Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 15/4/2012, 15 aprile 2012
CHISSÀ CHI È STATO
Questa volta è proprio finita. Il processo per la strage di Brescia (il terzo), arrivato all’appello, era l’ultima occasione per individuare e condannare i responsabili delle stragi italiane degli anni Sessanta e Settanta. Ieri la sentenza ha invece mandato assolti i quattro imputati, seppur con la formula dubitativa (come già in primo grado) delle prove incomplete o contraddittorie. Resta dunque senza colpevoli anche la bomba di Piazza della Loggia, dopo quelle di Piazza Fontana (1969), della Questura di Milano (1973) e di tutte le altre stragi (tranne Bologna, 1980).
A Brescia, la bomba nascosta in un cestino della spazzatura in una piazza affollata, durante una manifestazione antifascista promossa dai sindacati, fece otto morti e 108 feriti. Era la mattina piovosa del 28 maggio 1974.
38 anni dopo
Quasi 38 anni dopo, i giudici della Corte d’assise d’appello, usciti da quattro giorni di camera di consiglio, hanno assolto il medico veneziano Carlo Maria Maggi, capo del gruppo neofascista Ordine nuovo del Triveneto; l’ordinovista Delfo Zorzi, oggi imprenditore in Giappone; l’ex collaboratore del Sid (il servizio segreto militare) Maurizio Tramonte; e l’allora capitano dei carabinieri Francesco Delfino, accusato di aver saputo dei piani della strage imminente e di averli assecondati.
I pm, Roberto di Martino e Francesco Piantoni, avevano chiesto per tutti l’ergastolo. Dopo la lettura della sentenza si sono dichiarati “sereni, perché è stato fatto tutto il possibile”. E hanno aggiunto: “Ormai è una vicenda che va affidata, più che alla giustizia, alla storia”. Dopo il deposito delle motivazioni, la procura di Brescia deciderà se ricorrere in Cassazione.
Il processo terminato ieri era l’esito della terza inchiesta sulla strage. La prima aveva indagato i gruppi neofascisti bresciani, il secondo quelli milanesi, la terza aveva posto l’attenzione sul gruppo veneto di Ordine nuovo. Dopo undici sentenze, l’attentato è ancora senza colpevoli.
Il conto
Gli unici a pagare saranno le parti civili e i parenti delle vittime, condannati a risarcire le spese processuali. “Una beffa”, ha dichiarato a caldo Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari delle vittime. “È ridicolo , permettetemi di dirlo, che in questo processo, che è contro anche due uomini che rappresentavano lo Stato, dobbiamo essere noi a pagare le spese processuali”. I due evocati da Milani sono il generale Delfino e l’ex parlamentare missino Pino Rauti, già fondatore di Ordine nuovo.
Contro Rauti, assolto come gli altri in primo grado, la procura non aveva proposto l’appello, chiesto però dalla Camera del lavoro di Brescia e dal familiare di una vittima, Elvezio Natali. Una domanda avanzata ai soli fini civili: per poter pretendere cioè non la condanna penale, ma almeno il risarcimento dei danni. Ora la sentenza d’assoluzione obbliga Camera del lavoro e Natali a pagare gli avvocati di Rauti.
Delfino, invece, fu uno dei primi a occuparsi dell’inchiesta, subito dopo la strage. “Il risultato di oggi”, dice Milani, “è anche l’esito di come sono state condotte le prime indagini”. Già in primo grado, infatti, era risultato difficile appurare, per esempio, quale fosse l’esplosivo impiegato. Tritolo, secondo una perizia. Gelignite, secondo l’accusa: anche sulla scorta delle dichiarazioni di Carlo Digilio, esperto d’esplosivi, uomo vicino ai servizi segreti statunitensi e agli ordinovisti veneti, il quale affermava di aver visto gelignite nelle mani del gruppo veneto di Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi.
La guerra delle perizie
Il perito sentito durante l’appello ha sostenuto che l’esplosione era compatibile con la presenza di gelignite e ha escluso che nell’ordigno il tritolo fosse esclusivo o prevalente. Evidentemente ai giudici non è bastato. Come non è bastata la riproposizione delle testimonianze di Digilio (ora morto), collaboratore di difficile gestione processuale già in primo grado, dopo essere stato colpito da un ictus.
Difficilissima poi la gestione delle dichiarazioni dell’imputato Maurizio Tramonte. Era lui la “fonte Tritone” dei servizi segreti, che aveva già nel 1974 raccontato al Sid ciò che sapeva della strage. Il servizio si guardò bene dal passare quelle notizie ai magistrati e coprì i responsabili. Poi, negli anni Novanta, “Tritone” era stato individuato dal giudice di Milano Guido Salvini e aveva riempito centinaia di pagine di verbali in cui raccontava le responsabilità del gruppo neofascista Ordine nuovo. In aula, però, aveva ritrattato, smentendo se stesso.
I giudici non hanno ritenuto sufficiente neppure una intercettazione ambientale tra due ordinovisti, il milanese Battiston e il veneto Rao, che parlavano della partenza da Venezia, il giorno prima della strage di Brescia, di una valigia d’esplosivo.
Se si aspetta la storia
Le motivazioni della sentenza spiegheranno perché non si è arrivati all’individuazione certa delle responsabilità penali individuali. Alla storia, come detto dai due pm, resterà il compito di ricostruire i depistaggi e gli inquinamenti delle prove che hanno portato a chiudere anche questa volta un processo di strage senza colpevoli.