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 2012  aprile 15 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. IL PROBLEMA DELL’ANTIPOLITICA


REPUBBLICA.IT
ROMA - Fermare l’antipolitica. Un sentimento diffuso soprattutto dopo le recenti inchieste giudiziarie collegate al finanziamento dei partiti, che hanno travolto l’ex Margherita 1 e la Lega Nord 2. Bisogna agire in fretta, ne sono convinti il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e il ministro per la Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi. "Se c’è qualcuno che pensa di stare al riparo dall’antipolitica si sbaglia alla grande. Se non la contrastiamo, spazza via tutti", ha detto Bersani ricordando che serve "una norma che metta il controllo sui bilanci dei partito. Un controllo che riguardi anche il tipo di donazione che fanno i privati". Scende in campo per difendere la politica anche il ministro Riccardi: "C’è bisogno, in maniera vitale, dei partiti politici, non si può indulgere nell’antipolitica. C’è bisogno dei partiti, c’è bisogno di più partiti di partiti amici della gente e della cultura, che diano idee a questo paese e si chiedano quale sarà l’Italia del 2013".
Oggi diversi politici sono scesi in campo per parlare di finaziamento pubblico ai partiti. Lo ha fatto Bersani intervenendo ancora una volta sul tema, dopo le sue
dichiarazioni di ieri: "Io sono disposto a inserire nella norma sulla trasparenza non solo il congelamento dell’ultima tranche di luglio ma anche una riduzione dei rimborsi", ha detto il segratario del Pd.
"Noi come Api prendiamo 180.000 euro all’anno, ovvero i rimborsi per elezioni regionali. Ci battiamo per il taglio di un terzo del finanziamento pubblico. Sono favorevole a un congelamento e a dare il rimborso solo in base ai voti effettivamente presi", ha detto il segretario di Alleanza per l’Italia, Francesco Rutelli. Chiede invece la revoca del rimborso elettorale sul suo blog il presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. "Se il rimborso elettorale non verrà revocato, noi rispetteremo quanto promesso: prenderemo la quota spettante all’IdV e ne faremo un assegno circolare che consegneremo al ministro del Lavoro, perchè lo dia alle fasce sociali più deboli, come per esempio agli alluvionati liguri o i terremotati abruzzesi e molisani".
(15 aprile 2012)

