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 2012  aprile 13 Venerdì calendario

TWEETANIC: IL VARO, IL BALLO, L’ICEBREG. UN ROMANO IN 70 FLASH

Il Titanic su Twitter è affondato in 25 minuti e 70 tweet. Alle 15 di ieri è andata online la cronaca dell’affondamento del transatlantico, avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912, a seguito di una collisione con un iceberg, nell’Oceano Atlantico. L’esperimento di tweet-lit, cioè di letteratura via Twitter, è stato seguito con entusiasmo da tanti follower, vecchi e nuovi, della «Lettura», l’inserto culturale del «Corriere della Sera». (Twitter @la_Lettura). L’autore dei tweet è lo scrittore Errico Buonanno, collaboratore della «Lettura». Romano, classe 1979, ha vinto il Premio Calvino con Piccola serenata notturna (Marsilio 2003). Per Einaudi ha pubblicato il romanzo L’accademia Pessoa (2007, premio Orient Express) e il saggio Sarà vero. La menzogna al potere. Falsi, sospetti e bufale che hanno fatto la Storia (2009).
La modernità pesa 2.500 tonnellate. È una città galleggiante, ponte che unisce i continenti. È fuoco, sopra una distesa d’acqua.

Nel 1912, la modernità costa 7 milioni e mezzo di dollari, misura 270 metri, riesce a raggiungere la velocità di 23 nodi.

La modernità nasce nei cantieri di Belfast, in due forme identiche, speculari. Due navi gemelle, della compagnia White Star.

La rivale Cunard Line è solita battezzare le proprie navi con la desinenza «ia»: Carpathia, Lusitania. La White Star con la desinenza «ic».

La modernità ripropone e supera le divinità greche. Nel 1909 F.T. Marinetti ha definito «un automobile più bello della Nike di Samotracia».

Le due navi gemelle portano iscritta fin dal nome la potenza del mito. La prima si chiama Olympic. La seconda Titanic.

Secondo la mitologia, i Titani erano i figli ribelli del Cielo e della Terra, Urano e Gea. Sfidarono il padre e conquistarono il potere.

Dopo una guerra contro Zeus la loro superbia venne punita. Vennero inabissati nel Tartaro. Secondo altri, scacciati nelle isole britanniche.

«Titan» era il nome di un transatlantico immaginario, al centro del racconto «Futility», o «Il naufragio del Titan» di Morgan Robertson.

Nel racconto (1898) il Titan era una nave britannica che si scontrava contro un iceberg nel suo viaggio inaugurale nell’Altantico.

A Belfast, nei cantieri del vero Titanic, gli operai cattolici si agitano. Il numero dello scafo è 390904. Allo specchio leggono: «No Pope».

Ma è il Novecento, su, gioite! Si bada alla scienza e non più alla magia. E grazie alla scienza, la nave è solida, inaffondabile.

Chesterton scrive pensando al Titanic: la modernità bada al lusso ma non ai bisogni. Per estetica il numero delle scialuppe viene dimezzato.

Il Titanic viene varato il 31 maggio del 1911. Lo stesso giorno l’Olympic salpa per il suo primo viaggio e Giorgio V sale al trono.

Il viaggio d’inaugurazione viene previsto per l’anno seguente, alla volta di New York. Occasione perfetta di mondanità.

Cos’è questa nave? Lo specchio della società? Divisione per ceti, utopia classista? Poveri e ricchi sono comunque sulla stessa rotta.

Ci sono tre classi sulla nave. I biglietti più costosi raggiungono i 3.100 dollari. Quelli di terza classe, i 32. Destinazione mondo nuovo.

Ci sono gli Astor, ci sono gli Straus. Benjamin Guggenheim voleva imbarcarsi sulla Lusitania ma a causa di un guasto opta per il Titanic.

C’è Emil Brandeis, il romanziere J. Futrelle e lo scrittore W.T. Stead, che ha scritto un paio di racconti sul tema delle sciagure navali.
In basso, adagiati su cuccette, ci sono emigranti irlandesi, italiani, lituani, libanesi. Cantano e ballano, aspettando l’America.

L’equipaggio è di 900 uomini. 325 ad alimentare la pancia del mostro, 66 a guidarne la rotta. Il capitano è il signor Edward J. Smith.

E. J. Smith nel 1889 era al comando della Republic, quando la nave si incagliò a Sandy Hook. Un’esplosione nelle caldaie uccise tre uomini.

E.J. Smith, durante il dicembre del 1890, era al comando della Coptic, quando la nave si incagliò al largo di Rio de Janeiro.

Sono seguiti altri tre incidenti. Il comandante Edward John Smith è considerato uno degli assi del suo ambiente.

Il Titanic parte da Southampton il 10 aprile, a mezzogiorno. Uscendo dal porto, rischia di travolgere una nave di linea. Pericolo scampato.

Scalo a Cherbourg, Francia. Scalo a Queenstown, Irlanda. Un seminarista gesuita ne scatta una fotografia. L’ultima al di sopra degli abissi.

Alle 13.30 di giovedì 11 aprile, il Titanic salpa definitivamente verso il nord dell’Atlantico. Destinazione: New York.

È la nave di massa, è veloce. Collega l’Europa all’America, rivoluziona Tempo e Spazio, gareggia con i grattacieli.

A bordo c’è anche l’armatore Ismay. È lui che consiglia al capitano di aumentare la velocità. Arrivare a New York 24 ore prima: che colpo!

Si balla, si ozia, si viaggia verso la Groenlandia.

