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 2012  aprile 15 Domenica calendario

LE 5 PAGINE MEMORABILI DELLA STORIA DELLA LETTERATURA: BASEBALL - I

l baseball è il grande serbatoio della memoria americana. Incarna la devozione per il passato e insieme il sogno che la storia possa procedere a rilento, secondo processi immutabili. Il baseball, con la sua estetica sempre anacronistica, è per eccellenza lo sport dei cimeli, ed è per questo che la letteratura ne ha scoperto presto la natura romantica e malinconica. Ogni volta che uno scrittore vuole raccontare adolescenti sognatori, o riportare in vita un’epoca d’oro della società americana, nei romanzi appaiono epifanie bianche: palline sparate in cielo, palline bloccate nei guantoni, palline sospese in aria. Gli spalti si riempiono, i giocatori leggendari tornano in vita, le pagine si impregnano dell’aroma di senape degli hot dog e del ricordo di pomeriggi struggenti. Speranze collettive e desideri privati si fondono per la durata di un fuoricampo, di una partita intera, o di una stagione mitica che non tornerà più.
Sarà che la passione per il baseball si tramanda di padre in figlio, ma in questi romanzi i padri sono figure cruciali. Gli aneddoti sui campioni, le regole e le statistiche si imparano come cantilene. Trofei e sconfitte formano un immaginario emotivo che passa dalla speranza incontenibile a delusioni che durano una vita intera. Che i protagonisti siano adolescenti lentigginosi o squadre intere, il baseball letterario racconta sempre storie di fedeltà e purezza. Non è un caso che il campo da gioco abbia la forma inscalfibile del diamante.
John Fante, 1933. Un anno terribile
Dom Molise, orecchie a sventola e denti storti, è il mancino più promettente d’America. Nasce in una famiglia di sognatori, in un luogo freddo, accanto alle Montagne Rocciose. «Un paese pessimo per un giocatore di baseball, specialmente per un lanciatore che non toccava palla da ottobre. Ma Il Braccio mi dava la forza di andare avanti». Il suo braccio sinistro è Il Braccio, e Dom si rivolge a lui perché è la sorgente della sua unica speranza: diventare un fenomeno del baseball in California. Nel romanzo di John Fante, 1933. Un anno terribile (Einaudi) essere un grande lanciatore è la sola via di redenzione: «Braccio forte e fedele, parlami con dolcezza. Parlami del futuro, della folla osannante, il lancio che vola al limite dell’irregolarità, i battitori che si molleggiano sulle ginocchia, dimmi che fama fortuna e vittoria ci apparterranno».
Italiano d’origine, il padre vuole che il figlio lavori con lui con la betoniera. Dom sa di avere un altro talento: «Ma quale talento? —, ripetè. Avrei voluto essere sincero, ma non ce la facevo a dire baseball».
È difficile coltivare la speranza, se la tristezza copre il paesaggio fino al disgelo. Dom si innamora di Dorothy Parrish, una ragazza con occhi grandi, caldi e grigi. Quando è sul punto di scoraggiarsi, qualcosa lo rianima: «Poi mi ricordai chi ero — non uno smidollato di un barbone, ma Il Braccio, quello che può farcela, quello che ce la farà, non il ragazzetto incerto, ma l’uomo dalle palle a effetto, dalla presa forte, Mister Hall of Fame».
Il segreto di un grande lanciatore è il desiderio, insegna Fante. E Dom lo possiede.
William P. Kinsella, Shoeless Joe
Seduto nella veranda della sua fattoria, Ray sente una voce: «Se lo costruisci, lui verrà». La voce gli sta dicendo di costruire un campo da baseball nella distesa di granturco davanti casa. Quando il campo sarà pronto, arriverà Shoeless Joe, fuoriclasse del baseball morto nel 1951. La moglie lo ama e lo sostiene: «Se ti rende felice, fallo».
Il romanzo più miracoloso sul baseball è Shoeless Joe di William P. Kinsella (edito da 66thand2nd). Il baseball è restituito nella sua anima nostalgica e leggendaria. Il padre, prima che Ray nascesse, leggeva le statistiche al pancione della moglie. Ora Ray, costruito il campo, si mette in attesa. Arriverà Shoeless con altre vecchie celebrità.
A volte, giocatori e tifosi appaiono perdenti, gregari, e il baseball si mostra come lo sport delle occasioni mancate, dei campioni bruciati come meteore.
La voce parla di nuovo. Ray va in New Hampshire, da J. D. Salinger e lo condurrà al suo campo. Quando i giocatori (e Salinger) entrano, lo stadio si anima, le mazze luccicano, le palle lasciano la scia. Ecco la grande partita: «Il lanciatore tira e Moonlight liscia una palla liftata: strike! Quando lancia di nuovo, Moonlight fa scattare la mazza in avanti e la palla schizza in alto verso il centro destra del campo». Ogni partita è una cerimonia, la preghiera di Ray viene esaudita. Una notte dolciastra, compare suo padre. I due giocano insieme. Il baseball è il paradiso in terra. Tutte le volte che i riflettori si spengono la magia svanisce e il mito resta.
