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 2012  aprile 15 Domenica calendario

SONDAGGI DI OGGI


RENATO MANNHEIMER SUL CORRIERE DELLA SERA
La Lega Nord è nell’occhio del ciclone. E le drammatiche vicende interne del movimento di Umberto Bossi hanno avuto ripercussioni non solo sul partito dei lumbard, ma su tutto lo scenario politico.
Naturalmente, la più evidente conseguenza dello scandalo che ha coinvolto la Lega è stato il significativo incremento del trend di erosione dei suoi consensi. Come si sa, il Carroccio aveva ottenuto poco più dell’8% alle ultime elezioni politiche, per crescere ulteriormente sino a più del 10% alle successive europee del giugno 2009. Poi è cominciato il declino. Alla fine del febbraio scorso la Lega raccoglieva nei sondaggi il 9%. Che diveniva l’8,8% alla fine di marzo, il 7,9% il 4 aprile, sino alla perdita di più di un punto percentuale in pochi giorni, che la porta al 6,6% di oggi, il minimo registrato da molti mesi. C’è dunque stato un calo relativamente forte a seguito dello scandalo; ma quest’ultimo non ha fatto che accentuare l’andamento negativo già in atto da un periodo più lungo e originato dalla crisi interna che la Lega vive da molti mesi. In particolare, hanno abbandonato il Carroccio in misura maggiore gli elettori più giovani, gli operai e (ma un po’ meno) i pensionati.
I voti persi dal Carroccio in questo lasso di tempo — e, in particolare, nell’ultima settimana — non sono andati, tuttavia, prevalentemente agli altri partiti. La gran parte si è rifugiata, per ora, tra gli indecisi e i tentati dall’astensione. Anche per questo, Roberto Maroni si è dichiarato certo di riuscire a recuperare questi consensi, «facendo pulizia» — a suo avviso già quasi terminata — nel suo partito, per tentare di ridargli un’immagine nuovamente «diversa» da quella delle altre forze politiche. Il problema, naturalmente, è vedere se l’ex ministro dell’Interno può riuscire nel suo intento. Interrogati al riguardo, gli italiani mostrano di avere molti dubbi a proposito: più dell’80% non crede che la Lega sia in grado di riscattarsi dal proprio declino. Sia a motivo della sua crisi interna, sia, specialmente, a causa della ricorrente ambiguità della linea politica e del frequente mutamento degli obiettivi strategici proposti in questi anni dal Carroccio. Solo il 14% (che sale al 35% — restando dunque una minoranza — tra gli elettori del centrodestra) la pensa all’opposto e ritiene che Maroni possa farcela.
L’operazione ipotizzata dal leader leghista appare dunque assai ardua. Anche se, teoricamente, egli può godere di un mercato potenziale di consensi molto ampio, sia pure in concorrenza con altri movimenti di opposizione. La profonda sfiducia nei partiti che, come si sa, è radicata nella popolazione, dà infatti luogo ad una diffusa richiesta di forze politiche «nuove», che si differenzino in toto da quelle tradizionali.
Si tratta di un fenomeno che si è ulteriormente ampliato negli ultimi giorni. Gli ultimi scandali finanziari che hanno coinvolto il Carroccio (dopo avere investito altri partiti), assieme ai ritardi e alle titubanze delle forze politiche nel varare una riforma che regoli e possibilmente tagli i loro abbondanti finanziamenti, hanno infatti contribuito la settimana scorsa a far scendere ulteriormente la stima espressa nei confronti dei partiti presenti sullo scenario politico. Questa si è ormai ridotta ai minimi termini: oggi solo il 2% della popolazione dichiara di avere fiducia nelle forze politiche. Il valore, già esiguo, del 4% rilevato il mese scorso, si è dunque addirittura dimezzato. Il 2% della popolazione adulta corrisponde a circa un milione di persone, vale a dire probabilmente meno di quanti sono attivamente coinvolti ai diversi livelli, da sostenitori a militanti, nei partiti. Ciò significa che una parte di chi vive comunque una vita di partito manifesta al tempo stesso sfiducia in quest’ultimo.
In più, ciò che ci sembra ancora più grave, questa perdita di consenso ha finito col riguardare anche le principali istituzioni democratiche. Ad esempio, la fiducia verso il Parlamento è scesa dal 25% rilevato un anno fa, nell’aprile 2011, al minimo storico dell’11% registrato oggi. Quasi nove italiani su dieci non credono più al principale organo elettivo della nostra nazione e non si sentono più rappresentati da quest’ultimo. Una crisi di consenso istituzionale gravissima. Di fronte alla quale occorrerebbe una reazione forte e immediata.

