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 2010  aprile 16 Venerdì calendario

DAL NOSTRO INVIATO VIRGINIA PICCOLILLO

PESCARA — «Mario adorava giocare sotto la pioggia. Mi diceva che la palla ha bisogno di un trattamento diverso. Ieri è stata così. Sono sicura che fosse felice. Il calcio e quel pallone davano un senso alla sua vita». Anna Vavassori pesa le parole. Il suo ragazzo, Piermario Morosini, centrocampista del Livorno, è morto in campo, scatenando un clamore che in vita aveva aborrito. E lasciando lei, pallavolista ventenne bergamasca, schiva e riservata sotto il diluvio di solidarietà e affetto. Difficile sottrarsi. Ci prova ma, all’uscita dell’obitorio singhiozza: «Era bellissimo, sembrava dormisse». Tenta, invano, anche Zdenek Zeman, allenatore del Pescara: «Dite che sono a Roma», raccomanda rifugiandosi sul campo da golf. Uscendo, ammette: «È stata un’altra mazzata». Allude alla morte, solo due settimane fa, del suo preparatore atletico, Franco Mancini.
Ma tutti tentano di rispettare lo stile di quel calciatore «speciale». Lo illustra il suo procuratore Ernesto Randazzo: «Molta educazione, bassa voce, valori forti. Era un punto di riferimento per tutti. Una persona profonda che aveva sofferto per la scomparsa della mamma e del papà, ma viveva accontentandosi delle sue piccole felicità». Uno stile che non prevedeva uso di sostanze dopanti o medicinali, assicura il manager. Fugando un sospetto che oggi sarà accertato nell’autopsia. «Non prendeva alcun farmaco. E non aveva nessuna patologia. Nemmeno gli acciacchi tipici dei calciatori».
Ma allora perché è morto «il Moro»? Per un infarto come quello che portò via suo padre? O per un aneurisma cerebrale? Su quest’ultima ipotesi, circolata ieri, Leonardo Paloscia, primario del reparto di cardiologia dell’ospedale Santo Spirito di Pescara, è possibilista. «Certo è difficile esprimersi prima dell’autopsia», premette il medico che assisteva alla partita dalla tribuna «ma l’assoluta mancanza di segnali di ripresa, anche dopo undici scariche di adrenalina, mi induce a pensarlo».
Intanto il caos nei soccorsi è la parte su cui più si è soffermata l’indagine aperta dalla procura di Pescara. Ieri si è scoperto che le auto delle forze dell’ordine che bloccavano l’ambulanza erano tre: due sono state rimosse prima dell’accaduto, mentre è rimasta lì quella della polizia locale, che ha quindi impedito all’ambulanza di entrare subito sul campo. Il vigile che la guidava «è sotto choc», dice il suo comandante Carlo Maggitti. Che chiede di non farne un «mostro». «Continua a dire di aver sbagliato», aggiunge. Per lui però si è già aperto un procedimento amministrativo al termine del quale si prospetta la rimozione. E se l’autopsia dovesse accertare che quei minuti di ritardo sono stati fatali per Morosini, si potrebbe prefigurare anche l’accusa di omicidio colposo. «Saremo equi e inflessibili» assicura il sindaco di Pescara, Luigi Albore Mascia, «chi ha sbagliato pagherà. Ma non si prendano scorciatoie e non si accusi per questo il ritardo dei soccorsi che non c’è stato».
Intanto il Pescara Calcio, al quale compete la sorveglianza della zona in cui era parcheggiata l’auto, ha smentito le voci che si erano diffuse ieri: «Nessuno steward ha chiesto al vigile di spostare il mezzo».
Mariella Vavassori, la mamma della fidanzata di Morosini, tenta di smorzare i toni: «Non c’è rabbia, assolutamente. È capitato perché doveva capitare. Era una persona bella, umile. Il ricordo più bello? Il suo sorriso, nonostante ogni tanto avesse un velo di tristezza nei suoi grandi occhi. Non è stato difficile volergli bene da subito». È la lezione lasciata da Morosini spiega don Luciano, suo confessore: «Ha vissuto nella fatica, traendo dal dolore la sua forza». Forse già mercoledì potrebbero tenersi i funerali: il feretro, prima di arrivare a Bergamo da Pescara, passerà da Livorno dove allo stadio si terrà una cerimonia per l’ultimo saluto della tifoseria.
Virginia Piccolillo

