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 2012  aprile 15 Domenica calendario

QUANTI ATLETI SUL CALVARIO

Atleti, giovani e spesso in copertina. Caduti senza più rialzarsi, in un prato verde o in una palestra. Nella loro storia di trionfi e ombre, il calcio e gli altri sport hanno lasciato sul campo una lunga scia di morti, in Italia come in altri angoli del mondo. Drammi improvvisi, che riaprono domande che sono ferite: sulla qualità dei controlli medici, e sulla gestione di campioni che prima di tutto sono ragazzi, da preservare. Giovani come Vigor Bovolenta, pallavolista che con la Nazionale era salito in cima al mondo, e che il 24 marzo scorso è morto per infarto a 37 anni, mentre giocava una partita di B2 a Macerata. Aveva appena battuto, quando ha invocato i suoi compagni della Volley Forlì: “Mi gira la testa, aiutatemi che cado”. Poi è svenuto. Vigor, campione olimpico e mondiale, padre di quattro figli, è morto poco dopo in un letto d’ospedale. Nella stagione 1997-1998 aveva sofferto di aritmie cardiache, che gli erano costate tre mesi e mezzo di stop. Ma la Volley Forlì ricorda: “Era un problema che Vigor non aveva più avuto, nelle due stagioni con noi aveva superato tutte le visite mediche”. Aveva superato esami e controlli anche Fabrice Muamba, 24enne centrocampista congolese (naturalizzato britannico) del Bolton. Il 17 marzo è crollato sul prato verde durante una partita di Fa Cup contro il Tottenham. Un infarto, e per 78 minuti il cuore del mediano ha smesso di battere. “Fabrice era morto” sintetizza il medico del Bolton. Era, ma non è, perché dopo oltre un’ora di massaggi cardiaci Muamba è tornato a respirare. Resta l’interrogativo: come mai quel colpo al cuore, in un sportivo professionista? Nessuna risposta definitiva, quella che manca anche su altri lutti in serie A.
Il primo fu Giuliano Taccola, 25 anni, attaccante della Roma di Herrera. Era il 19 marzo 1969, quando si sentì male in uno spogliatoio dello stadio di Cagliari, subito dopo la gara tra i sardi e i giallorossi. Eppure non aveva neppure giocato, per una febbre. Gli fecero un’iniezione, e perse subito conoscenza. Taccola morì in un’ambulanza, ufficialmente per infarto. Nell’estate precedente, i medici gli avevano diagnosticato un vizio cardiaco. Poi erano seguite una polmonite e febbri continue. Sino a quella morte, su cui la vedova di Taccola invoca ancora chiarezza. Otto anni più tardi, a morire per arresto cardiaco fu Renato Curi, 24enne centrocampista del Perugia che sognava in grande. Curi smise di inseguire pallone e sogni il 30 ottobre 1977, durante un Perugia-Juventus. Aveva appena fatto uno scatto, ma quella palla non la prese mai. Cadde sul prato davanti a 30mila spettatori, in uno stadio che ora porta il suo nome. Tanti anni dopo, un dramma sfiorato. Lionello Manfredonia, 33 anni, difensore della Roma, si accascia durante Bologna-Roma, il 30 dicembre 1989. Il primo a soccorrerlo è il rossoblu Bruno Giordano, suo ex compagno nella Lazio. A Manfredonia si era fermato il cuore, anche se gli esami successivi chiarirono che non fu un infarto. A farlo ripartire furono la prontezza dei sanitari della Roma e l’efficienza dei soccorsi al Dall’Ara. Tanti, troppi i casi anche negli altri Paesi. Due in Spagna: il difensore dell’Espanyol Daniel Jarque, 26 anni, morto per infarto l’8 agosto 2009 nel ritiro della squadra, e il centrocampista Antonio Puerta, vittima di ripetuti arresti cardiaci durante Siviglia-Getafe, il 25 agosto del 2007. Morì tre giorni dopo, a 22 anni. Il 26 giugno 2003, a morire in uno stadio fu il camerunense Marc Vi-vien Foè, durante un Colombia-Camerun di Confederations Cup. Ma l’elenco potrebbe continuare. Come certe domande, a cui nessuno risponde.