Federico Fubini, Corriere della Sera 13/04/2012, 13 aprile 2012
L’AIUTO CHE LA UE NON PUO’ DARE
Devono sentirsi come fossero tornati alla casella di partenza. I manovratori d’Europa avevano passato l’autunno immersi in un corso di ingegneria finanziaria.
Cercavano tutti la soluzione «tecnica» per arginare e poi rovesciare la fuoriuscita di denaro dai Paesi della periferia europea e verso quelli del nucleo duro.
Non che fosse davvero un dilemma solo tecnico, perché gli equilibri fra i governi e persino i sondaggi d’opinione in Germania, in Finlandia, o in Grecia, hanno dimostrato un potere sorprendente sugli spread e sul futuro di consumatori, contribuenti e imprese in Italia.
Ma almeno su quel piano molti avevano sperato di aver trovato la soluzione: le «Operazioni di rifinanziamento a lungo termine» della Banca centrale europea, quei 1019 miliardi prestati a poco prezzo fino al 2015 sembravano l’anestetico giusto. Le banche commerciali hanno presto la liquidità e l’hanno rovesciata (guadagnando) sui titoli di Stato. Poi però anche questa musica improvvisamente si è fermata, come aveva fatto quella del sostegno dei mercati all’Italia dall’inizio della crisi nel 2007 fino al giugno scorso. Adesso ovviamente si sprecano le analisi sulle ragioni del nuovo sciame di scosse. Come sempre c’è stata una causa prossima: quest’estate fu la scelta di ristrutturare il debito della Grecia, alla fine dell’inverno è stata la «scoperta» al cambio di governo che il buco di bilancio in Spagna è molto più vasto di quanto si credesse. E come altre volte, dopo non molto quasi tutti hanno iniziato a riconoscere le correnti di profondità che stanno di nuovo agitando le acque. Quest’estate era l’assenza di una direzione del governo, adesso è un’economia che sta reagendo malamente alla cura.
L’austerità estrema su tutto il fianco sud d’Europa, proprio mentre anche il «nucleo duro» di Francia e Germania stringe la cinghia, sta producendo la reazione prevedibile: l’incertezza sulle nuove tasse paralizza i cittadini, il denaro non esce dalle banche che temono perdite sui loro titoli di Stato, il prodotto lordo si contrae. Ma più cala, più il deficit e il debito risultano in confronto elevati. Alla fine del 2013 l’economia italiana potrebbe essere di almeno 30 miliardi più piccola di quanto il governo pensasse tre mesi fa: dunque meno entrate, più spesa sociale e una base più bassa su cui parametrare il debito e il disavanzo. Ma se il pareggio di bilancio si allontana, l’Italia rischia di dover progettare una nuova manovra.
Anche qui, l’esperienza spagnola racchiude una lezione per Roma e ricorda che i due Paesi sono più sulla stessa barca che concorrenti: quando il governo di Mariano Rajoy ha varato una manovra da 27 miliardi a inizio aprile, gli spread dei Bonos spagnoli non sono scesi. Sono esplosi. Gli investitori hanno smesso di credere che dosi accelerate di austerità simultanea in Europa rimettano la moneta unica in equilibrio. A maggior ragione non accade, se la Banca centrale europea dà l’impressione di pensare già a come diventare meno accomodante.
È per questo che banchieri centrali e dignitari finanziari d’Europa si sentono di nuovo alla casella di partenza. Da qua a fine anno una parte della soluzione dovrà essere comune, anche sul piano tecnico, perché troppi Paesi non hanno più tutte le chiavi del proprio destino. Il Portogallo non può tornare sui mercati e avrà bisogno di nuovi aiuti. Le banche spagnole restano un enigma, la de-crescita italiana anche. In Grecia i sondaggi dicono che dalle elezioni del 6 maggio potrebbe non uscire una maggioranza disposta a rispettare i patti con Europa e Fondo monetario: l’eccesso di austerità dal 2009 ha rafforzato le ali estreme a destra e (soprattutto) a sinistra.
Non stupisce che a Bruxelles e a Francoforte si torni a contare le armi a disposizione. Fra queste la meno plausibile è un ritorno a interventi massicci e continuati della Bce sul mercato come nel 2011. Mario Draghi alla Bce non crede molto in questo strumento, che crea forti conflitti con la Bundesbank. Più probabile che molti pensino a usare il nuovo fondo salvataggi europeo per ricapitalizzare le banche spagnole, dunque garantire che nessuna di queste salterà, anche senza un pacchetto formale a Madrid come si è fatto per Lisbona. C’è chi ritiene che anche gli istituti italiani dovrebbero ricevere gli aiuti del fondo europeo: ciò rassicurerebbe gli investitori esteri e toglierebbe alla Spagna la macchia di solo grande Paese a dover chiedere aiuto.
Niente di tutto questo è accettabile per il governo di Mario Monti. In alternativa, o in simultanea, la Bce potrebbe ancora ridurre i tassi d’interesse sotto l’1% per dare un segnale o lanciare una nuova operazione di liquidità straordinaria. Ciò porterebbe forse Spagna e Italia dall’altra parte del guado attuale, ma la Bundesbank resta contraria perché la Germania ha bisogno semmai di una stretta monetaria. In teoria, si può avere a un binario parallelo a tempo: mentre l’Eurotower aiuta il Sud europea, la Bundesbank impone vincoli regolatori al credito nella sola Germania. Non sarebbe più una politica monetaria unica ma, almeno, è il segno di un’unione monetaria che prova a sopravvivere.
Federico Fubini