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 2012  aprile 14 Sabato calendario

OGNI minima variazione della struttura proprietaria di Rcs (Corriere della Sera), diventa notizia e assume un rilievo da questione di interesse nazionale

OGNI minima variazione della struttura proprietaria di Rcs (Corriere della Sera), diventa notizia e assume un rilievo da questione di interesse nazionale. Nonostante la gravità della crisi finanziaria, anche il recente rinnovo del patto di sindacato non ha fatto eccezione. Nel frattempo però l’azienda continua a essere mal gestita e vale sempre di meno. È quella che chiamo "economia spettacolo": uno star system di imprenditori e banchieri dove l’immagine e le relazioni contano più dei profitti. Ha i suoi lati divertenti, ma l’Italia di oggi non se lo può più permettere, avendo disperatamente bisogno di ristrutturazioni e aziende che rilancino la crescita.I dati di Rcs sono impietosi. Margini risibili, incapacità di generare profitti, elevato indebitamento, investimenti sbagliati. Una situazione non molto diversa da quella del 1998, anno dell’arrivo di Cesare Romiti alla presidenza: allora un conglomerato indebitato, poco redditizio, frutto di investimenti errati. I programmi di ristrutturazione dell’era Romiti non ebbero successo e il gruppo rimase poco competitivo. Fuorii Romiti, nuovi piani di ristrutturazione ed espansione. Stesso patto di sindacato, salvo qualche aggiustamento tra i soci. Risultato: dopo 14 anni siamo al punto di prima. Dal 1998 a oggi, il gruppo Rcs ha prodotto complessivamente 36 miliardi di ricavi, ma solo il 2,7% si sono tradotti in utili (prima di imposte e interessi). Il rendimento medio sul capitale investito è stato un risibile 1,3%. Alla scarsa redditività, si è aggiunta l’incapacità di crescere, con un fatturato in contrazione del 3% medio annuo. La concorrenza delle tv, la crisi, la disaffezione degli italiani per la carta stampata non spiegano risultati così negativi. In questi 14 anni, i tre principali concorrenti italiani, (Mondadori, Espresso e Caltagirone/Messaggero) hanno saputo mantenere mediamente una crescita positiva (+ 1,3%); una redditività media sul capitale adeguata (quasi 8%), con margini quadrupli di Rcs (10,4%). Se poi si guarda ai principali gruppi editoriali europei, il confronto diventa imbarazzante. La crisi della carta stampata e quella finanziaria non hanno risparmiato il resto d’Europa: la crescita media dell’1% è in linea con le concorrenti italiane; ma con una redditività media sul capitale (10%) e margini complessivi (15%) ancora più elevati, segno di gestioni efficienti. Quattordici anni non sono bastati per rendere Rcs stabilmente competitiva e redditizia; e neppure per invertirne il declino. Il problema non meriterebbe attenzione se Rcs non fosse di gran lunga il maggior gruppo editoriale italiano, di dimensioni non troppo lontane dai leader europei, come Springer, Sanoma, o Daily Mail; l’unico che ha puntato seriamente sull’espansione all’estero (ahimè, disastrosa). E se i soci di RCS non annoverassero le maggiori banche, assicurazioni e gruppi industriali italiani. Quali speranze di rilancio ha il Paese se al gotha del nostro capitalismo non sono bastati 14 anni per ristrutturare, gestire bene e far crescere una delle nostre poche grandi aziende? Oppure se questo è il prezzo che evidentemente sono disposti a pagare per incassare il dividendo politico della partecipazione alla proprietà del Corriere? Dopo l’ennesimo polverone, per l’ennesimo riassetto, uno stimato professore della Bocconi ha sostituito alla presidenza un altro stimato professore della Bocconi. Del nuovo amministratore delegato per ora non si sa; lo sta cercando una società di reclutamento, anche se non è chiaro che cosa dovrà di fare. Intanto il titolo vale appena il 25% del fatturato, contro il 92% medio di settore in Europa (e nonostante gli occasionali rialzi, come quello recente, sull’onda di improbabili cambi di controllo). Eppure, per un investimento così disastroso c’è sempre la fila di soci rilevanti che vuole comprare, al punto che sul mercato è rimasto meno del 15% del capitale. La Rcs è lo specchio del Paese: per capire il declino economico italiano, vale più di molte, sofisticate analisi.