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GIANCARLO BOSETTI
La rabbia diffusa in rete contro il nulla di fatto, o quasi, dei partiti di fronte allo scandalo dei rimborsi, diventati un immenso giacimento patrimoniale a disposizione di trafficanti e aspiranti rentier, è questa volta pienamente giustificata. Il divario di percezione tra chi ne beneficia (i politici) e chi ne patisce (i contribuenti) è troppo alto per essere digeribile. Difficile liquidarlo come qualunquismo, perché il qualunquismo, se inteso come protesta indifferenziata nei confronti del ceto politico può rivendicare qui diverse buone ragioni, mentre chi invoca "il ritorno alla regolare competitività politica tra i partiti", come capita a qualche dirigente del Pd, sembra un naufrago, perso nella trama delle sue fantasie. Competitività? Tra quali partiti? Quello di Lusi e quello di Belsito?
Lo spettacolo d’impotenza e inconcludenza davanti alla scadenza del prossimo incasso, da 166 milioni, che fatalmente non si riuscirà a impedire, è reso ancor più urticante dal fatto che stiamo parlando di partiti che, per aiutare l’Italia a uscire dai guai hanno dovuto non fare un passo avanti ma un passo indietro, hanno dovuto non far valere i loro argomenti ma farli tacere, hanno dovuto non mettere i loro uomini e le loro donne al governo ma toglierli.
Il dichiarato desiderio di autoriforma non produce conseguenze, le ambiziose assunzioni di responsabilità si arenano davanti alla prima difficoltà. Difficile risvegliare questa platea di leader improduttivi senza uno scossone
e difficile ottenere un cambiamento senza quello scossone permanente che è la minaccia di sostituzione, alla guida dei partiti e al governo, quella salutare minaccia che nei regimi democratici più brillanti consiste nella vera competizione per la leadership.
L’aspetto più grave della crisi italiana è la non contendibilità delle posizioni di comando. E il metodo di finanziamento dei partiti, non controllato e non misurato - come invoca il presidente della Repubblica - è diventato uno strumento nelle mani delle segreterie per perpetuare il proprio potere tenendone lontani i contendenti. Guardate il caso della Lega: da quanti anni è evidente che Bossi non è piú in condizioni di guidare ragionevolmente il partito? Di quanto è in ritardo la "pulizia" di Maroni? Quanto tempo prima avrebbe dovuto avvenire quel cambio che ancora è incerto? Adesso finalmente ben si capisce che cosa teneva in piedi il "cerchio magico" e impediva di far circolare aria nuova.
E nel Pd, che pure si è tanto dato da fare per organizzare (e spesso perdere) le primarie di coalizione, si è mai aperta una competizione vera per le posizioni di comando? Il laburismo del posto fisso, l’abitudine storica a considerare gli apparati politici un po’ come le vecchie aziende fordiste, ha impedito di vedere che le amate primarie sono, tra le altre cose, nella versione originale americana, anche una competizione tra i candidati per ricevere i finanziamenti, dove vince chi ne raccoglie di più. Nel modello Pd invece il finanziamento pubblico diventa uno strumento per stabilizzare il gruppo dirigente e metterlo al riparo dalla competizione.
Quanto al Pdl, il patrimonio personale del suo fondatore ha precostituito ab origine le condizioni di inamovibilità del capo. E qui il finanziamento pubblico potrebbe paradossalmente creare le condizioni di una inedita autonomia. Ma è immaginabile oggi una segreteria non controllata dal Cavaliere? Gli incassi fuori misura dei rimborsi costituiscono dunque rendite patrimoniali e di potere, in forza delle quali il controllo della cassa e del cassiere cementa le segreterie e ostruisce gli accessi degli outsider e degli sfidanti, che sono ingrediente fisiologico, salvezza delle democrazie.
Questa situazione deve essere rimossa se non si vuole rischiare un collasso più grave di quello di Tangentopoli. Il finanziamento pubblico, per come si configura attualmente in Italia, non è un sostegno alla vita democratica, ma un ostacolo al rinnovamento, anche perché congela e fossilizza uno scenario politico che, se lasciato libero, affronterebbe una probabile rapida evoluzione. I partiti oggi in campo hanno una fisionomia incerta, per niente definitiva, sono creature ambigue e dalla sorte mobile: il Pdl dovrà totalmente ridefinirsi e non solo nel nome durante o dopo Berlusconi; il Pd dovrà fare i conti con le sue differenze interne e con una scelta inevitabile tra partito aspirante pigliatutto in uno schema bipolare o partito del lavoro in cerca di coalizione a sinistra o al centro; e anche il centro è oggi il laboratorio di molteplici ipotesi. Senza contare quel che potrà avvenire grazie all’eredità elettorale del governo Monti. Se non si cambia radicalmente metodo di finanziamento, rischiamo di moltiplicare i Lusi, le "ex Margherite", i giornali quotidiani di partiti che non esistono più, le correnti che sopravvivono come fantasmi, con sedi e conti in banca che si moltiplicano. Rischiamo di eternizzare, a furia di bonus, una politica che non funziona.
In queste condizioni, con un Parlamento palesemente incapace di un’autoriforma che non vuole, persino Ia proposta estrema dei radicali, quella di azzerare il finanziamento, appare un po’ meno estrema. Certo sarebbe uno shock, capace forse di spiegare ai politici in carica che l’idea di tornare alla politica di prima e di continuare il business as usual è una follia.
(14 aprile 2012)

D’ALEMA A REPUBBLICA.TV DICE CHE IL FINANZIAMENTO CHE ERA 280 MILIONI TRE ANNI FA SARA’ DI 141 NEL 2013 (-36%).

DAL BLOG DI BEPPE GRILLO. EDITORIALE DI OGGI 15 APRILE 2012
Rigor Montis in cinque mesi di governo è ringiovanito, l’aria di palazzo Chigi gli ha fatto bene dopo anni di panchina in Bocconi. Pdl e Pdmenoelle sembrano invece invecchiati di un secolo. Il Liquidatore Finale è sempre più vivo mentre i Gemelli del Debito Pubblico sono sempre più morti. Non hanno alternative, devono appoggiare il governo e nascondersi sotto le gonne della Governante di Varese per non finire linciati, ma più dura Monti, più loro deperiscono. Il Sistema non può però permettere che perdano il loro peso elettorale. Se Bersani dovesse scendere al 15% o Alfano al 12% si scatenerebbe una notte dei lunghi coltelli e dovrebbero ritirare la fiducia al governo. Ho il sospetto che siano entrambi già scesi sotto il 20% da mesi, ma che non possa essere divulgata la notizia. E’ più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago che rintracciare qualcuno che dichiari che voterà Pdl o Pdmenoelle alle prossime elezioni. I sondaggi che danno il Pdl al 24,2% e il Pdmenoelle al 24,9% dove li fanno? Ad Arcore? Nelle sedi delle cooperative rosse. Questa situazione non può durare a lungo, più le tasse incideranno la carne viva degli italiani, più questi si ricorderanno che devono ai due maggiori partiti il fallimento del Paese. E’ improbabile che Pdl e Pdmenoelle, la coppia "de fero", resistano da qui alle elezioni del 2013 con percentuali significative. E loro lo sanno.
Nel 1993 la frana del Sistema fu arrestata dal trasformismo di Forza Italia, un partito "nuovo" contenitore di ex socialisti e ex democristiani. Vent’anni dopo l’esercizio è più difficile. Il Paese è a un passo dal baratro economico. Ci proveranno comunque invocando l’emergenza. Tra un anno l’unica cosa certa è che staremo molto peggio di ora. Tra le alternative possibili: un governissimo con la fusione di fatto di Pdl e Pdmenoelle e un premio di maggioranza stratosferico, una legge elettorale che permetta a Pdl e Pdmenoelle di non fare alleanze prima del voto e di formare insieme subito dopo un governo, il rinvio delle elezioni sine die affinché Rigor Montis possa completare il suo lavoro (ipotesi perfettamente costituzionale) o brogli elettorali pianificati a tavolino. Dipende da quanto l’Italia sarà in fiamme e da quello che deciderà la BCE. Nel frattempo chi disturba il manovratore dovrà essere messo a tacere, esercizio facilissimo verso chi ha fatto parte del gioco, come Boss(ol)i e Vendola, il benefattore della Marcegaglia e di Don Verzè con soldi pubblici. I partiti stanno svanendo nell’aria come i sogni al mattino. I loro padroni non ne hanno più bisogno. Il prossimo presidente della Repubblica sarà un loro rappresentante, la Bonino ad esempio. Ci vediamo in Parlamento. Fuori o dentro.

