LUCA RICOLFI, La Stampa 13/4/2012, 13 aprile 2012
IL SOGNO SVANITO DEL FEDERALISMO
Pubblichiamo un estratto della nuova introduzione della rinnovata edizione del libro di Luca Ricolfi «Il sacco del Nord» (Guerini editore). Il volume torna in libreria in questi giorni per la grande attualità del tema.
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Sono passati solo due anni, ma a me sembrano un’eternità. Quando, nel 2010, uscì la prima edizione de Il sacco del Nord, la crisi sembrava in via di superamento, Berlusconi era ancora in sella, e io stesso - pur esprimendo tutto il mio pessimismo - non escludevo completamente la possibilità che il federalismo a un certo punto decollasse, in qualche versione più o meno incisiva.
Ora siamo nel 2012, e la situazione è completamente cambiata. Il posto di Berlusconi è stato preso da Monti, e dei tre scenari che avevo ipotizzato si è chiaramente imposto quello meno favorevole al federalismo, uno scenario che allora avevo battezzato "scenario A" perché lo consideravo il più probabile dei tre. In effetti, in soli due anni le probabilità che l’antico disegno della Lega vedesse la luce si sono praticamente azzerate. Dopo venti anni di progetti e discorsi inconcludenti, l’eventualità di vedere, finalmente, un’Italia rifondata e risanata dal federalismo è completamente evaporata.
Ma come siamo arrivati a questo punto? E soprattutto, perché le cose sono andate così? Si potrebbe pensare che l’eclissi del federalismo sia la naturale conseguenza della caduta di Berlusconi e della sua sostituzione con Monti. Una interpretazione che pare supportata da due circostanze:
a) il nuovo governo è nato senza l’appoggio della Lega, che è immediatemente divenuta la principale forza di opposizione;
b) l’unico tema importante accuratamente evitato da Mario Monti nel suo discorso di insediamento è stato proprio il federalismo.
Per quanto a prima vista plausibile, questa interpretazione è però profondamente sbagliata. Non perché Monti sia un fervente federalista, ma perché, di fatto, il federalismo era già stato sostanzialmente svuotato dal precedente governo e dalla Lega stessa. (....)
A forza di parlare di federalismo (è da vent’anni che lo si fa), rischiamo di dimenticare qual è la sua origine, ovvero quali sono i problemi per risolvere i quali il disegno federalista ha preso piede in Italia all’inizio degli Anni 90. Se andiamo alle radici e lasciamo da parte il folclore - Roma ladrona, i terroni, la Padania è piuttosto chiaro che la ratio principale del federalismo non era, all’origine, quella di rendere più efficiente la pubblica amministrazione, o di restituire alle Regioni settentrionali il maltolto (circa 50 miliardi di euro, secondo le stime più prudenti contenute in questo libro). No, la funzione e lo scopo del federalismo erano più semplici e più fondamentali: permettere ai territori più dinamici e produttivi del Paese di tornare a crescere a un ritmo ragionevole, liberandoli da un’oppressione fiscale che - nei primi Anni 90 - stava ormai soffocando l’economia italiana, sempre meno capace di espandere l’occupazione, reggere la concorrenza internazionale, innovare prodotti e processi.
Detto in altre parole: il federalismo non era principalmente un fine, un ideale politico, bensì un mezzo, un potente strumento di raddrizzamento dell’economia e della società italiana. E’ in quanto il sistema economico nazionale stava perdendo colpi, e le Regioni del Nord non riuscivano più a farsi carico degli sprechi e delle inefficienze di quelle del Sud, che il federalismo cominciò ad apparire a molti come una soluzione interessante e possibile. Anche se le cifre degli sprechi, dell’evasione fiscale, e soprattutto dell’immane trasferimento di risorse da Nord a Sud - 50 miliardi di euro l’anno - si conosceranno solo diversi anni dopo, fin da allora la diagnosi di fondo era più che chiara: se l’Italia vuole fermare il declino e tornare a crescere, di quei 50 miliardi almeno una parte deve rientrare al Nord, e deve servire a rimettere i produttori in condizione di fare il loro mestiere.
Ecco perché dico che, anche nell’ipotesi improbabile che fra una decina d’anni il federalismo dovesse essere entrato a regime, esso avrebbe comunque tradito la sua missione fondamentale: che non era di instaurare un assetto sociale o politico, bensì di ridare slancio all’economia e alla società italiane. Un compito che si pone da un ventennio, ma che negli ultimi anni era diventato urgente e improrogabile, e con la crisi internazionale del quinquennio 2007-2012 sta diventando una questione di vita o di morte per il nostro Paese. Perché tutti i dati dicono che da almeno 15 anni perdiamo colpi verso i Paesi a noi consimili, e che il nostro compito è di invertire un trend, non certo di rallentare ulteriormente il processo di modernizzazione del Paese. L’aver rimosso dalla riflessione politica questo compito, e avere accettato di spostare ancora in avanti l’entrata in vigore del federalismo, è probabilmente il più grave errore politico che la Lega abbia compiuto da quando esiste, perché - verosimilmente - esso condurrà alla scomparsa del federalismo dal centro della scena politica. Divenuto inutile, in quanto fuori tempo massimo, per risolvere il problema da cui era nato, il federalismo è destinato a entrare nel museo dei sogni politici del passato, che possono trastullare ancora a lungo i militanti, ma sono ormai fuori della realtà e del sentire comune.
Bruciato dai suoi stessi ideatori il sogno federalista, l’Italia dovrà trovare altre strade per risolvere i suoi problemi.