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 2012  aprile 13 Venerdì calendario

Ecco perché siamo drogati di antidolorifici Schiena a pezzi, muscoli e ossa che fanno male, infiammazioni

Ecco perché siamo drogati di antidolorifici Schiena a pezzi, muscoli e ossa che fanno male, infiammazioni. Milioni di italiani hanno dolori, per periodi più o meno lunghi, e spesso non si curano nel modo migliore. Nel nostro paese c’è un altissimo consumo di farmaci antinfiammatori. Sono circa 80 milioni le confezioni vendute in un anno a base di principi attivi come il diclofenac, il nimesulide, l’ibuprofene che assumono le più varie denominazioni commerciali. Per la maggior parte vengono pagate dal paziente, e spesso si acquistano senza prescrizione, come prodotti da banco in dosaggi ridotti. Piani di cura non corretti e interazioni con altri farmaci fanno rischiare effetti collaterali anche importanti. «Di fronte ai farmaci da acquistare senza ricetta molti hanno la percezione che ci siano meno rischi - spiega Alessandro Nobili del Mario Negri di Milano - Non è sempre vero, soprattutto quando servono a persone che a causa di malattie croniche assumono già altri medicinali. Un antinfiammatorio per il mal di schiena, per esempio, può avere interazioni con prodotti che servono a curare problemi cardiovascolari o di pressione. Si pensa di avere a che fare con prodotti più maneggevoli ma non è vero». Ogni giorno, secondo o dati dell’Aifa, in Italia 56 persone ogni mille prendono una dose di antinfiammatorio. «Nel nostro paese c’è un abuso di questi prodotti, detti anche Fans a causa di una tendenza all’automedicazione e dell’idea diffusa tra molti medici che non facciano male mentre invece possono portare a complicanze gastricheea ulcere. Infine si usano per trattare il dolore cronico, sbagliando». A parlare è Paolo Cherubino, primario e ordinario di ortopedia a Varesee vicepresidente della Società italiana di traumatologia e ortopedia. Di fronte all’uso diffuso degli antinfiammatori la sua società scientifica e quella dei geriatri sono impegnate (insieme alla casa farmaceutica Grunenthal) in incontri e corsi di formazione per promuovere un utilizzo sempre maggiore nel nostro paese dei farmaci oppioidi, che riducono il dolore agendo direttamente sul sistema nervoso, centrale e periferico. Si tratta di medicinali che non sono utili solo per malati oncologici e terminali, è uno dei messaggi che si vuole lanciare. «Spesso, secondo le mie stime anche nella metà dei casi, possono sostituire gli antinfiammatori - spiega - Hanno meno effetti collaterali e agiscono meglio sul dolore, perché lo affrontano direttamente. Ci sono persone con dolore cronico alla schiena, magari operate da poco, ma non solo, che potrebbero trarre grande vantaggio. Stesso discorso vale per chi è in attesa di un intervento come quello dell’anca e soffre per settimane prima di entrare in sala operatoria». Non si parla solo di malati ricoverati per i quali non c’è più niente da fare, dunque. Negli Usa il New York Times ha da poco lanciato un allarme sull’utilizzo eccessivo e talvolta fuori controllo degli oppioidi. In molti casi, si denuncia, non vengono studiati gli effetti a lungo termine sui malati trattati e inoltre finiscono anche a chi non ne avrebbe bisogno. Da noi la diffusione è molto ridotta: 3,5 dosi al giorno ogni mille abitanti. «Si, qui la situazione è completamente diversa - prosegue Cherubino - Semmai l’abuso riguarda gli antinfiammatori. Degli oppioidi si paventa il rischio di assuefazione, che invece è remoto. Noi ci battiamo perché nel nostro Paese, dove esiste anche una legge al riguardo, nasca una vera cultura della lotta al dolore. I pazienti hanno diritto a non soffrire e questi prodotti sono un’arma in più».