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Il MoVimento 5 Stelle è un simil movimento e Grillo un fantasma a cui nessuno affiderebbe i destini della sua famiglia.
"Siamo messi proprio male se, in cerca di un’alternativa credibile alla dissoluzione del sistema politico, i mass media italiani non trovano di meglio che riesumare il fantasma di Beppe Grillo. L’illusione di votare "diverso" per continuare a vivere nella stessa melma... nessuno crede davvero che Grillo in Parlamento o addirittura al governo rappresenti più di un’imprecazione. Nessuno gli affiderebbe i destini della sua famiglia.. Grillo fingerà di disertare gli appuntamenti tv creando eventi alternativi... e in definitiva se ne compiacerà massimamente, proprio come hanno fatto altri simil-movimenti che si pretendevano alternativi prima di lui." firmato Gad Lerner

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TGCOM24
11:46 - Inutile nascondersi:senza rimborsi elettorali i partiti non vanno da nessuna parte. Come un fulmine a ciel sereno, proprio mentre gli sherpa si ’affannano’ per portare a casa una riforma sulla trasparenza dei finanziamenti pubblici, arriva il niet secco di Antonio Misiani, il tesoriere del Pd, che ai soldi proprio non vuole rinunciare. Anzi non può, almeno così dice: "Impossibile - spiega al Fatto Quotidiano - i partiti chiuderebbero" .
Insomma, giù le mani dall’ultima tranche di rimborsi elettorali: "Sarà una verità impopolare ma qualcuno deve dirla. Abbiamo un disavanzo di 43 milioni di euro’’, racconta meglio il tesoriere democratico. "L’80,90% dei nostri introiti sono soldi pubblici e il problema non vale solo per noi. Il Pdl i soldi delle politiche del 2008 li ha tutti cartolarizzati, ovvero se li è fatti anticipare dalle banche. E’ notizia risaputa. Tutti i partiti hanno bisogno di quella rata per sopravvivere’’.
Sarà. Quindi viene da domandarsi: "Se è una notizia risaputa, che ci fanno gli ABC con il loro emendamento?". Tradotto: perché Alfano, Bersani e Casini stanno rischiando la loro faccia su una proposta che di fatto è impraticabile?
Di fatto, già i tecnici del Parlamento, quelli che mettono mano al bottino elettorale hanno pochi dubbi: la tranche di luglio, quella per intenderci da 180 milioni di euro, non sarà bloccata, a meno che nel disegno di legge non sia chiesto esplicitamente. Anche perché, i tempi sono stretti e la legge, ovviamente, è così ben articolata che per modificarla necessita di ore e ore di lavoro. E poi, appunto, si aggiunge il problema delle spese: "Un partito vive sempre - spiega ancora Misiani - mica solo in campagna elettorale. Quei soldi li utilizziamo per pagare l’attivita’ politica, il personale. Il nostro bilancio è certificato e i rimborsi per le amministrative li trasferiamo sul territorio’’. E poi, "le donazioni da privati sono poche’’.
Allora, o ci si affida a ’generosità’ spontanee, come la rinuncia di una parte dei soldi annunciata dalla Lega e da Italia dei Valori o niente: Alfano, Bersani e Casini rischiano di rimanere con un cerino in mano.