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 2012  aprile 08 Domenica calendario

LORENZETTO INTERVISTA PASQUALE LIGUORI

(padre di Assunta, morta in Cina nello schianto di un treno ad alta velocità)

Il Giornale, 8 aprile 2012

L’ultima volta che hanno potuto vederla era congelata dentro una bara chiusa con i lucchetti. Il coperchio di plexiglas lasciava scorgere unicamente il volto, illividito dagli ematomi e dalla morte. «Mia moglie e io siamo riusciti a dire soltanto: “È lei”», racconta il padre. «I cinesi ci avevano promesso di farci tornare con calma il giorno dopo, per starle accanto ancora un po’. Invece...». Invece Pasquale Liguori e Giuseppina Manna non hanno potuto rimanerle vicino nemmeno durante il viaggio di ritorno. Non c’era posto, per la loro figlia, nella stiva dell’aereo. Sono ripartiti da Shanghai il 28 luglio, ma la salma è stata imbarcata solo il 4 agosto su un volo cargo diretto a Zurigo e da qui rispedita a Roma, come se fosse un pacco dell’Ups. Non sanno nemmeno se indossasse la camicia da notte bianca che le avevano comprato all’ultimo istante, prima di volare in Cina a riprendersela.
Assunta Liguori, detta Sissi, era una bellissima ragazza. Avrebbe compiuto 23 anni il prossimo 19 maggio. Abitava con la famiglia a Casoria e frequentava l’Università L’Orientale di Napoli. Studiava cinese, arabo e inglese. Sul libretto è rimasto il voto più brutto: 28. Si sarebbe laureata a settembre di quest’anno. Solo tre esami la separavano dalla tesi. Nel quart’ultimo, il 20 luglio 2011, aveva preso il solito 30. Il giorno dopo era partita per Shanghai, dove la attendeva un corso di perfezionamento presso la locale università. Una borsa di studio.
Sissi avrebbe dovuto trascorrere 45 giorni in Cina. Gliene è stato concesso solo uno: il 23 luglio, su un viadotto nei pressi di Wenzhou, il treno ad alta velocità su cui viaggiava s’è schiantato a 350 chilometri orari contro un altro convoglio che era fermo da ben 20 minuti sullo stesso binario. «Avaria provocata da un fulmine», si sono giustificati i cinesi. Nessun capostazione che abbia pensato di telefonare: eppure l’Iphone lo fabbricano loro. Quattro carrozze sono precipitate nel vuoto. A tutt’oggi non si sa con precisione quante persone abbiano perso la vita nell’incidente ferroviario. Secondo le autorità di Pechino, 39. Secondo fonti indipendenti, 43. Secondo i blogger, almeno 500.
Assunta Liguori è l’unica europea nell’elenco delle vittime. Ma è come se non fosse mai morta, almeno per i mass media. L’agenzia Ansa se l’è cavata con tre lanci di poche righe. Il primo per comunicare che la Farnesina confermava il decesso. Il secondo per segnalare che il governo cinese aveva «ordinato ai giornalisti di “non indagare”» e di astenersi «dal “riflettere o commentare” l’accaduto». Il terzo per annunciare che il ministero dei Trasporti cinese avrebbe lanciato una «campagna per la sicurezza» della durata di due mesi.
«Mi è stato spiegato che mia figlia, agli occhi di voi giornalisti, ha avuto il torto di morire all’indomani delle stragi compiute in Norvegia dal terrorista Anders Breivik», dice Pasquale Liguori, «ma sotto la tragedia che ci ha portato via Sissi c’è molto di più e molto di peggio». Non a caso cinque mesi dopo l’ex ministro delle Ferrovie cinesi e altre 53 persone sono state incriminate con l’accusa d’aver intascato tangenti «per velocizzare il progetto della rete e soprassedere sulla sicurezza». Fin qui siamo nella norma, si potrebbe concludere. Ma è normale che Pasquale e Giuseppina Liguori abbiano dovuto spendere 27.000 euro per riportarsi a casa la loro Sissi e darle sepoltura nel cimitero di Napoli? È normale che nessuno abbia sentito il dovere, se non di pagargli i voli e l’albergo, almeno di organizzargli il doloroso pellegrinaggio e il rimpatrio della salma? È normale che non siano stati risarciti per l’irreparabile perdita? È normale che l’ambasciatore cinese in Italia non li abbia mai ricevuti? È normale che le più alte cariche dello Stato italiano, da Giorgio Napolitano in giù, non abbiano risposto alle loro lettere?
Pasquale Liguori, 50 anni, è un agente di commercio. Va in giro per la Campania a vendere bomboniere. Ha sposato la sua Pina, 43 anni, nel 1987. Hanno una seconda figlia, Federica, nata nel 1993. Entrambi portano al collo un ciondolo con una foto smaltata di Sissi, rettangolare lui, a forma di cuore lei. In una teca conservano le scarpette di raso della loro principessa. «Cominciò a ballare all’età di 5 anni», rievoca il padre. «Stava per diplomarsi in danza classica e moderna. Chi poteva immaginare che invece la aspettava il passo d’addio alla vita?».