Bernard Malamud, Il migliore
«Vide la palla partire roteando dalla punta delle dita di Roy: gli fece venire in mente un piccione bianco che aveva da ragazzo e che faceva volare gettandolo in aria. La palla filava verso di lui e ne distingueva perfettamente la forma da uccello e le bianche ali che sbattevano, finché all’improvviso non gli scomparve da sotto gli occhi. Sentì ai propri piedi un rumore simile all’esplosione di un petardo, e Sam era lì con la palla nel guantone». Nel 1952 Bernard Malamud pubblica Il migliore (minimum fax), romanzo sul baseball con uno stile virtuoso, ricchissimo, sempre metaforico. Le palle «scivolano», «scintillano», «fumano» o «si impennano» e non vengono mai semplicemente «prese» ma solo «catturate» o «artigliate». I colpi sono «spietati», le partite sono «battaglie». I giocatori si aggirano «attorno alle basi come un battello a vapore del Mississipi, luci accese, bandiere al vento, fischio a pieno ritmo, tornando al punto di partenza».
Il protagonista, Roy Hobbes, insegue la lealtà, rimugina molto e ha le caratteristiche per diventare il più grande campione di sempre. Ma per Malamud il baseball è frustrazione, tormento, destino avverso. Una donna gli spara quando è ancora giovane e i suoi anni migliori sono persi. Quindici anni dopo, rindossa la casacca, può entrare nella storia. La partita cruciale occupa le ultime trenta pagine. Roy deve salvare la squadra: «La cosa più importante che gli fosse mai toccato di fare in vita sua». Ma il sole cala, il destino atterra l’eroe. Roy è un perenne sconfitto, Malamud uno scrittore portentoso.
Paul Auster, Sunset Park
Il padre di Miles Heller era il miglior lanciatore della squadra della scuola. Durante una partita, una palla violentissima lo colpisce. Carriera finita. Il padre non racconta mai a Miles quest’episodio, ma torna spesso sull’infortunio identico che capitò ad un campione. Paul Auster, in Sunset Park (Einaudi), presenta il baseball come l’emblema dell’eredità che si passa di padre in figlio. Anche Miles si appassiona: «Quella del lanciatore era la sua posizione ideale. Solitudine e forza, concentrazione e volontà, il lupo solitario ritto in mezzo al diamante, che assume su se stesso tutto il peso del gioco. Ai tempi erano tutte palle veloci e changeup, due lanci e un interminabile lavoro sul modo di lanciare, il movimento fluido, la frustata del braccio avanti ogni volta con la stessa angolazione, la gamba destra raccolta in alto che spinge fuori dal rubber fino al momento del rilascio». Ma quando Miles uccide «involontariamente» il fratellastro, rinuncerà al baseball. Si punisce privandosi di ciò a cui tiene di più. Però, a sua volta, trasmetterà al figlio gli insegnamenti paterni.
La visione di Auster purtroppo non manca di retorica: «Il baseball è un universo grande come la vita stessa e perciò nel suo ambito ricadono tutte le cose della vita, buone o cattive, tragiche o comiche».
Don DeLillo, Underworld
È il fuoricampo di una cruciale partita di baseball tra Giants e Dodgers il detonatore di uno dei romanzi più importanti della letteratura americana degli ultimi cinquant’anni: Underworld di Don DeLillo (Einaudi). Le ottocentottanta pagine attraversano cinquant’anni di storia seguendo le vicende di una pallina da baseball. Per DeLillo il baseball è il nucleo attorno a cui si aggrega un sentimento indefinibile: l’America. È il 1951, a New York. Sugli spalti ci sono tutti. Venditori di noccioline, J. Edgar Hoover e piccoli tifosi tra cui il giovane Cotter. «Thompson ruota su se stesso e colpisce la palla con un colpo fortissimo dall’alto in basso, e tutti, tutti stanno a guardare (...). La gente si chiede dov’è la palla. Un ritardo leggerissimo, il tempo che si ferma, una pausa che dura una frazione di secondo. E Cotter in piedi nella sezione 35 guarda la palla che viene nella sua direzione. Resta folgorato. Perde di vista la palla quando oltrepassa le prime gradinate e pensa che atterrerà nella tribuna superiore. Ma prima che riesca a sorridere o a gridare o a dare una botta sul braccio del vicino. Prima che il momento possa travolgerlo, la palla ricompare, con le cuciture che roteano visibilmente tanto è vicina, e rimbalza di sbieco sul pilone — mani che balenano dappertutto». I Giants vincono il campionato. Cotter ha la palla. Ciò a cui gli americani hanno assistito «li unirà in un modo raro, li legherà a un ricordo dotato di una forza protettiva». Il baseball è il collante della società americana. È un mito fondativo: «Questa è la storia della gente», dice DeLillo.
Francesco Longo