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 2012  aprile 14 Sabato calendario

LA DIFFICILE TRANSIZIONE DI PECHINO

La Cina rallenta: la crescita del primo trimestre si è attestata all’8,1%. È un dato che se guardato con gli occhi occidentali appare lunare; letto nella prospettiva di Pechino, risulta preoccupante: si tratta infatti di un sistema economico che ha bisogno di almeno questo ritmo di crescita per assorbire i 20 milioni di nuovi individui che ogni anno entrano nel mercato del lavoro.
In questo quadro, molti media internazionali (tra cui Financial Times e Wall Street Journal) sostengono che è giunto il momento per la Cina di cambiare il proprio modello di sviluppo; molta enfasi viene, in particolare, posta su due temi. In primo luogo, il cambio di paradigma industriale: da workshop produttivo a basso costo a sistema votato all’innovazione. Secondariamente, il progressivo orientamento della produzione verso il mercato interno.
Entrambi gli obiettivi sono più che legittimi, non possono però essere raggiunti nel breve periodo: la Cina ha bisogno di alimentare costantemente - e, quindi, anche nei prossimi mesi - il proprio motore economico. Serve quindi più pragmatismo rispetto a quanto paventato dalla comunità internazionale: nella consapevolezza che, a fronte di un disegno condiviso di medio-lungo periodo, sono necessarie misure di breve - tappe intermedie - in grado di garantire una transizione credibile.
Innovazione
Non può essere un obiettivo univoco per la Cina di oggi, che è spaccata in due: una costa orientale molto sviluppata (con redditi e salari ormai confrontabili con il mondo occidentale) e la Cina interna, che presenta livelli di sviluppo quantomeno non paragonabili. Il Politburo, rifacendosi all’impianto filosofico dello Yin e dello Yang, deve pertanto puntare per i prossimi anni a un sistema industriale bi-fronte. Tradotto in termini pratici: deve focalizzare gli sforzi sull’innovazione nelle città della costa orientale (Yang); sostenere la crescita di workshop produttivi a basso costo nella Cina continentale (Yin).
Domanda interna
Se è vero che aumenta a due cifre e che la progressiva crescita delle importazioni evidenzia la fondatezza della prospettiva del sostegno della domanda interna, non è possibile pensare che il sistema industriale si converta rapidamente da campione di export - secondo un modello di subfornitura - a un paradigma di presenza strutturata sul mercato finale interno. Anche qui serve gradualità; in particolare, occorre che, accanto a politiche volte a sostenere la domanda interna, si affermino politiche finalizzate a creare i presupposti perché le imprese cinesi non focalizzino attenzione e sforzi quasi solo verso il mondo occidentale, ma si rivolgano anche ad altri Paesi, che presentano elevati tassi di crescita. In altre parole, devono crescere i flussi di interscambio commerciale all’interno dei Brics - ancora oggi molto contenuti - e deve essere valorizzata quell’area di libero scambio rappresentata dall’Asean, cioè il bacino del sud est asiatico che rappresenta un mercato di 800 milioni di persone.
Si tratta, in entrambi i casi, di percorsi che dal punto di vista attuativo appaiono tutt’altro che semplici. Richiedono il passaggio da una logica di sviluppo non governato - tutte le province cinesi hanno avuto grande autonomia nella realizzazione del disegno Dengista - a un modello di crescita bilanciata e coordinata: aree diverse del Paese devono, infatti, perseguire modelli di sviluppo differenziati. Allo stesso modo, occorre che sul fronte della politica internazionale, il Governo Cinese assuma un atteggiamento maggiormente pro-attivo e non semplicemente di controllo vigile dei propri interessi nella prospettiva di minimizzare il fastidio o le interferenze generati ad altri Paesi.