Che tipo era Sissi?
«Solare. Voleva abbracciare la carriera diplomatica. Le piaceva viaggiare. Aveva soggiornato in Egitto, Gran Bretagna, Francia, Santo Domingo e chiesto il visto per l’Arabia Saudita. Mia moglie e io facciamo animazione per i bambini della parrocchia di Santa Maria delle Grazie e lei veniva al campo scuola. Si vestiva da Trilli e danzava per loro».
Era partita per la Cina da sola?
«No, con un amico di 24 anni, Giovanni Pan, originario di Grosseto, figlio di cinesi, che studiava con lei all’Orientale. Quel giorno maledetto dovevano andare a trovare proprio i nonni del ragazzo, che abitano a Wenzhou. Altri 7 minuti di viaggio e sarebbero scesi dal treno. Ad avvisarci che era successo qualcosa è stata la mamma di Giovanni, dopo aver ricevuto una telefonata allarmata dai parenti cinesi. Noi stavamo festeggiando con una trentina di amici il compleanno di mia moglie, che cadeva quel sabato. Ho chiamato il ministero degli Esteri a Roma: la funzionaria di turno, Barbara Perazzo, non ne sapeva nulla. Trascorsa un’ora e mezzo, ci ha riferito che neppure il console generale a Shanghai, Vincenzo De Luca, ne sapeva nulla».
La conferma quand’è arrivata?
«A sei ore dall’accaduto. Ci hanno detto che c’era stato uno scontro ferroviario e che fra le vittime risultava una ragazza di fisionomia europea, priva di documenti. Hanno voluto che inviassi per mail una foto di mia figlia. Ho sperato fino alle 7, quando dalla Farnesina è arrivata la comunicazione: “All’80 per cento è lei. Venite subito per il riconoscimento”. In quel preciso istante mi sono rassegnato, ho capito che avevo perso mia figlia».
Dal ministero sono venuti a prelevarvi?
«Scherza? Mi sono dovuto cercare da solo il primo volo diretto Roma-Shanghai dell’Air China, e pagare i biglietti, 1.300 euro a testa, per me, mia moglie e mio cognato Placido Manna, che s’è offerto d’accompagnarci perché è un importatore che lavora con i cinesi . Siamo riusciti a partire da Fiumicino solo alle 18.45 della domenica».
Chi vi ha accolti all’arrivo?
«Il dottor De Luca e il console aggiunto Francesco Varriale. “Può darsi che non sia lei”, cercavano di rincuorarci. Ma dall’espressione dei volti ho capito che loro già sapevano. Dopo un’altra ora di volo eravamo a Wenzhou».
I cinesi vi hanno condotti subito all’obitorio?
«Io insistevo per andarci. Invece siamo stati dirottati in albergo. Fingevano di non capire la lingua inglese. Per fortuna mio cognato, attraverso i suoi contatti locali, aveva trovavo un’interprete. Finalmente ci hanno portato alla morgue dell’ospedale. Siamo entrati dal retro, percorrendo un lungo cunicolo. Una funzionaria del Comune di Wenzhou ci ha esortati a non manifestare reazioni di alcun tipo: “Altrimenti vi arrestano”».
Addirittura. E chi vi avrebbe arrestato?
«Nell’obitorio c’erano 20 guardie in divisa. Pareva che dovessimo andare in guerra. Ci hanno condotto in una stanzetta per mostrarci su un computer la foto di una ragazza morta. Ho riconosciuto subito Sissi. Sorretti per le braccia da quattro agenti, due per me e due per mia moglie, e scortati da un drappello di poliziotti, siamo finiti in un capannone dove c’erano una cinquantina di bare. La cosa più tragica è stata non poter accarezzare e baciare nostra figlia. Il cadavere era completamente ghiacciato. Mia moglie è svenuta. Dopo appena cinque minuti ci hanno trascinati via: “Potrete rivederla domani”».
Così non è stato.
«In compenso ci hanno prelevato il sangue per farci l’esame del Dna e preso le impronte digitali. Volevano essere sicuri che fossimo i genitori».
Ma perché tutta questa fretta?
«L’abbiamo capito al ritorno in albergo. Erano le 16.30. “Alle 19 avrete un incontro in una saletta riservata con le autorità cinesi”, ci è stato comunicato. All’ora convenuta si sono presentati sei funzionari delle ferrovie e del Comune di Wenzhou, con un avvocato. “Facciamo un minuto di raccoglimento per le vittime”, ha suggerito il capodelegazione, ma dopo 20 secondi già aveva cominciato il suo brutale discorso attraverso l’interprete: “Chieda ai genitori quanto vogliono, a patto che nulla esca da queste mura”. Il legale reggeva una valigetta: secondo me c’erano dentro i soldi in contanti. Ho replicato: riferisca a questo signore che se non va via subito faccio volare le sedie. Ma quello è tornato alla carica: “Pensateci bene. Diteci una somma e chiudiamo”».
Inaudito.
