Giampiero Martinotti la Repubblica 15/4/2012, 15 aprile 2012
PARIGI
«É narque: ex allievo dell´Ecole nationale d´administration o Ena (considerato come detentore del potere). Vedi: tecnocrate». La definizione del dizionario è asettica e non dice l´essenziale: da tempo, nel linguaggio politico, énarque è un mezzo insulto, un´accusa. Gli ex dell´Ena sono una componente importante delle élite, cui vengono attribuiti, a torto o a ragione, i mali di cui soffre la Francia. Il disprezzo di certi politici quando pronunciano quel termine fa quasi sorridere: il primo a essersi lanciato nella critica è stato infatti uno dei più brillanti prodotti di quella scuola, l´ex socialista Jean-Pierre Chevènement: nel 1967 inventò il termine énarchie, per designare «i mandarini della società borghese». La critica ha fatto fortuna: se dall´estero l´Ena è vista come la fucina di una dirigenza pubblica di alto livello, Oltralpe le cose vanno in tutt´altro modo e non è raro sentire il lamento dei piccoli commercianti contro lo Stato e i funzionari: «Non capiscono niente delle aziende, sono tutti degli énarques».
Preparatissimi e sgobboni, gli allievi dell´Ena sono il prodotto della meritocrazia repubblicana: lo Stato mette a disposizione grandi scuole di altissimo livello e chi riesce a entrare farà parte della classe dirigente. La prova? L´Ena ha fornito al paese due presidenti della Repubblica (Valéry Giscard d´Estaing e Jacques Chirac) e potrebbe fornirne un terzo (François Hollande). Dal 1984 in poi, sette primi ministri su undici sono stati ex allievi dell´Ena (Laurent Fabius, Jacques Chirac, Michel Rocard, Edouard Balladur, Alain Juppé, Lionel Jospin, Dominique de Villepin). E dal 1974, a tutti i ballottaggi delle presidenziali è stato presente almeno un énarque. Non facciamo la lista dei dirigenti d´impresa e citiamo solo un non politico: l´ex presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, è anche lui un prodotto dell´Ecole.
Insieme al Politecnico, l´Ena è la più formidabile fucina di talenti del paese. Se il primo fu una creatura di Napoleone, la seconda deve la sua esistenza al generale de Gaulle. Ispirato da Michel Debré, il capo della Resistenza tira le conseguenze della disfatta delle élite francesi, che nel 1940 avevano assistito impotenti al crollo della Francia e avevano in gran parte accettato passivamente il regime di Vichy e l´occupazione tedesca. Per questo vuole la creazione di una scuola capace di formare una classe dirigente: «La scuola vedeva la luce - scrive nelle sue memorie - circondata dall´atmosfera assai scettica dei grandi corpi della funzione pubblica e degli ambienti parlamentari. Ma vedrà dissolversi i pregiudizi fino a diventare poco a poco la base del nuovo Stato».
L´Ena, insomma, fornisce il personale necessario a uno Stato dirigista, che indica le grandi scelte economiche, gli assi strategici di sviluppo, costruisce le infrastrutture e protegge le grandi imprese nazionali. Fino a metà degli anni Settanta, il modello funziona alla perfezione, ma quando comincia a entrare in crisi (e gli énarques cominciano a diventare dirigenti politici), le critiche cominciano a fioccare. Ma cos´è esattamente l´Ena? Fondata a Parigi, è stata trasferita a Strasburgo vent´anni fa. Diretta da un prefetto, accoglie un´ottantina di allievi francesi e trenta stranieri. Si entra grazie a tre concorsi: uno per gli statali, uno aperto a chiunque abbia una laurea, un terzo a dirigenti di imprese private con almeno otto anni di lavoro alle spalle. Due anni di corsi con molti stage, all´estero o nelle amministrazioni locali, uno stipendio fra i 1.400 e i 2.100 euro. Come per le altre grandi scuole pubbliche, chi entra all´Ena si impegna a lavorare per lo Stato come minimo per dieci anni: chi non rispetta la regola, deve pagare le spese scolastiche, valutate in un rapporto parlamentare di pochi mesi fa a 83.586 euro all´anno per ogni allievo. Alla fine, i migliori andranno nei posti più ambiti (il Tesoro, la Corte dei conti), gli altri in qualche sotto-prefettura di provincia.
Gli allievi dell´Ena sono fieri e ambiziosi, hanno spesso una venerazione per il servizio pubblico, sono coscienti del proprio valore e al tempo stesso conservano ancora una certa ingenuità giovanile. L´ingresso nella scuola rappresenta per loro la certezza di una carriera sicura e di successo: c´è chi resterà tutta la vita nella pubblica amministrazione, chi un giorno andrà nel settore privato, chi tenterà la carriera politica. Ma le critiche all´Ena sono numerose: gli allievi provengono soprattutto dai ceti sociali medio-alti; le donne sono appena un terzo del totale; la scuola impone schemi di pensiero troppo rigidi e pre-formati; i neo-funzionari hanno scarsi contatti con la realtà del Paese. Alla scuola si rimproverano i difetti dello Stato: la riproduzione di un´élite repubblicana oligarchica, il centralismo parigino, una pubblica amministrazione efficiente ma soffocante.
E ce n´è anche per gli allievi. In un divertente verbale, la presidente della commissione esaminatrice di due anni fa, Michèle Pappalardo, ha tratteggiato i candidati come conformisti: «Non siamo rimasti impressionati dall´originalità dei candidati, a cominciare dalla loro apparenza: a parte una camicetta, due giacche e una cravatta colorate e un solo pantalone di velluto, tutti erano in giacca e cravatta e tailleur nero o antracite, al limite blu scuro; inoltre, alcuni erano visibilmente a disagio in questi capi non della loro taglia. Questo dà l´impressione che i candidati abbiano un´immagine della Scuola e della funzione pubblica molto conformista come l´"uniforme" che si sono sforzati di indossare». Non solo: i candidati non hanno mai cercato di affermare la propria personalità, ma hanno solo voluto far vedere che conoscevano perfettamente i diversi dossier su cui erano interrogati. Ancor prima di essere ammessi, insomma, presentavano i difetti che vengono rimproverati all´Ena. Come ha detto loro Olivier Schrameck, ex braccio destro di Lionel Jospin e presidente della commissione esaminatrice del 2011: «Essere intelligenti non vuol dire niente, se non si è capiti». Qui sta la difficoltà per gli énarques di oggi.