tante cose». Piedi buoni Piermario,e anche il resto. In Friuli 5 presenze nella massima serie, poi le maglie di Bologna, Vicenza, Reggina, Padova. L’Under 21. Il 31 gennaio di quest’anno, infine, il passaggio in prestito al Livorno, lo ha voluto il neo allenatore Armando Madonna, pure lui bergamasco. Piermario metteva radici, a lui che gliele avevano tolte. Era fidanzato con Anna, lui la chiamava Annina, di Udine. Amava cucinare con lei, molta vita domestica, ma anche andarci in viaggio, specie in montagna, gli piacevano le ruvidezze e i panorami aspri. Adorava Almeyda, il calciatore argentino, e Ibra, gli avevano regalato una sua maglia della nazionale svedese. Due estati fa l’Atalanta cercò di riprenderselo. Non tornò allora a casa. A casa ci è tornato ieri. Con quegli scarpini luccicanti che entrano nell’ambulanza e che adesso si capisce che erano il saluto del guerriero. L’unico possibile, l’addio che era da sempre successo. Piermario ingoiato da una storia cocciuta, che non prevede altri finali.