«Non volevano nemmeno far partire la salma di mia figlia perché era sprovvista di passaporto. Alla stazione di Wenzhou, fra i bagagli smarriti, abbiamo ritrovato una valigia e lo zaino di Sissi. Erano spariti 2.000 euro, la macchina fotografica, l’Ipod. Scomparsa la seconda valigia, piena di generi alimentari portati da Napoli. Nel portafogli avevano lasciato il passaporto ma neanche uno spicciolo. Passati tre giorni nessuno parlava più del disastro».
Per quale motivo, secondo lei?
«La Tav Hangzhou-Wenzhou è stata costruita a tempo di record, senza tener conto della sicurezza. C’è sotto un maxi scandalo. Loro parlano di 39 morti, ma si sa che le vittime sono state portate in ben sette ospedali, e solo in quello dov’era Sissi ho contato almeno 50 bare, faccia lei i conti».
Ha intentato causa contro le ferrovie?
«Gli avvocati locali sono stati diffidati dall’assistere i parenti dei morti e in Cina i legali stranieri non sono ammessi. Per ciascuna vittima è stato offerto il corrispettivo di 5.000 euro, poi di 20.000. Alla fine hanno stanziato 915.000 yuan, circa 100.000 euro, corrispondenti al reddito complessivo in un Paese dove l’aspettativa media di vita è di 50 anni. Li ho rifiutati. Ho chiesto alle nostre autorità consolari a Shanghai: e se non avessi avuto i soldi per rimpatriare mia figlia? “Faceva una colletta in Italia. Oppure lasciava la salma in Cina”. Che cosa rispondi a gente così? Piuttosto sarei rimasto là per sempre insieme con lei».
Ma i 27.000 euro li aveva o no?
«No, la mia azienda è in crisi. Ce li ha dati il nonno materno di Sissi, Mariano Manna, che ha messo a disposizione anche la tomba di famiglia».
In Cina vi ha cercati il corrispondente della Rai da Pechino o quello del Corriere della Sera?
«Nessuno. Per farmi sentire ho dovuto noleggiare a mie spese due pullman per portare parenti e amici a protestare davanti all’ambasciata della Cina a Roma. Ma la polizia italiana ci ha impedito di raggiungere la sede diplomatica di via Bruxelles. Dopo molte insistenze, il questore ha ottenuto di far avvicinare solo me. Recavo un fascio di rose legato col nastro tricolore e una lettera. Il portinaio ha aperto lo spioncino: ha ritirato la busta e mi ha fatto cenno di posare i fiori sul davanzale, precisando in inglese che l’ambasciatore non li gradiva. Fine. Ma, dico io, siete in Italia! Siete ospiti! È questo il modo di comportarsi?».
E le nostre autorità come si sono comportate?
«Ho scritto tre messaggi al presidente della Repubblica, che è di Napoli come me. Non ha mai risposto. Solo il 19 settembre, a 58 giorni dalla tragedia, l’ambasciatore Stefano Stefanini mi ha trasmesso un messaggio di cordoglio. E quello è stato l’unico segno di vita da parte dello Stato».
Il nuovo ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Santagata, s’è fatto vivo?
«Zero».
Figurarsi quindi se il premier Mario Monti ha parlato del suo caso durante il recente viaggio a Pechino. I cinesi bisogna tenerseli buoni: devono comprarsi una parte del nostro debito pubblico.
«Per la Cina esistono solo i soldi. Tutto il resto, a cominciare dal senso di umanità e di giustizia, non conta. Mi sono messo in contatto con un ragazzo americano che vive nel Colorado. Nel disastro ha perso i genitori. Mi ha scongiurato di lasciarlo fuori da questa storia, perché un fratello che viaggiava con loro era ancora ricoverato in Cina e temeva per la sua vita. Io sto combattendo questa battaglia per i genitori che mandano i loro figli in giro per il mondo: devono sapere che, se gli accade qualcosa di brutto, si ritroveranno completamente soli, abbandonati. Giovanni Pan, l’amico di Sissi rimasto gravemente ferito nel deragliamento, ha già subìto una decina di interventi chirurgici. Rischia di restare paralizzato. All’istituto Rizzoli di Bologna gli hanno prospettato un’altra operazione che però costa 30.000 euro. E dove li trova? Ha scritto al presidente Napolitano. Silenzio assoluto».
Che tristezza.
«E questo è niente. Siccome a causa della lunga convalescenza è finito fuori corso, L’Orientale ha preteso che versasse le tasse universitarie. Cina o Italia, mi dica lei, che differenza c’è?».
Stefano Lorenzetto


LORENZETTO Stefano. 55 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Ultimo libro: Visti da lontano.


LORENZETTO Stefano. 55 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café su Raitre. Scrive per Il Giornale, Panorama e Monsieur. Dieci libri: Cuor di veneto, Il Vittorioso e Visti da lontano i più recenti. Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.