Gianluca Di Donfrancesco, Il Sole 24 Ore 13/4/2012, 13 aprile 2012
DEBITO PUBBLICO NELL’OCSE AL 100% DEL PIL CON LA CRISI
I Paesi sviluppati devono tagliare il debito pubblico lasciato lievitare durante la crisi economica, una sfida che si annuncia più impegnativa per Stati Uniti e Giappone che non per i Paesi dell’Eurozona, che pure sono al centro della tempesta del debito sovrano.
Il debito pubblico complessivo dei 34 Paesi membri dell’Ocse ha toccato il 100% del loro Pil combinato nel 2011, per effetto della crisi economica e finanziaria cominciata nel 2008, che ha fatto salire la spesa per il welfare, ha ridotto le entrate fiscali e imposto gravosi piani di salvataggio pubblico. In molti Stati, solo stabilizzare il debito, prima ancora che ridurlo, rappresenterà uno sforzo molto impegnativo. E tuttavia, ciascuno dei Paesi Ocse, si legge nel report «Fiscal consolidation: how much, how fast and by what means?» - diffuso ieri dall’Organizzazione con base a Parigi - dovrebbe portare questo rapporto sotto la soglia del 50% entro il 2050, in modo da mettersi al riparo da futuri shock. Senza dimenticare che un debito pubblico sopra al 70% produce effetti negativi sulll’economia.
Il piano di rientro va però attuato con gradualità, come del resto risulta evidente dal lungo periodo di tempo preso in considerazione per tagliare il traguardo, in modo da limitare gli effetti negativi sulla crescita, soprattutto nel breve termine.
Secondo gli economisti dell’Ocse, per centrare l’obiettivo, un Paese come il Giappone, dall’alto del suo rapporto debito-Pil schizzato al 200%, dovrebbe avere un saldo primario (vale a dire la differenza tra entrate e uscite, prima del pagamento degli interessi sul debito) superiore al 12% a partire dal 2013 e stabilizzarlo per i successivi quarant’anni. Gli Stati Uniti non sono messi molto meglio, visto che dovrebbero avvicinarsi al 9 per cento. Il Regno Unito, a sua volta, dovrebbe stare sopra l’8 per cento. Quasi tutti i Paesi considerati sono comunque chiamati a saldi di almeno il 3 per cento.
Un po’ a sorpresa, in questa simulazione, uno sforzo meno gravoso è richiesto ai Paesi che hanno già varato piani di austerity (nell’ipotesi, tuttavia, che riescano a rispettare gli impegni presi), come Portogallo, Spagna e Italia, ai quali, in un orizzonte di tempo così lungo, basterebbe un avanzo primario relativamente contenuto. Addirittura sotto al 3% per l’Italia (per la quale l’avanzo primario dovrebbe attestarsi al 5,2% del Pil nel 2014, secondo il programma del Governo Monti, che ha una tabella di marcia più spedita di quella presa in considerazione dall’Ocse, anche per rispondere alle pressioni dei mercati - il debito pubblico italiano oggi è al 120% del Pil).
Sono gli stessi autori del report a sottolineare il paradosso: può sembrare ironico - spiega l’Ocse - che Paesi dell’Eurozona con un bisogno di aggiustamento relativamente ridotto siano le vittime principali della crisi del debito, mentre altri Stati in condizioni peggiori possono godersi bassi rendimenti sui titoli pubblici. Questo, aggiunge l’Ocse, «in parte riflette le preoccupazioni per l’eventuale necessità di interventi a sostegno del sistema bancario dell’Eurozona».
Secondo l’Ocse, per molti Stati è possibile trovare un mix di tagli delle spese e aumenti della pressione fiscale in grado di migliorare sensibilmente il bilancio primario senza danneggiare la crescita nel lungo termine.
In particolare, migliorare l’efficienza del sistema sanitario e del sistema scolastico può consentire risparmi compresi tra lo 0,5 e il 4,5% del Pil.
Un’altra strada suggerita dal report è quella di riformulare le esenzioni fiscali fino a eliminarle gradualmente. L’obiettivo è quello di aumentare le entrate dello Stato allargando la base imponibile. L’Ocse suggerisce anche di spostare il carico fiscale sulle imposte sugli immobili e su tasse ambientali, considerate di minor impatto sulla crescita economica.
Considerando tuttavia che la pressione fiscale nei Paesi Ocse è già piuttosto elevata, l’enfasi andrà posta sul taglio della spesa pubblica.