Francesco Costa, IL aprile 2012, 14 aprile 2012
Manifesto ideologico del cibo spazzatura – «Ma come fai a mangiare quella roba?». Gli appassionati di junkfood, il cosiddetto cibo spazzatura, si sentono rivolgere spesso questa domanda
Manifesto ideologico del cibo spazzatura – «Ma come fai a mangiare quella roba?». Gli appassionati di junkfood, il cosiddetto cibo spazzatura, si sentono rivolgere spesso questa domanda. Io rispondo sempre la stessa cosa: «Piuttosto come fai tu a mangiare la pasta». La pasta mi piace molto, ma la frase prende in contropiede l’interlocutore: le valutazioni sul gusto del cibo sono sempre personali e relative. E lo sa anche lui, che non parlerebbe mai della tribù che mangia occhi di bue col tono sprezzante con cui si rivolge a chi vive di hamburger. La realtà è che ci sono moltissime ragioni per andare matti per il cibo dei fast food. Innanzitutto è buono. Buonissimo. Sono fantastici gli hamburger, specie se succosi e abbracciati dal formaggio fuso e dal bacon. Sono meravigliose le palatine fritte, ma anche gli anelli di cipolla fritti e i nuggets di pollo fritti e i cubetti di formaggio fritto e insomma, avete capito. Peccato per la presenza della lattuga e dei pomodori, ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine e ci siamo affezionati. Speriamo siano almeno Ogm. E poi: i fast food ci piacciono perché ci piace mangiare con le mani. Perché ci piace mangiare di fretta, altro che slow: abbiamo un sacco di cose da fare e ne siamo entusiasti. Perché ci piace abbuffarci e bere la Coca-Cola dal bicchierone di cartone, più unto a ogni bevuta. Dice: i cibi dei fast food sono buoni perché ci metto- no dentro delle sostanze chimiche per farli diventare più buoni. Risposta, ammesso che sia vero: appunto, vuoi mettere? Dice: costano poco, dev’esserci dentro di tutto. Risposta: le multinazionali dei fast food possono permettersi standard igienici e controlli rigorosi a livelli inarrivabili per qualsiasi trattoria. L’adorazione per il cibo zozzo è internazionale, cosmopolita, progressista, in opposizione al localismo tradizionalista, nostalgico e reazionario di molta gastronomia contemporanea. La passione per il junkfood è poi una grande scuola di divertimento, lontana dalle seriosità pompose e solenni dei fanatici della ristorazione, dai riti per iniziati, dai protocolli aristocratici del galateo, dai ridicoli cerimoniali di assaggiatura del vino e dagli assensi imbarazzati rivolti al cameriere. Restituisce ai pasti uno spirito conviviale e caloroso, insegna ad avere col cibo un rapporto spontaneo e genuino – sano, oserei dire –, educa a padroneggiare se stessi e la propria dieta come persone adulte, razionali e consapevoli. Sentite qui. Nel 2008 la città di New York ha obbligato i fast food a indicare chiaramente sui loro grandi tabelloni luminosi, quelli collocati sopra le casse, le calorie contenute in ogni prodotto. Alcuni ricercatori approfittarono dell’introduzione della norma per condurre uno studio sull’efficacia di questi avvisi e monitorarono le ordinazioni. Solo la metà dei clienti disse di aver notato l’indicazione delle calorie. Di questi, appena il 28% disse di avere per questo cambiato idea su cosa ordinare, scegliendo cibi più leggeri. I dati, già significativi, diventarono sorprendenti quando i ricercatori scoprirono che questa virtuosa minoranza aveva ordinato in media cibo per 846 calorie. Il cliente medio, prima dell’arrivo dei cartelli minacciosi, ordinava cibo per 825 calorie. La storia mostra come la più diffusa critica al junk food sia fragile e superficiale. Certo che il junkfood «fa male». Lo sappiamo. Le palatine fritte non fan- no bene al fegato, così come le fritture di pesce, i supplì, lo gnocco fritto e tutta una serie di altri cibi che di norma non sono bersaglio di strali allarmati. Certo che esagerare con gli hamburger fa male; fa male esagerare con la carne rossa, eppure non circolano preoccupate campagne contro le polpette o le fiorentine. I clienti dei fast food di New York non erano beoti: erano persone normali che avevano deciso con- sapevolmente di mangiare cibi poco salutari. Alcune di loro saranno state obese, certo, persone che hanno col cibo un rapporto complicato al di là dei fast food: mangiano male ovunque, abusano di bevande zuccherate e di spuntini fuori dai pasti. Quelle che si sono preoccupate delle calorie al punto da cambiare i loro ordini credevano che i cibi dei fast food fossero più pesanti di quanto siano in realtà: tanto che quando hanno avuto davanti l’indicazione delle calorie hanno fatto i conti, hanno pensato di fare ordinazioni più salutari ma hanno mangiato più di prima. Questa è anche la ragione per cui le campagne terroristiche contro i fast food sono uno spreco di tempo e di soldi, efficaci quanto le macabre scrittone sui pacchetti di sigarette, cioè niente: scelgono il bersaglio sbagliato con l’approccio sbagliato, e per giunta lo mancano. Alla visione del documentario Super Size Me, quello che mostra ingannevolmente i risultati di una dieta basata sul solo McDonald’s allo scopo di terrorizzare gli spettatori, ogni vero appassionato di junkfood ha avuto lo stesso stimolo incontrollabile, la stessa identica reazione: uscire di casa e andare di corsa a mangiare un Big Mac Menu. Grande.