Nel ristorante à la carte gestito da Luigi Gatti lavorano solo camerieri italiani.

Si naviga, si avanza per tre giorni. Segnali morse attraversano i mari portando notizie e messaggi di auguri. La data: 14 aprile del 1912.

Ore 13.42: il Baltic comunica al Titanic l’avvistamento di iceberg e banchi di ghiaccio. Ismay legge il telegramma e se lo ripone in tasca.

Ore 19.30: la Californian avvisa i naviganti della presenza di tre grossi iceberg sulla rotta del Titanic. Eppure i motori vanno al massimo.

Ore 21.40: la Mesaba comunica al Titanic l’avvistamento di «pack di ghiaccio e vari iceberg». Il capitano Smith va a riposare in cabina.

Ore 22.30: la nave inglese Rappahannock comunica al Titanic la presenza di banchi di ghiaccio. Il Titanic risponde: «Grazie. Buona notte».
E la notte è calmissima. Qualcuno va già a riposare, altri si attardano nella sala da ballo. Qualcuno passeggia lentamente sui ponti.

E dunque si avanza, si va avanti ancora. Il signor Fleet e il signor Lee montano ligi di vedetta. Niente da riportare: dormite.

Un iceberg cos’è? Una montagna di ghiaccio facilmente avvistabile grazie al riverbero dei raggi lunari. Il 14 aprile è una notte senza luna.

Un iceberg emana un tipico odore di putrefazione perché sciogliendosi fa emergere carcasse animali. Il 14 aprile non tira un alito di vento.

Alle ore 23.30, una nebbia leggera, ma implacabile, si alza davanti al Titanic. Per le due vedette, Fleet e Lee, la visibilità è limitata.

La fine emerge all’improvviso, alle ore 23.40. Enorme, nera, dritta a prua. La fine è a 450 metri. Il Titanic è in grado di frenare in 780.

Il timoniere Robert Hitchens tenta una rapida virata passando a sinistra della massa di ghiaccio. Pochi secondi di silenzio. Poi l’impatto.

Un rombo, un tuono, un rumore indistinto. È quello che avvertono i passeggeri. La nave si ferma. Impercettibilmente arretra.

Alla mezzanotte del 15 aprile, ben cinque compartimenti stagni del Titanic sono completamente allagati. L’affondamento è un fatto certo.

Scompiglio, stupore, domande confuse tra i passeggeri accorsi lungo i corridoi. «Alle scialuppe. Prima donne e bambini» Sono le 00.25.

All’orchestra diretta da Wallace Henry Hartley viene ordinato di continuare a suonare per evitare di spargere panico. Attaccano un rag-time.

Un telegramma dal Titanic: «Venite. Abbiamo urtato un iceberg». «Riferirò al capitano. Richiedete assistenza?». «Sì, venite presto».

S’imbarca acqua. 16 navi captano l’SOS. La più vicina, la Carpathia, può giungere in circa quattro ore. Al Titanic ne restano due.

Benjamin Guggenheim conserva il suo aplomb ordinando da bere: «Ho indossato l’abito migliore e sono pronto ad andare a fondo da gentiluomo».

Lo scrittore Jacques Futrelle s’assicura che la moglie salga su una scialuppa. Poi raggiunge sul ponte Astor e fumano insieme una sigaretta.

Ore 1.10, un telegramma dal Titanic: «Collisione con iceberg. Affondiamo di prua. Venite il più presto possibile».

Sul ponte A, Wallace Henry Hartley e la sua orchestra continuano a suonare. Molti passeggeri li ascoltano tenendosi per mano.

36 macchinisti e elettricisti sono intrappolati in sala macchine. Continuano fino all’ultimo a lavorare per tenere in funzione pompe e luci.

Il pastore John Harper recita il Vangelo sul ponte. Tuffatosi nelle acque gelate, continua a recitare il Vangelo.

Alle scialuppe! Alle scialuppe! Ma le scialuppe sono poche. Alcune, persino, per la fretta, vengono calate mezze vuote.

Alle scialuppe! Alle scialuppe! Ma c’è calca. L’ufficiale Harold Godfrey Lowe fa fuoco con la rivoltella contro chi non rispetta l’ordine.

Straus e sua moglie decidono di morire insieme, sedendo, tenendosi la mano. L’armatore Ismay, a spintoni, intanto si conquista un posto.

Imbarcando acqua a prua, il Titanic s’inclina in avanti. La poppa si solleva. I passeggeri cercano scampo scalando la nave in verticale.

Il transatlantico si spezza a metà. La poppa ricade violentemente in acqua, mentre la prua si inabissa rapidamente.

Ore 2.30 della notte. Il Titanic è completamente scomparso sotto il livello del mare. Qua e là scialuppe, detriti, corpi, a galla.

Una nave! La Carpathia! Si avvicina! Sono trascorse 4 ore. Lente, come le scialuppe immobili nel buio. Nell’aria, solo un’euforia sfinita.

2.500 i passeggeri. Soltanto 711 i superstiti. Sei ripescati dal mare a -2°. D’altronde, solo una scialuppa è ritornata indietro a cercarli.

La Carpathia, il transatlantico rivale, il transatlantico della Cunard Line, li raccoglie e li assiste. «È finita!». È finita. Davvero.

Dalla Carpathia, Ismay manda un telegramma alla White Star: «Spiacente di comunicarvi che il Titanic è affondato. Particolari più tardi».

La Belle Époque crolla, la musica cessa. Processi, commemorazioni. Tempo due anni, e l’Europa si infiamma. Stop.
Errico Buonanno