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 2012  aprile 15 Domenica calendario

IL NUOVO INTEGRALISMO VEGETARIANO - S

ognatori e svampiti, i vegetariani. Materialisti e rozzi, i carnivori. I talk show mettono in scena così il dibattito carne-sì-carne-no, in modo che lo spettatore possa sentirsi a suo agio nel mezzo. In libreria, però, è tutta un’altra storia, il match non si disputa proprio. Lo standard vegetariano, meglio ancora vegano, si presenta come l’unico moralmente ammissibile, mentre l’altra parte preferisce tacere. È così che il «New York Times» ha deciso di provocare gli intellettuali carnivori: trovate delle argomentazioni etiche a favore del consumo di carne e inviate i vostri contributi di 600 parole alla nostra giuria di intellettuali animalisti. Il migliore sarà pubblicato. Sollecitazione o imboscata? Le tendenze editoriali, comunque, sono già un passo oltre la disfida dei saggi. La crociata vegetariana non si combatte più soltanto a suon di trattati e inchieste. L’animalismo e l’eco-militanza si son fatti racconto.
La letteratura, si sa, è più pervasiva, e regala a chi scrive la libertà di trascendere. Leggere un libro, d’altronde, è più facile che cambiare menu. La carne che mangiamo (meat) e quella di cui siamo fatti (flesh) si confondono nella prosa modernista dello scrittore americano Jonathan Safran Foer, che in Se niente importa (Guanda, 2010) intreccia memorie personali, reportage dai mattatoi e riflessioni. Vera e propria fiction, invece, è l’incalzante La società degli animali estinti del canadese Jeffrey Moore (Isbn Edizioni, 2012). Un traduttore sbandato salva la vita a una quattordicenne ribelle, minacciata da un bracconiere. «Tu sei carne morta» mi disse dalla porta, sempre senza alzare la voce. «Verrai eviscerata come un pesce». A quanto pareva le sue minacce dovevano sempre coinvolgere un animale: «Dissanguata come un cervo».
Di tutt’altro genere è La vita degli animali del sudafricano John M. Coetzee, capace di trasformare un appassionato dibattito sulla crudeltà umana e sui diritti degli animali in un romanzo da Nobel. È in questo libro che nasce la figura di Elizabeth Costello, anziana scrittrice prigioniera delle sue inquietudini sul bene e sul male. La penna di Coetzee attinge a Plutarco: «Mi domanda per quale ragione mi astengo dal mangiare carne. Io d’altra parte mi meraviglio come lei possa appressarsi alle labbra la carne del morto animale, mi meraviglio che non trovi ripugnante masticare la carne di animali scannati e smembrati». Il filone vegan-letterario sembra destinato a gonfiarsi. La saggistica offre agli scrittori un’infinità di spunti (etici, ecologici, salutisti e persino femministi) contro lo sfruttamento degli animali. Peter Singer è stato il capostipite, è il più influente di tutti, con una produzione intellettuale che copre più di 30 anni, da Liberazione animale a Come mangiamo (Il Saggiatore, 2011). Sostiene che, in termini di coscienza, il valore della vita di un neonato possa valere meno di un animale (così da comprendere le ragioni dell’infanticidio).
Ma non è il più estremista. Lo dimostra l’osceno confronto che si è svolto sulle pagine di «Vegan Voice» a proposito degli attentati dell’11 settembre. Nello stesso giorno in cui tremila persone morivano nel crollo delle Torri gemelle, 38 milioni di polli venivano abbattuti nei mattatoi americani. Singer ha ammesso che la prima tragedia è molto più grave della seconda, beccandosi per questo l’epiteto «specista» (sostenitore della discriminazione fra specie). Una vita umana non vale più di una avicola, lo ha rimproverato Joan Dunayer, semmai è vero il contrario. «I polli sono più meritevoli della maggior parte degli umani, che causano molte sofferenze e morti non necessarie, ad esempio indossando prodotti di origine animale», sostiene l’autrice di Speciesism. Neppure la proposta di Singer di riconoscere uno statuto giuridico agli scimpanzé va giù ai duri e puri, perché significherebbe tradire le altre specie. I fondamentalisti non vogliono gabbie più grandi, ma gabbie vuote, e ti guardano come un assassino se ordini il piatto sbagliato. Sono matti da legare? L’antro-zoologo Hal Herzog risponde a questa e a molte altre domande nel suo Amati, odiati, mangiati (Bollati Boringhieri, 2012), un’indagine autorevole e fresca, con tutte le sfumature del grigio. L’universo morale degli assolutisti fa rabbrividire, ma il guaio è che, a rigore di logica, hanno ragione loro: «Se ci si rifiuta di tracciare una qualsiasi linea morale tra le specie, si finisce in un mondo in cui, come Dunayer suggerisce, le termiti hanno tutti i diritti di divorarti la casa».
E allora ognuno è libero di tracciare la propria linea dove crede, ma senza pretendere di essere seguito dagli altri. «Lei non si aspetta troppo dall’umanità quando ci chiede di vivere senza lo sfruttamento delle specie, senza crudeltà? Non è forse più umano accettare la nostra umanità — anche se significa abbracciare il carnivoro Yahoo dentro di noi?». Elizabeth Costello se lo sente chiedere a una delle sue conferenze. Bella domanda, appunta Herzog: lo Yahoo è il bruto umanoide dei Viaggi di Gulliver, ma ha anche altri nomi. «Freud lo ha chiamato Es. Gli psicologi evoluzionisti ne rintracciano le origini nel Pleistocene, e i neuroscienziati sostengono che divide il suo tempo tra i lobi frontali e il sistema limbico».

La lettura di Herzog fa affiorare altri dubbi: come si fa, ad esempio, a sostenere che il rispetto per gli animali misuri il grado di una civiltà, dopo quel che è accaduto col Terzo Reich? Nel 1933 Hitler firmava la legge più avanzata del mondo per il benessere animale e in un discorso radiofonico Hermann Göring minacciava: «Rinchiuderò in campi di concentramento tutti coloro che sono convinti di poter continuare a trattare gli animali come un oggetto di proprietà». I cani sequestrati agli ebrei furono eutanasizzati rispettando le regole della macellazione «non disumana», gli ebrei non ebbero neppure quella tutela. Un ribaltamento morale sconvolgente dal quale non possiamo considerarci immunizzati per sempre. Quante persone oggi si commuovono per un cucciolo e restano indifferenti davanti a un barcone di migranti alla deriva? Chi vuole scriverci un saggio, anzi un racconto?
Ps. L’autrice si dichiara vegetariana.
Anna Meldolesi