FRANCESCA SCHIANCHI SULLA STAMPA
La carica dei 101 investirà tutt’Italia, da Alessandria a Parma, da Genova a Piacenza fin giù a Taranto e Lecce. «Un raddoppio della percentuale delle liste rispetto all’anno scorso», gongola Beppe Grillo. Il germe fu messo cinque anni fa con un vaffa generalizzato, ora «siamo un virus, raddoppiamo ogni anno», 150 consiglieri del Movimento cinque stelle già siedono in amministrazioni, solo comunali e regionali («noi non facciamo campagne contro le province e poi mettiamo quelli del movimento nelle province come i partiti») e sondaggi ottimistici. Dal 4-5% di Euromedia Research al 5,2% della Ipsos di Pagnoncelli al 6,8% di Datamonitor fino al trionfale 7,2% accreditato da Swg.

«Anche coi giornali contro siamo la terza forza politica di questo Paese», diceva qualche sera fa il comico in un comizio a sostegno del suo candidato sindaco a San Giorgio a Cremano. Una rete di liste civiche «autoproposte e autofinanziate», in cui militano «ragazzi che non ho assolutamente neanche conosciuto», certificate da Grillo come marchio di garanzia a fronte di alcuni requisiti (dal certificato penale «pulito» di tutti i candidati al fatto che non siano iscritti a un partito): una sorta di movimento in f r a n c h i s i n g (guai a chiamarlo partito) sottoposto a un controllo rigoroso, si veda il ritiro del simbolo imposto un mese fa a un consigliere di Ferrara perché «ha frainteso lo spirito del movimento», decisione di Beppe Grillo.

Sondaggi dal 4 al 7%, buona presenza soprattutto al Nord (l’anno scorso hanno sfiorato il 10% alle comunali a Bologna, toccato l’11,8% a Rimini come nella lombarda Varedo), molti si chiedono se la protesta del comico e dei suoi «guerrieri di questo periodo», copyright suo, non sia pronta a raccogliere i voti in uscita dalla Lega travolta dai guai. Attraendoli con i toni virulenti, lo sprezzo per il sistema che sia «Roma ladrona» o il «vaffa» riservato a tutti indistintamente, poco cambia - e anche certi temi: dalla posizione sulla cittadinanza agli immigrati (il comico genovese ha bocciato la proposta di riforma per introdurre lo ius soli, attirando anche molte critiche degli stessi grillini), alla proposta scritta sul seguitissimo blog di «tassare la produzione di gente che va a fare il Made in Italy fuori» a quella di «toglierci dall’euro, magari per tre anni», via «da questa greppia che abbiamo».

«Anche la Lega non aveva mezzi di comunicazione eppure è arrivata al governo...», ricorda Roberto Weber della Swg. Il 7,2% che lui attribuisce ai grillini è più o meno costante da qualche mese, da ben prima che lo scandalo travolgesse il Carroccio. «Il voto al Movimento 5 stelle viene facilmente derubricato come antipolitico, io credo che il discorso sia più complesso. E’ un voto anti-sistema, con forti radici territoriali, ma il fatto è che, mentre Bossi esauriva la Lega, qui Grillo non esaurisce i grillini, un mondo vario, con candidati di buona qualità. E l’incomprensione delle forze politiche verso questo soggetto dice molto: più i partiti sono altezzosi, di solito, più è probabile che cresca...».

Più cauto Roberto D’Alimonte, docente di sistema politico italiano alla Luiss: «Non vedo una crescita del movimento di Grillo. Al momento c’è ancora grande indecisione tra gli elettori. E non è detto che la Lega crolli lasciando voti in libera uscita: succederà solo se non saprà gestire la transizione da Bossi a Maroni». Ma Grillo è parecchio ottimista: alle elezioni dell’anno prossimo «prenderemo il 25-30% e andremo al governo».