PAOLO TOMASELLI
MILANO — Lo sfogo di sabato sera, sotto choc: «Noi non ci pensiamo proprio a giocare. E se continuano a mandarci in campo ogni tre giorni, altro che morti...». La riflessione del giorno dopo, a mente fredda: «Io lo sto dicendo da tanto tempo, ne ho parlato spesso anche con i nostri medici. Ho 34 anni e l’anno scorso ho pensato, scherzando ma non troppo, di ritirarmi perché non si riesce più a riposare. Il calcio è bello, è uno sport importante ma c’è anche la salute da salvaguardare».
Totò Di Natale, in lotta per essere il primo calciatore italiano a vincere per tre anni consecutivi la classifica dei bomber della serie A, scuote il calcio italiano che dopo la tragedia del centrocampista del Livorno Piermario Morosini si interroga sulla tutela della salute: «Se vi ricordate — sottolinea il presidente dell’Associazione italiana calciatori, Damiano Tommasi — se ne era parlato anche quando era saltata la prima giornata e il calendario del campionato si era compresso. Ma nel momento in cui il sindacato chiede un riposo invernale più lungo ci accusano di volerlo per andare ai Caraibi. Il messaggio collettivo però rimane: gli atleti lavorano col proprio corpo e bisogna ragionare sui tempi di recupero, sui ritmi di lavoro e più in generale sull’attenzione alla salute».
In un calcio dove l’Athletic Bilbao gioca in Germania per l’Europa League al giovedì sera e meno di 48 ore dopo sfida in campionato il Barcellona o dove l’Udinese, squadra in cui Morosini era riserva fino al trasferimento in Toscana nel mercato invernale, gioca tre partite chiave in sei giorni tra Coppa e campionato (è successo a dicembre), rischia di essere uno spettacolo scadente e pericoloso. «Quelle di Di Natale sono riflessioni giuste, come è stato giusto fermare i campionati — spiega il presidente del Coni, Gianni Petrucci — ma le decisioni vanno prese assieme a chi conosce la fisiologia degli atleti e le loro problematiche. E non da medici che parlano per sentito dire come è accaduto in questi giorni...».
«Non solo quelle di Totò sono parole giuste — rilancia il dottor Piero Volpi, consulente dell’Assocalciatori — ma sono di stimolo a tutta la medicina sportiva, per capire ad esempio come migliorare la preparazione atletica. Bisogna chiedersi fino a dove ci si può spingere, fino a quando si può rinunciare alla preparazione o al giusto recupero delle forze. Un calciatore che gioca Coppe e nazionale, e qui andiamo oltre alla tragedia di Morosini, disputa fino a 65-70 partite in una stagione contro le 45/50 di venti anni fa...».
Il calendario è intasato, le squadre sono tante (troppe: 20 in A e 22 in B), la «dittatura» delle tv, che tengono gonfio il pallone, è obbligata. Ma da qualche parte bisogna cominciare per cambiare la situazione. «Basterebbe anticipare l’inizio della stagione — riflette Morgan De Sanctis, portiere del Napoli e della nazionale — . Modifichiamo i calendari: evitiamo la Coppa Marmellata o il Trofeo Banana in estate e iniziamo prima il campionato. Così ci sarà più tempo per recuperare. Non dimentichiamo che il rinvio della giornata di campionato che si doveva disputare ieri, è stato possibile solo perché le squadre italiane sono tutte uscite dalla Champions. Fermarsi è stato giusto, ma approfittiamone anche per riflettere, tra le altre cose, sul calendario».
Rino Gattuso non ha una ricetta, ma solo dei dubbi: «In questo momento ognuno può dire quello che vuole, comunque un’anomalia c’è, perché sono un po’ troppi i casi accaduti nel nostro mondo. Io non ho una mia idea, ma ho cominciato a parlare col medico del Milan: vogliamo capire, se è possibile, cosa sta succedendo».
Paolo Tomaselli

***

È successo nelle stesse ore. Sempre su un campo di calcio. Due cuori in tilt, due storie dal finale opposto. Quasi nello stesso momento in cui lo stadio di Pescara ammutoliva per il dramma di Morosini (foto), in un campetto di Piacenza, durante una di quelle gare amatoriali dove passione e impegno non sempre sono adeguati alla preparazione atletica, un calciatore dilettante di 46 anni, Massimo Proietti, ufficiale medico dell’Aeronautica in forza alla Libertas, è crollato a terra, in pieno arresto cardiaco. Per sua fortuna, i primi a rendersi conto della gravità della situazione sono stati un giocatore e un dirigente della squadra avversaria, la Vittorino da Feltre, di professione medici. Determinante il loro intervento così come la presenza, ai bordi del campo, di un defibrillatore e di persone capaci di usarlo. In pochi minuti, il cuore di Proietti ha ripreso, seppur faticosamente, a battere: ricoverato in prognosi riservata, sta lottando per la vita. Piacenza è una città modello nella diffusione di defibrillatori: grazie al «Progetto Vita» degli specialisti Alessandro Capucci e Daniela Aschieri, sono 250 i dispositivi presenti in tutta la provincia, che hanno permesso di salvare più di 80 persone dal 1998.